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sabato 19 Aprile 2025
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Gruppo VéGé acquisisce Happy Casa Store, insegna di General Trade, portando in dote 160 punti di vendita in 17 regioni

MILANO – Inizia con un nuovo sodalizio, il 2025 di Gruppo VéGé: a partire dal prossimo 1° gennaio, nel primo gruppo della distribuzione moderna nato in Italia, farà il suo ingresso Happy Casa Store, l’insegna facente capo a General Trade, specializzata in casalinghi, piccoli elettrodomestici, articoli da regalo, giocattoli, accessori auto/moto, garden e bricolage.

Nata a Martina Franca (Taranto) nel 2008, Happy Casa conta un fatturato 2023 che supera i 330 milioni di euro con la previsione di un fatturato 2025 per oltre 500 milioni di euro, 160 punti di vendita in 17 regioni per un totale di oltre 200.000 mq di superficie di vendita e più di 1.600 dipendenti.

La rete di vendita di Happy Casa si struttura attraverso 3 format: Happy Casa Store (1.000 -1.300 mq), Happy Casa Store Maxi (1.301-2.000 mq) e Happy Casa Store Iper (2.001-3.500 mq). A questi si aggiunge una presenza online consolidata grazie al canale e-commerce

L’ingresso di General Trade rappresenta così un rafforzamento nel settore drugstore di Gruppo VéGé che riunisce 31 imprese con competenze multicanali che spaziano dagli Ipermercati alle Superette, dai Cash&Carry all’AFH, dai Supermercati ai Superstore, dai punti vendita specializzati all’On-Line e che negli ultimi 10 anni è stato protagonista di una crescita ininterrotta con un fatturato 2023 di 13,78 miliardi di euro con un aumento del 9,4% sul 2022 e con una previsione di fatturato 2024 pari a 15,28 miliardi di euro con un ulteriore incremento stimato del 10,88%.

“L’ingresso di General Trade  rappresenta un grande risultato nella ricerca di realtà eccellenti nell’ambito del progetto VéGé 2030, con la volontà di affiancare alla nostra rinomata leadership nell’alimentare, anche traguardi ambiziosi nel Non-Food.” commenta il cavalier Giovanni Arena, presidente di Gruppo VéGé “Con General Trade rinforziamo infatti un’area molto importante nell’assortimento moderno, e rappresenta un importante tassello della riorganizzazione della VéGé in 3 business unit: in primis in dettaglio moderno con ipermercati, superstore e supermercati, quindi l’area dell’ingresso con i cash&carry ed infine l’area non food con i drugstore e il bazar,  in una strategia che per la crescita investe nella specializzazione e nella suddivisione per competenze specifiche.”

Giovanni Cassano, presidente di General Trade (immagine concessa)

Giovanni Cassano, presidente del consiglio di amministrazione General Trade, insieme ai suoi due figli Giuseppe e Adriano entrambi amministratori delegati del Gruppo, commenta “Siamo entusiasti di entrare a far parte di una realtà nazionale del calibro di Gruppo VéGé. La filosofia del Gruppo basata su una leadership che lascia piena libertà alle insegne associate con scelte e decisioni imparziali, unita alle sue dimensioni e alla sua forza, ci fa intravedere un driver imprescindibile con cui portare a termine gli obiettivi del nostro piano industriale, espanderci ancora di più, lavorare e crescere insieme. Non vediamo l’ora di iniziare questo nuovo anno insieme.”

La scheda sintetica del Gruppo VéGé

Gruppo VéGé, primo Gruppo della distribuzione moderna nato in Italia nel 1959, riunisce 31 imprese mandanti, con competenze multicanali che spaziano dagli ipermercati alle superette, dai cash&carry all’AFH, dai punti vendita specializzati all’on-line.

Da sempre leader nell’innovazione di processo, di formato e tecnologica, con oltre 3.378 punti di vendita dislocati in modo capillare su tutto il territorio nazionale, Gruppo VéGé si configura come il più ampio network di vendita del nostro Paese.

Treedom presenta il progetto di piantumazione di alberi di caffè in Guatemala a sostegno delle donne

MILANO – Treedom, visionaria realtà che in meno di 15 anni ha piantato nel mondo oltre 4 milioni di alberi, a Natale invita a sostenere uno dei suoi progetti più rappresentativi, la piantumazione di alberi di caffè in Guatemala – tramite la piattaforma Treedom.net – introducendo una grande novità: il caffè Doña Lucero.

In questo paese, grazie all’impegno attivo della B Corp fiorentina, la filiera di Petatàn nella regione montuosa di Huehuetenango si è arricchita, dal 2019 a oggi, di oltre 30.000 alberi di caffè, rendendo possibile una vera e propria rivoluzione sociale: 80 donne guatemalteche, tramite la lavorazione dei frutti di questi alberi, si sono unite – sotto la sapiente guida dell’associazione umanitaria AMKA – per diventare produttrici e imprenditrici di caffè, conquistando così un’indipendenza economica e un’emancipazione altrimenti irraggiungibili.

“Poter coltivare e lavorare il caffè ha costituito per noi una grandissima svolta”, afferma Suris, una delle donne coinvolte nel progetto. “Grazie al supporto di Treedom siamo diventate economicamente indipendenti dai nostri mariti e abbiamo acquisito un più ampio riconoscimento del nostro ruolo all’interno della comunità, rafforzando al contempo il legame con le nostre famiglie, la nostra terra e la nostra storia”.

Risultato di questa coraggiosa e ambiziosa avventura è la miscela di caffè Doña Lucero, prodotto che si fa simbolo di determinazione e coraggio femminile, come il suo stesso nome racconta: Lucero è infatti figura emblematica per questa comunità che, con la sua tenacia, si è battuta per il miglioramento delle condizioni sociali delle donne guatemalteche.

Il caffè Doña Lucero (immagine concessa)

Questo Natale Treedom lancia una grande novità: al regalo di un albero di caffè, da piantare all’interno della filiera di Petatàn, si accompagna una confezione di caffè Doña Lucero. L’esperienza digitale, per cui ogni utente può seguire il proprio albero geolocalizzato e dotato di un ID univoco tramite foto, video, racconti e curiosità, si arricchisce ora di un dono fisico, ulteriore tassello che dimostra concretamente gli impatti positivi che un gesto semplice come piantare un albero ha sull’ambiente e sulle persone.

“Quando abbiamo iniziato a piantare alberi nel 2010 non potevamo immaginare i benefici che il nostro lavoro avrebbe innescato, non solo sull’ambiente, ma anche sulle comunità di persone con cui collaboriamo”, afferma Martina Fondi, Partner Business Developer & Head of Forestry di Treedom. “Il progetto in Guatemala ne è un esempio emblematico, che ci consente di poter ‘restituire’ ai membri della nostra community un prodotto, il caffè Doña Lucero, rappresentativo di cosa è stato possibile realizzare grazie al loro supporto”.

Natale diventa quindi l’occasione per unirsi e sostenere la tenacia e la dedizione di un gruppo di donne, legate dal desiderio di auto-organizzarsi, di lottare per i propri diritti e per la propria indipendenza.

Regalare un albero significa unirsi alla missione di Treedom, scegliendo un dono etico a favore di un futuro sostenibile: grazie al suo modello la B Corp contribuisce alla realizzazione di 11 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, che perseguono la fine della povertà e della fame, il superamento delle disuguaglianze, l’opportunità a un’educazione di qualità e inclusiva, il sostegno a una crescita economica duratura e sostenibile, il raggiungimento della sicurezza alimentare, la protezione dell’ecosistema terrestre e la promozione di azioni contro il cambiamento climatico.

La scheda sintetica di Treedom

Fondata nel 2010 a Firenze, Treedom è una B Corp che realizza progetti agroforestali, piantando alberi con l’obiettivo di innescare un miglioramento ambientale e sociale all’interno delle comunità con cui collabora in tutto il mondo.

Dalla fondazione di Treedom nel 2010, sono stati piantati più di 4 milioni di alberi in Africa, Sud America, Asia ed Europa. Tutti gli alberi sono piantati direttamente da comunità di contadini locali. La missione è quella di creare ecosistemi sostenibili all’interno di comunità rurali a livello globale, favorendo così biodiversità, resilienza ambientale, sicurezza alimentare, crescita economica e inclusione sociale. Tramite il sito privati e aziende possono diventare parte attiva del progetto, piantando alberi e contribuendo in modo semplice e trasparente al benessere del pianeta con un impatto positivo sull’ambiente e sulle persone.

Specialty Coffee By Pagliero: le due nuove monorigini Ethiopia e Uganda 100% Arabica

SETTIMO TORINESE (Torino) – Si amplia la proposta di Specialty Coffee By Pagliero con l’offerta temporanea di due caffè monorigine 100% Arabica: Ethiopia e Uganda, che vanno ad aggiungersi a Brasile e Perù, già in commercio da tempo e sempre più apprezzati dagli amanti del caffè. Il caffè specialty è una bevanda di alta qualità, che si differenzia dal caffè tradizionale per la sua complessità aromatica, per la sua filiera, per il lavoro e l’esperienza, che rendono unico questo prodotto.

Ethiopia e Uganda sono disponibili temporaneamente e in quantità limitata, fino ad esaurimento scorte. La disponibilità temporanea è anche espressione di quanto l’azienda sia impegnata nella ricerca di micro-produzioni di altissima qualità e quanto ci tenga ad offrire ai consumatori nuove opportunità, per accrescere la conoscenza e la cultura degli specialty coffee, consentendo di scoprire nuove varietà di sapori e degustare aromi e profumi unici.

Ethiopia

Questo specialty coffee monorigine 100% Arabica, arriva dall’Etiopia, una delle regioni più famose al mondo per la coltivazione di caffè di alta qualità. In particolare, questo microlotto, è caratterizzato da un profilo aromatico delicato, con note fruttate e floreali che si combinano a una piacevole dolcezza e a un’acidità bilanciata.

Le proprietà di Ethiopia (immagine concessa)

Regala quindi una vera e propria esperienza di degustazione raffinata. È disponibile in grani o macinato in confezione da 200 g.

Uganda

Lo Specialty Coffee 100% Arabica proveniente dall’Uganda, ha un sapore ricco e avvolgente, con intense note di cioccolato fondente e spezie, bilanciate da una morbida acidità. Ideale per chi cerca un caffè corposo e dalle note complesse, questo microlotto rappresenta un’esperienza di gusto profonda e persistente. È disponibile in grani o macinato in confezione da 200 g.

La miscela Uganda (immagine concessa)

Le confezioni parlanti degli Specialty Coffee By Pagliero sono chiare e di facile lettura e riportano, oltre al nome del produttore, le caratteristiche di posizione della piantagione e le note di gusto del caffè. Tutto quanto dichiarato in confezione è garanzia di altissima qualità e di tracciabilità.

Le proprietà di Uganda (immagine concessa)

Ed è proprio la tracciabilità il valore aggiunto che consente di fare scelte informate e favorisce un reale collegamento tra produttori e consumatori. Anche Ethiopia e Uganda sono “Roasters in Barolo” e sulla confezione è riportato il tipo di tostatura.
Ethiopia e Uganda sono disponibili presso tutti i punti vendita Tuttocapsule.

Listening bar: dal Giappone i locali con impianto hi-fi

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I listening bar, locali intimi con impianto hi-fi di alta gamma originari del Giappone, hanno cominciato la loro ascesa anche in Occidente. I listening bar sono molto amati e frequentati soprattutto dai cosiddetti audiofili, cioè persone che danno parecchia importanza all’esperienza d’ascolto della musica. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo di Luca Guerrini per NSS Magazine.

I listening bar

MILANO – Direttamente dal Giappone, i listening bar hanno cominciato a diffondersi anche in Occidente. Si tratta di locali molto intimi caratterizzati dalla presenza di un impianto hi-fi di alta gamma e di una vasta selezione di vinili. In giapponese prendono il nome di “jazz kissa” (cioè “jazz bar”), in riferimento al genere musicale che va per la maggiore in questi posti. Ma attenzione: non sono luoghi pensati per ballare o per assistere a un concerto.

I listening bar sono molto amati e frequentati soprattutto dai cosiddetti audiofili, cioè persone che danno parecchia importanza all’esperienza d’ascolto della musica. In questi locali, nello specifico, si ha la possibilità di fruire vinili attraverso casse e giradischi di ultima generazione.

A volte la selezione proposta riflette le preferenze del locale, mentre in altri casi i dischi vengono scelti da appositi dj, per creare di volta in volta una precisa atmosfera. Alcuni dei più famosi listening bar europei sono il Ton a Bucarest o il Bambino a Parigi. Quest’ultimo è un apprezzato locale conosciuto proprio per la sua curata selezione di vinili e per la presenza di un impianto audio invidiabile. Ma recentemente i listening bar hanno generato un certo interesse anche nei principali centri statunitensi, da New York a Los Angeles.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Il Gyokuro e altre storie: Fogli di tè, il nuovo libro sugli infusi disponibile online

MILANO – La redazione di Fogli di tè annuncia l’uscita del suo primo libro, Il Gyokuro e altre storie: Fogli di tè. Frutto di un progetto editoriale indipendente e artigianale, il libro propone articoli, interviste e racconti che accompagnano i lettori alla scoperta del mondo del tè Pensato per appassionati e intenditori, è accessibile anche ai più curiosi.

Questo libro offre un approccio unico alla cultura del tè, un argomento di grande attualità che intreccia tradizione, sostenibilità e gusto. Grazie alla varietà dei temi trattati e alle interviste esclusive, il libro offre contenuti che si adattano bene alle esigenze di un pubblico interessato alle tendenze e alle storie di vita legate a questa bevanda in continua riscoperta.

Il libro propone contributi di studiosi, coltivatori, artigiani ed esperti di livello internazionale. Sara Cherchi introduce le origini del Gyokuro, un tè giapponese raro e prezioso, Florent Weugue racconta le tecniche di coltivazione ombreggiata che donano al Gyokuro il suo sapore unico, mentre le voci dirette di coltivatori come Wada Hiromi e le testimonianze di Anna Poian della Global Japanese Tea Association svelano le sfide quotidiane della produzione.

Momoko Takahashi affronta il tema della sostenibilità del tè, e Katrin Rougeventre porta una prospettiva cinese sull’ecologia. Non mancano incursioni nella sperimentazione – come il tè coltivato in Alaska da Jenny Tse – nella creatività – come le combinazioni tra tè, birra e formaggio raccontate da Pietro Tognoni – o l’arte della ceramica, esplorata con le interviste a Martino Cappai e Yukiko Saito. Sono raccontate degustazioni presso il MAO di Torino, una ricetta dello chef Robert Wemischner, e altro ancora. La copertina è opera del maestro di sumi-e Shozo Koike.

Il Gyokuro e altre storie: Fogli di tè è un progetto editoriale indipendente, concepito e realizzato come un’opera artigianale, “genuina come un buon tè fatto a mano”. La redazione di Fogli di tè, progetto attivo dal 2016 con alle spalle 8 uscite in formato rivista, è composta da Stefano Aliquò, Luca Campaniello, Chiara Zublena, Enrico Banfo.

Il Gyokuro e altre storie: Fogli di tè è disponibile per l’acquisto su Amazon Italia, 182 pagine a colori con copertina flessibile, al prezzo di €18,90: www.amazon.it/dp/B0DLVK5Y2K

  • Nelle pagine successive: approfondimenti ed estratti degli articoli del libro.
  • Libro completo consultabile online qui

Il progetto

Fogli di tè è un progetto editoriale indipendente nato nel 2016, dedicato alla promozione e alla divulgazione della cultura del tè attraverso articoli e interviste. Dal 2016 al 2023 sono state realizzate 8 pubblicazioni indipendenti in formato rivista, con oltre 90 contributi da parte di esperti, coltivatori e appassionati da tutto il mondo. La redazione è composta dai Stefano Aliquò e Luca Campaniello, fondatori, e da Chiara Zublena ed Enrico Banfo, che si sono uniti al progetto strada facendo. A novembre 2024 è uscito il primo libro originale, Il Gyokuro e altre storie: Fogli di tè.

La copertina

Un’opera di Shozo Koike, realizzata appositamente per questo libro con la tecnica tradizionale del Sumi-e. Raffigura un acero giapponese da cui iniziano a cadere le prime foglie autunnali.

Alcuni estratti dal libro

Editoriale – di Stefano Aliquò e Luca Campaniello.

I capitoli di questo libro sono il frutto di conversazioni, interviste ed esperienze che ci aiutano a indagare il mondo del tè e scrivere su di esso cercando di evitare di cadere in facili stereotipi, in particolar modo sull’Oriente.

Le origini del Gyokuro – di Sara Cherchi

A chiunque abbia avuto l’occasione di fare un salto in una comune sala da tè a Tokyo o Osaka sarà capitato di notare come, a differenza di tè quali Sencha, Hojicha e Matcha, il Gyokuro non sia poi così diffuso. Persino nei cafè di Kyoto è indubbiamente più facile trovare le più disparate bevande o preparazioni al Matcha o un servizio di Sencha e wagashi, i dolcetti tradizionali, piuttosto che una degustazione di Gyokuro. Insomma, una vera perla rara, come d’altronde ci ricorda anche la sua denominazione che significa “Gioiello di rugiada”, di cui gli ideogrammi “玉露”si leggono rispettivamente gyoku/tama (ovvero pietra preziosa, gioiello) e “ro/tsuyu” (ovvero rugiada).

Foglie d’Ombra – di Floren Wegue

Ciò che rende un tè un Gyokuro è, innanzitutto, l’ombra che riceve e la durata di questo procedimento, che deve essere di almeno tre settimane. Il metodo di ombreggiatura, diretta o sotto un pergolato, e lo stile di piantagione, convenzionale o shizen-shitate (una piantagione non potata, che consente un solo raccolto manuale all’anno) determinano la qualità del tè. A questo bisogna aggiungere anche la questione della cultivar: sebbene non siano previsti requisiti specifici riguardo alla varietà della pianta da usare, questa scelta si rivelerà di importanza cruciale in termini di aroma e sapore del tè.

Gyokuro, una nuova speranza – di Anna Poian

Il calo dei prezzi, il cambiamento delle abitudini di consumo e l’invecchiamento dei coltivatori minacciano la sopravvivenza del tè giapponese. Ma c’è speranza: la crescente domanda globale e l’impegno di associazioni come la Global Japanese Tea Association potrebbero rivitalizzare il settore.

La danza del Temomi – di Chiara Zublena e Enrico Banfo

Assistere alla lavorazione del Temomi è un’esperienza quasi ipnotica: gesti ripetuti ma eseguiti in modo perfetto, un armonico fruscio di foglie, un morbido tepore proveniente dal tavolo, un ritmo scandito con mestiere da parte del Maestro del tè. Senza dimenticare l’attesa per la propria tazza; una volta infuse, queste foglie rilasciano un liquore giallo-pallido, quasi trasparente, dall’aroma fresco e dal sapore elegante.

Dai daruma al tè – Intervista a Wada Hiromi

La nostra storia inizia oltre 70 anni fa. Mio nonno era un artigiano e produceva Daruma, le tradizionali bambole giapponesi. Queste però si vendono soprattutto a fine anno, quindi il lavoro era per lo più stagionale, e lui desiderava fare anche altre cose. Siccome molti dei suoi clienti erano coltivatori di tè, decise di iniziare anche lui a lavorarlo, dapprima acquistando le foglie. La bambola Daruma è ancora rimasta nel nome e nel logo della nostra azienda, Darumaya Wada Kiyoshi Shoten.

Produco oltre 200 tonnellate all’anno, di cui il 10% è Gyokuro e il resto è principalmente Sencha. La nostra è l’unica azienda produttrice di tè situata all’interno della città di Shizuoka. Siccome si tratta di una produzione di qualità e molto limitata, non è mai servito ampliare lo stabilimento o spostarlo lontano dalla città abitata; la lavorazione è ancora molto artigianale, quindi non ci sono forti rumori derivanti da macchinari.

Il tuo tè è davvero sostenibile? – di Momoko Takahashi

Il tè è la seconda bevanda più diffusa al mondo, seconda solo all’acqua. Questo comporta un’immensa responsabilità; che riguarda i mezzi di sussistenza, i terreni e l’equilibrio stesso della natura. Il tè svolge un ruolo fondamentale nel sostentamento di milioni di famiglie nei Paesi in via di sviluppo; viene infatti coltivato in quasi tutti i continenti, in più di 50 Paesi, con una superficie globale di coltivazione che raggiunge l’incredibile cifra di 3 milioni di ettari (Jayasinghe et al., 2020).

Ciò significa che, ogni anno, man mano che il nostro amore per il tè diventa più forte, aumenta anche la necessità di avere più terra da coltivare per placare la nostra sete collettiva. Come se non bastasse, c’è la questione dell’impronta di carbonio e del consumo di energia; fattori che fanno parte dell’intera catena di produzione del tè (dal seme alla tazza) e non solo della coltivazione della pianta. Pertanto, occorre essere maggiormente consapevoli della sostenibilità e dell’eco-compatibilità di ciò che versiamo quotidianamente nelle nostre tazze.

Il sogno cinese di una civiltà ecologica – di Katrin Rougeventre

Da circa dieci anni, per soddisfare le esigenze del proprio mercato interno, sempre più sensibile alle tematiche ecologiche, e per rispettare le sempre più severe norme sanitarie dei mercati di esportazione, la Cina punta sulla coltivazione sostenibile del tè. Piantagioni biologiche e attività di agricoltura familiare si stanno sviluppando un po’ ovunque; nei nuovi terroir dell’ovest, nel Guizhou, nel Guangxi, ma anche nelle regioni del tè più tradizionali dello spartiacque del Changjiang (Hubei, Hunan, Anhui, Zhejiang). Lo sviluppo agroforestale negli altopiani, l’approfondimento delle conoscenze ecologiche, una gestione più rigorosa delle aree protette e un cambiamento nei modelli di uso del territorio e delle pratiche agricole potrebbero costituire importanti risposte alle numerose sfide ecologiche, a cominciare dal riscaldamento globale, che minaccia la Cina e i suoi tè.

L’ultima frontiera del tè – Intervista a Jenny Tse

Come sia possibile avviare una coltivazione di Camellia nel freddo dell’Alaska? La mia coltivazione è posta all’interno di una serra. Immaginate un tunnel con un soffitto molto alto. Telai metallici come archi con della plastica attorno. Questa struttura ha lo scopo di prolungare la stagione calda e produttiva in Alaska. Infatti, al Chena Hot Springs Resort, le serre già esistenti prima della realizzazione della mia struttura, coltivano verdure tutto l’anno già da tempo.

Ci sono tubi nel terreno, l’imbuto, l’acqua termale naturale per mantenere le serre abbastanza calde da far crescere le piante al suo interno 365 giorni l’anno. Anche le luci di coltivazione della serra sono tutte alimentate dal calore geotermico. In loco, infatti, è presente una centrale geotermica che produce elettricità da turbine alimentate dall’acqua delle sorgenti termali.

Quindi il resort è completamente sostenibile grazie all’acqua termale sia per il riscaldamento sia per quanto concerne l’elettricità. Pensate, in Alaska, i nostri inverni hanno solo un paio d’ore di luce solare al giorno e le piante del tè necessitano di circa 8 ore di luce al giorno.

Quando il tè incontra birra e formaggio – Intervista a Pietro Tognoni

La prima volta che mi hanno portato nella sua sala da tè, La Teiera Eclettica qui a Milano, mi si è accesa una lampadina. Sono arrivato a scoprire cosa ci fosse dietro il tè, andando oltre il concetto che da profano avevo fino ad allora, e abbiamo provato a sperimentare vari abbinamenti al di là del classico Lapsang Souchong Smoked.

I tè verdi stavano molto bene con la robiola, quindi abbiamo utilizzato il sencha fukamushi dove la parte fresca e la leggera acidità della robiola si sposavano benissimo con le note di erba fresca e di prato appena tagliato.

Con lo “Sciminut” abbiamo invece trovato più azzeccato l’abbinamento con tè tostati o affumicati, essendo estremamente unico anche dal punto di vista della lavorazione. Perché l’affumicatura, nei formaggi, prevede l’utilizzo di apparecchi affumicatori e sistemi di raffreddamento, mentre per il tè riuscivamo a dare lo stesso sentore ma in modo innovativo e senza tutti questi processi: questo formaggio era uno degli ingredienti che conferiva direttamente la nota affumicata alla bevanda!

Abbiamo provato anche Pu’er Sheng e Shu e, tra gli ultimi esperimenti, sencha e robiola, quest’ultima ottima e versatile perché è un formaggio estremamente adattabile. Viene fatta coagulare in una pentola a temperatura ambiente, tra i 20-30°C, dopodiché viene messa a scolare per perdere il siero. Qui diventa un formaggio spalmabile che può essere messo in forma o lavorato, ed è a questo punto che ho pensato di utilizzare il tè all’interno dell’impasto di questo formaggio. Ho creato delle piccole sfere di foglie e formaggio che ho poi posizionato nel cuore della forma, coperta all’esterno con delle foglie di tè. Un “sandwich” di pasta robiola al sapore di tè, di robiola e poi ancora tè.

Una linea perfetta giustifica una vita intera – Intervista a Martino Cappai

Mi piace tornarci sopra ogni tanto, magari a distanza di un anno, rimettermi su una linea e rielaborarla per vedere come si è evoluta nel mio cervello, e giungere a qualcosa di nuovo. Cambiarne i bordi, variare una tonalità, ingrandire o rimpicciolire una forma.

Le idee vanno cotte a fuoco molto lento e, come cambi tu come persona, cambiano anche le interpretazioni che darai e le strade che prenderai. anche la scultura è una strada che continua. Puoi migliorarti, imparare e proseguire.

Tu non fai altro che rincorrere la sfumatura, restando sempre lì, in una guerra interiore. L’inseguimento di una linea perfetta giustifica una vita intera. È un approccio molto scultoreo: mantieni il paletto della funzionalità come unica bussola e sopra ci costruisci tutto il resto. Lavori su un concept, lo sviluppi in tutti i modi possibili cercando di esautorarlo, di stremarlo.

È un’esplorazione continua e stimolante, ma si vive come i marinai, alla giornata. Questo è il prezzo da pagare. Hai certamente i tuoi momenti di gloria – fai una mostra ad Atene, Parigi o Milano – e sei felice. Ma, in mezzo, c’è un sacco di burrasca.

 Pere asiatiche affogate nel tè – di Robert Wemischner

La Tea-Posched Asian Pears è una ricetta facile e veloce capace di sfruttare tutti i profili aromatici di un tè. Il tè può essere utilizzato in molti modi in cucina: come ingrediente in uno sfregamento di spezie, in brodi aromatizzanti a forma di foglia o combinando le foglie di tè con prodotti lattiero-caseari come burro, latte o panna, per piatti dolci e salati

Sommario

Il sommario completo include i seguenti articoli:

  1. Le origini del Gyokuro – di Sara Cherchi
  2. Foglie d’ombra – di Florent Weugue
  3. Gyokuro, una nuova speranza – di Anna Poian
  4. La voce dei coltivatori – intervista a Keita Ushijima, Uejima Sourokuen, Kazumi Nakatani
  5. Il Gyokuro al Mao di Torino – degustazione di tè a cura della redazione
  6. La danza del Temomi – di Chiara Zublena, Enrico Banfo
  7. Dai Daruma ai tè – di Wada Hiromi
  8. Il tuo tè è davvero sostenibile? – di Momoko Takahashi
  9. Il sogno cinese di una civiltà ecologica – di Katrin Rougeventre
  10. L’ultima frontiera del tè – intervista a Jenny Tse
  11. Sulle tracce di Jim Thompson – di Papik Dal Degan
  12. Un tè con Echo Shao – di Luca Campaniello
  13. Quando il tè incontra birra e formaggio – intervista a Pietro Tognoni
  14. Shayny, la birra che fa match con il tè – intervista a Daniele Martinelli
  15. Una linea perfetta giustifica una vita intera – intervista a Martino Cappai
  16. Ceramica giapponese, arte per la degustazione – intervista a Yukiko Saito
  17. Pere asiatiche affogate nel tè – una ricetta di Robert Wemischner
  18. Pensieri di un tealover – di Stefano Aliquò

La copertina del libro è stata realizzata dall’artista Shozo Koike.

Eudr: è ufficialmente online il sistema informativo Eudr per trasmettere e gestire tutte le dichiarazioni di due diligence

MILANO – Dopo il via libera del trilogo al rinvio di un anno dell’entrata in applicazione della normativa europea contro la deforestazione – il voto del Parlamento è previsto nell’ultima sessione plenaria dell’anno, in programma dal 16 al 19 dicembre – la Commissione ha annunciato, sempre la settimana scorsa, il varo ufficiale del sistema informativo Eudr (Deforestation Due Diligence Statement Registry).

Annunciato in ottobre, il sistema è ora attivo e a disposizione degli utenti: numerosi stakeholder hanno già iniziato a utilizzarlo, si legge nel comunicato diramato dall’Ue.

Tale piattaforma costituisce l’interfaccia unica per la creazione e la trasmissione alle autorità delle dichiarazioni di due diligence, ai fini dell’Eudr.

È importante osservare che la massima parte delle aziende soggette agli obblighi Eudr raccoglierà le informazioni, elaborerà la due diligence e la caricherà sul portale ufficiale dell’Ue utilizzando dei software di terze parti

Per aiutare le imprese a familiarizzare con il sistema, la commissione ha creato anche una piattaforma replica volta anche a testare il sistema, chiamata ACCEPTANCE Server, a cui è possibile accedere cliccando su questo link: https://acceptance.eudr.webcloud.ec.europa.eu/tracesnt/

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Da Vicino, coffee shop, bar, torrefazione tutto in uno in Puglia con anche specialty

MILANO – A Barletta, in Puglia, in Via Regina Margherita, 175/D, si parla di specialty: protagonista di questa rivoluzione locale, la Torrefazione Da Vicino, impresa coraggiosa portata avanti da Mariano Musciagna che nel 2020 ha deciso di concentrarsi sulla torrefazione, allargando la sua attività fondata nel 2007 di vendita di cialde a tostatore e caffetteria in un unico locale.

Da Vicino: un sogno che è diventato un obiettivo

Attraverso la formazione da autodidatta imparando dai manuali dei più grandi (Godina, Odello, Bazzara, per dirne alcuni) prende vita una micro torrefazione perché, spiega Musciagna: “L’autoproduzione poteva essere uno dei plus rispetto ad altri bar della zona. Mostrare il ciclo di trasformazione dal verde al tostato all’interno del locale, ci avrebbe consentito dei vantaggi competitivi.”

Per queste ragioni Musciagna ha deciso di unire tutto in un unico concept: essere un coffee shop, un bar, una torrefazione. Così si occupa di acquistare il verde e in 50 metri, di tostarlo, miscelandolo ed estraendolo nell’angolo bar. Ogni settimana una proposta diversa, dando possibilità di scelta al cliente.”

E gli specialty?

L’offerta della torrefazione (foto concessa)

“Ho due monorigini che tratto in questo modo: acquisto micro lotti da 30 chili e li faccio ruotare, così da dare la possibilità di comprendere la materia prima. Sono argomenti che ancora ai più sfuggono, ma specialmente per i ragazzi o per la clientela più disponibile all’ascolto, risultano prodotti interessanti.

Di soli specialty ovviamente non era possibile vivere – specifica Musciagna – Il nostro è un negozio di quartiere e le persone vengono da noi spesso a bere un semplice espresso.
Attualmente servo un Perù, un Katuai monorigine, un Brasile specialty, e poi delle miscele che partono da un 100% Robusta (Uganda, India). Ho in tutto 10 miscele, 8 macinini sul banco (5 Eureka Mignon Specialità, 2 Specialty 65, 1 F64Evo Fiorenzato e uno dedicato per la parte di drogheria). È la mia peculiarità averne così tanti, anche perché li tengo in bella vista nei sylos per la distribuzione.

Un 80% Robusta, un 50% Robusta, un 40%, un 30% Robusta, un 100% Arabica Dolce, e poi i monorigine specialty, un indiano lavato e il decaffeinato.

Il bar resta però l’attività più redditizia delle tre anime: l’ho creato in modo tale da non avere grandi investimenti nel personale. Mi consente di avere maggiori margini rispetto a quelli ottenuti con cialde e caffè sfuso. Che è un po’ un bigliettino da visita: il cliente entra e vede il sylos con i chicchi e allora viene affascinato. “

I prezzi?

“Questo discorso non può prescindere dai competitor. In Barletta centro siamo arrivati a 1,20, ma nella mia zona, siamo ancora sull’euro per il blend Arabica / Robusta e 1,10 per quanto riguarda la miscela 100% Arabica.

Dentro il Caffè da Vicino (foto concessa)

Naturalmente quando il cliente fa il suo ingresso, chiedo innanzitutto se ha preferenze tra le diverse miscele (ogni mia creazione è dotata di scheda, per poter comunicare ad un cliente che è abituato ad un rito veloce). Durante la preparazione ed il servizio ne commento le peculiarità. Questo genera apprezzamento dal cliente che percepisce la cura e la passione profusa dietro quel gesto e spesso si traduce in domande di ogni tipo.

Qualcuno sperimenta lo specialty, che però faccio attenzione a non proporre ad un prezzo altissimo sempre perché riesco fin qui, occupandomi io stesso della selezione e tostatura, a tenere dei prezzi accessibili. Molti poi ripetono l’esperienza, anche quotidianamente e sempre in espresso. Non ho previsto estrazioni alternative, perché non c’è ancora un mercato pronto. Non mi trovo in una zona turistica con degli stranieri che possono comprendere meglio e richiedere queste soluzioni.

Essere l’unico ad avere una proposta di questo genere è un plus, però è anche vero che lavoro 12 ore al giorno. Con me ho solo una collaboratrice che copre la mattina. Caffè Da Vicino apre alle sei e mezza fino alle 13.30, poi riapre alle 16 e chiude alle 21.”

Il caffè Da Vicino: a chilometro zero

“Il cliente osserva da vicino la tostatura: il laboratorio è separato soltanto da un vetro trasparente così che i clienti ormai sono abituati a vedere in azione una macchina da 7 chili a gas STA. Grazie alla flessibilità di questa tostatrice posso distribuire il mio caffè anche in altri locali e non solo per autoproduzione.

Progetti da sviluppare?

“Quattro anni di attività sono serviti per ottimizzare tutti i processi che ora girano intorno alla torrefazione, la selezione, le cialde, il bar.

Ho dovuto creare i software e testarli per la gestione di ciascun aspetto in un unico sistema integrato. Ho sviluppato le etichette ed il packaging da 12, 25 e 50 pezzi per la distribuzione al dettaglio del porzionato. Il problema fondamentale ora che sto incontrando è di sicuro la concorrenza dei locali più grandi che invitano maggiormente ad uno spirito di convivialità che spesso vince sulla qualità.

Posso pensare però di fare progetti futuri: uscire dall’offline e sfruttare la vendita online. Sono presente sui social, su Amazon e ho un sito e-commerce per il tostato, le cialde e capsule compatibili in ogni formato, accessibile ai clienti finali ed ai rivenditori con i relativi listini. E’ presente anche l’opzione consegna a domicilio per la città di Barletta e limitrofe.

Amplierei poi la vendita del caffè nell’horeca con il mio marchio. Il cliente avrebbe il vantaggio di ordinare il caffè tostato su ordinazione anche in microlotti da 5 kg, grazie alla mia tostatrice, ricevendo sempre il prodotto freschissimo a prezzi contenuti.

Lo shop di cialde (foto concessa)

Espanderei la vendita del monoporzionato anche fuori dal mio locale in altri punti vendita. Poi magari le affiliazioni in franchising.

Ad oggi devo acquistare 300 chili alla volta e lo consumo un po’ per volta, considerato che si tosta – tostatura media con un ciclo abbastanza prolungato nella fase di Maillard senza superare i 190 gradi, omni roasting – una ventina di chili a settimana. Contando lo sfuso e quello somministrato al bar, 100 chili vanno via in un mese e mezzo.”

Strafood, non solo cibo: il caffè, il tè e il cacao rinascono nel libro sull’economia circolare

MILANO – Strafood – non solo cibo – pubblicato da L’Airone editore e scritto da Paola Buzzini e Luisa Manfrini, è una preziosa guida che in 192 fa luce sul collegamento tra alimentazione corretta e consumo responsabile. Tra cucina, design, moda, salute e giardinaggio, ci si muove attraverso ciò che arriva dalla terra sino alle nostre tavole.

Il libro apre con un’introduzione che veicola un concetto piuttosto interessante: lo scarto in natura praticamente non esiste. E poi un proposito delle autrici: spiegare perché sono i vegetali a fare la differenza in questa dinamica per cui gli uomini ne producono così tanto.

Scarto è invece sinonimo di potenziale, anche dal punto di vista economico. Un’ottima notizia anche per le aziende.

Strafood: “non è solo un manuale, è un ribaltamento di prospettiva”

Si chiude così l’introduzione al primo capitolo dedicato ad una migliore comprensione della definizione di sostenibilità. Si parte infatti proprio dalle basi per capirne bene tutte le facce a partire da quella economica, procedendo con quella economica e concludendo con quella sociale.

Altro tassello essenziale per comprendere il quadro, L’impronta ecologica, misurabile attraverso i parametri di carbon, water e ecological footprint.

Materie prima, si parte con la domanda: com’è stata coltivata?

Dieci vegetali protagonisti della top ten di Strafood. Cocco, riso, caffè, canapa, uva, frutta secca, , oliva, legumi, cacao: materie prime che trovano spazio ciascuno in un paragrafo a sé stante. Esplorati i loro utilizzi anche al di là dell’alimentazione, nell’ottica dell’economia circolare.

Per il caffè gli esempi di riutilizzo dei sottoprodotti sono diversi. Dall’ecodesign con la silverskin impiegata per la realizzazione di sedie, tavoli, bicchieri, carte ecologiche, alla bioarchitettura con le pareti di caffè sino alla moda dove esistono sneakers composte con gli avanzi delle cialde e delle capsule.

Stesso approfondimento per altri due prodotti molto richiesti nel mondo: tè e cacao. Con anche uno sguardo alla mixology con la prima bevanda in foglie o all’uso nella beauty routine con alcuni consigli di make up usando il cacao.

Pensando al consumatore finale – cosa mai scontata – Strafood si conclude con degli strumenti pratici

Schede da usare quotidianamente per andare a fare la spesa più consapevolmente e costruire attraverso un bullet journal una routine sostenibile.

PAOLA BUZZINI si divide tra Milano e Roma sentendosi comunque sempre a casa. Scrittura, eventi, comunicazione e consulenza nel campo artistico sono stati la sua professione per oltre dieci anni, fino a che ha perso la testa per tutto ciò che ha a che fare con il cibo. Con il suo progetto Soup Opera prova a mettere insieme queste due passioni utilizzando il cibo come codice comunicativo condiviso per raccontare le arti e la creatività.

LUISA MANFRINI, architetto e product designer, ha lavorato nel design di prodotto per marchi di moda internazionali, poi si è specializzata in food design e sostenibilità. Vegetariana, cacciatrice di nuove tendenze, oggi collabora con diverse realtà progettando contenuti, prodotti ed esperienze che si concentrano sul potenziale del mondo vegetale, per contrastare il cambiamento climatico, promuovere il benessere e ristabilire un equilibrio con la natura. Il suo motto: “Dal cucchiaio alla città, il futuro è delle piante”.

Scheda

Titolo: STRAFOOD. Non solo cibo
Autrici: Paola Buzzini e Luisa Manfrini
Casa editrice: L’Airone Editrice
Formato: 16 x 2.1 x 23 cm
Pagine: 192
EAN: 9788864424774
Prezzo: € 19,90

Consorzio promozione caffè celebra la giornata dedicata all’espresso sospeso il 10/12

MILANO – Un gesto quotidiano, a volte scontato, ma che nella sua estrema semplicità può racchiudere un significato più profondo. Quante volte, del resto, ci capita di offrire un caffè o di riceverlo “in regalo” dalle persone che incontriamo ogni giorno? Moltissime, proprio perché per gli italiani rappresenta una dimostrazione di attenzione verso gli altri. Come evidenziato anche dall’indagine “Se è italiano… si sente! – Gli Italiani e il Caffè” condotta da AstraRicerche per il Consorzio promozione caffè, per il 91,2% degli intervistati è un gesto di gentilezza verso chi ci sta intorno[1].

Il Consorzio promozione caffè per la giornata del caffè sospeso

E allora non c’è da stupirsi che il caffè sia diventato, tra le altre cose, anche un simbolo di solidarietà grazie al caffè sospeso, una tradizione che da Napoli ha conquistato il mondo intero.

“Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo”. Così Luciano De Crescenzo, tra i pensatori napoletani più celebri, definiva questa tradizione diffusasi nel capoluogo campano durante la Seconda Guerra Mondiale.

Non tutti potevano permettersi di bere un caffè al bar, per questo chi aveva la disponibilità economica pagava una tazzina in più, lasciandola a qualcuno che potesse averne bisogno. Così durante il giorno, chi avesse chiesto se ci fosse qualche “cafè suspiso” avrebbe potuto riceverlo, dimenticando per un attimo l’orrore della guerra con il caldo abbraccio del suo aroma. Da allora, il caffè sospeso ha continuato a rappresentare una tradizione particolarmente sentita dai napoletani, che va oltre il concetto di carità per abbracciare un senso di umanità profonda.

Ancora oggi, si stima che nei bar della città partenopea, in particolare nelle insegne storiche, si contino fino a cinquanta caffè sospesi al giorno per locale. L’orizzonte del caffè sospeso, con gli anni, è andato oltre quello di Napoli, portando questo rito a diffondersi non solo nel resto d’Italia, ma anche nel mondo.

Le cifre sono difficili da quantificare, ma le iniziative che hanno portato a declinare questo messaggio di altruismo in diverse lingue sono numerose: dal “suspended coffee” negli Stati Uniti o nel Regno Unito, al “cafè pendiente” che si può donare a Madrid come a Buenos Aires, il “cafè suspendu” molto popolare in Belgio e infine l’“Uppskjuten” svedese. Ma non solo. Il senso di generosità che incarna questo gesto è stato il motore di quella che è stata definita dagli esperti “economia sospesa”.

Negli anni sono diventati “sospesi” anche il pane e la pizza fino a interi carrelli della spesa, ma anche abiti, libri, biglietti del cinema o del teatro e perfino farmaci e visite mediche, sempre secondo lo stesso meccanismo di solidarietà: consumare per uno, pagare per due per aiutare qualcuno in difficoltà.

Dal 2010 il caffè sospeso, grazie alla Rete del caffè sospeso e di altre associazioni, viene celebrato ogni anno il 10 dicembre. Non una data qualsiasi, ma quella che l’ONU ha scelto per celebrare la Giornata Mondiale dei diritti umani, per sottolineare il forte valore di altruismo che offrire un caffè a chi vive un momento spiacevole può rappresentare. Perché il caffè non è semplicemente un alimento che, grazie alla sua composizione chimica, dona energia e calore: è un elisir che conforta, che dona sollievo, che consola anche nei giorni più bui. Quando viene offerto, rappresenta un gesto disinteressato di cura e di attenzione che scalda il cuore e che spinge a riunirsi.

“Offrire un caffè è un gesto semplice, che nella frenesia della quotidianità può sembrare persino banale e scontato, ma che dimostra attenzione, affetto e cura verso l’altro. Non è un caso che questa bevanda sia diventata un simbolo universale di solidarietà grazie alla tradizione del caffè sospeso, così come il fatto che le sue radici siano a Napoli, una città generosa dove il caffè è vissuto come un rito che unisce le persone, superando le differenze. Regalando un caffè a chi ne ha bisogno, possiamo contribuire a far sentire meno sole le persone che stanno vivendo un momento di disagio nel segno della generosità”, dichiara Michele Monzini, presidente di Consorzio promozione caffè, che da oltre 30 anni riunisce le principali aziende che producono e commercializzano le diverse tipologie di caffè oltre che i produttori di macchine professionali per l’horeca e fornitori di attrezzatura.

La scheda sintetica del Consorzio promozione caffè

Il Consorzio promozione caffè riunisce aziende che forniscono, producono e commercializzano le diverse tipologie di caffè oltre che i costruttori di macchine professionali per caffè e fornitori di attrezzature. Da oltre 30 anni il Consorzio è impegnato a promuovere un programma di educazione e informazione su caffè e caffeina e i loro effetti sulla salute, sulla base delle evidenze scientifiche pubblicate.

[1] “Se è italiano… si sente! – Gli Italiani e il Caffè”, indagine condotta da AstraRicerche per il Consorzio Promozione Caffè ad aprile 2024 su un campione di 1.001 intervistati 18-65enni statisticamente rappresentativi della popolazione

 

Sebastiano Caridi, brand ambassador Essse Caffè: “Il segreto nella pasticceria è nell’innovazione senza dimenticare la tradizione”

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Sebastiano Caridi è uno dei più importanti pasticceri sul panorama nazionale, vincitore dell’edizione 2014-2015 del talent di Rai2 “Il più grande pasticciere” e premiato quest’anno nella 14esima edizione della guida “Pasticcieri & Pasticcerie” del Gambero Rosso con “due torte”, ha un punteggio di 88/100 per il suo locale a Faenza, con una menzione speciale per la pasticceria salata. Inoltre è brand ambassador di Essse Caffè.

Leggiamo di seguito un estratto dell’intervista di Maria Vittoria Fariselli al maestro per il portale Ravenna e Dintorni.

Sono solo due le pasticcerie in Italia (l’altra è quella di Dalmasso di Avigliana) premiate dalla guida nell’ambito della pasticceria salata. Cosa significa questo riconoscimento?

“Ricevere premi è sempre bello, perché ti dà la conferma di essere sulla strada giusta. Il Gambero Rosso è una vera istituzione sul panorama nazionale e un risultato come questo è una bella emozione, soprattutto in un settore come quello della pasticceria salata su cui stiamo puntando tantissimo… anche se devo ammettere che ancora fatico a realizzare, preso dalla volata verso il Natale…”.

Come mai questa predilizione per la pasticceria salata?

“Perché credo sia un settore troppo poco considerato. Un tempo c’era tanta richiesta, poi è stato quasi dimenticato. La mia idea di pasticceria è quella “di un’originalità che torna alle origini” e mi piace trasformare i classici della bakery – dalla pizza alle focacce passando per i mignon salati – in chiave moderna, piccola e sfiziosa, perfetta per aperitivi, ricorrenze, catering e coffee break. Sono tra i pochi in Italia a tenere corsi sull’argomento, e noto con piacere che la richiesta da parte dei colleghi sta crescendo, ridando il giusto valore a questo ramo”.

Quindi tra tradizione e innovazione chi ha la meglio?

“La pasticceria è creatività: il segreto sta nel riuscire ad innovare rispettando la tradizione. La pasticceria tradizionale cammina benissimo da sé, ma nulla ci vieta di giocare con spezie e consistenze per ottenere qualcosa di più contemporaneo. È importante però non snaturare mai la base alla ricerca di qualcosa di nuovo e quasi mai necessario. Un tiramisù alla fragola, per esempio, non lo farò mai nemmeno sotto tortura”.

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