MILANO – Se fino a un anno fa le aziende erano chiamate ad affrontare il fenomeno della great resignation, vale a dire l’aumento eccezionale del numero di lavoratori che volontariamente lasciano il proprio posto di lavoro, ora il trend sembra aver decisamente cambiato rotta. Secondo i dati del recente Rapporto Censis-Eudaimon, infatti, l’analisi della dinamica su base trimestrale relativa al 2023 segnala un trend discendente poiché si registra -5,8% nell’ultimo trimestre del 2022 e contrazioni del -3,4%, del 2,9% e del -1,8% nei primi tre trimestri del 2023. Dati in controtendenza rispetto al +33,6% tra 2020 e 2021 e +14% tra 2021 e 2022.
L’onda alta delle dimissioni in Italia è visibilmente in rallentamento. Su 2,1 milioni di cessazioni di rapporti di lavoro dipendente privato (esclusi gli operai agricoli e i lavoratori domestici) per dimissioni, quelle riguardanti rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono state 1,2 milioni.
In tale categoria il tasso di ricollocazione a tre mesi dei dimessi volontari del 2022 con meno di 60 anni è stato pari al 67%, più alto rispetto agli anni precedenti. Questi ultimi due dati, se valutati congiuntamente, lasciano intendere che le dimissioni volontarie fossero dovute ad un’ondata di “cambi di lavoro”, probabilmente spinta dalla necessità di condizioni di lavoro più favorevoli.
Conferme dello stop alla great resignation arrivano anche dall’estero. Nel Regno Unito il CIPD, associazione di professionisti della gestione delle risorse umane, ha iniziato a parlare di “Big stay” con più persone che optano per la stabilità lavorativa. Una scelta che coinvolge in prima persona anche i datori di lavoro visto che, come riportato dal portale inglese People Management, oltre la metà (55%) dei datori di lavoro intervistati intende mantenere il livello attuale di personale e prevede di diminuire il turnover all’interno dell’azienda.
Negli Stati Uniti un sondaggio pubblicato da Human Resource Online svela che 4 dipendenti su 5 (quasi l’80%) non intendono cambiare lavoro almeno fino al 2025. Gli intervistati hanno anche spiegato di non voler cambiare perché trovano il loro lavoro interessante (40,9%), per la stabilità finanziaria (38,4%) e perché apprezzano il management (30,4%).
“Il rallentamento delle dimissioni di massa non è necessariamente un segnale solo positivo – commenta però Alberto Perfumo, ceo di Eudaimon – perché la minor centralità del lavoro rispetto alle altre priorità può portare ad avere persone che sì rimangono in azienda, ma senza le giuste motivazioni e senza trovare risposte a bisogni a cui l’aspetto salariale, per quanto fondamentale, non può rispondere se non in parte”.
Passare da great resignation a great exhaustion, infatti, è un attimo. Il rapporto Censis-Eudaimon ha già lanciato l’allarme ricordando che la grande maggioranza dei lavoratori esplicitamente indica che nel prossimo futuro ha intenzione di ridurre il tempo dedicato al lavoro, mentre quote significative già oggi, qualora possibile, proteggono il proprio tempo di non lavoro rifiutando straordinari, negandosi a call, mail e a ogni attività extra rispetto alle mansioni definite.
Un importante strumento in mano alle aziende per limitare il rischio dimissioni continua ad essere il welfare aziendale. A spingere i lavoratori a cercare una nuova vita professionale non è solo un’insoddisfazione lavorativa causata da stipendi non adeguati, ma anche la mancanza di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata.
Grazie al welfare aziendale possono essere gli stessi datori di lavoro ad offrire ai propri dipendenti opportunità di staccare la spina con attività di svago che spesso permettono di coinvolgere anche le famiglie dei lavoratori. Altrettanto importanti risultano i servizi rivolti al benessere e alla salute dei dipendenti, anche attraverso programmi di people caring con assistenza al lavoratore e ai suoi familiari.
“Le aziende che hanno raccolto la sfida stanno investendo sempre più nel welfare – prosegue Perfumo – con iniziative che promuovono una migliore qualità della vita per tutte le loro persone. Così, accanto alla componente economica del welfare, fatta di piattaforme che contengono tutta una serie di benefit, quali buoni per la spesa, rimborsi delle utenze e degli affitti …, le aziende più innovative propongono iniziative e servizi in materia di prevenzione, salute, genitorialità, care giving, lavoro giovanile e molto altro, tutte soluzioni che vanno incontro alle aspettative dei collaboratori di benessere e qualità della vita”.
Questo aspetto sociale è sicuramente molto apprezzato dai lavoratori: riprendendo sempre il 7° Rapporto Censis-Eudaimon, il 72,4% del campione ha infatti dichiarato che apprezzerebbe un consulente di welfare in grado di rispondere alle sue specifiche necessità personali e familiari. L’accesso alle informazioni e un supporto all’orientamento e alle giuste scelte è alla base di EUTY, la soluzione digital di welfare sociale ideata e sviluppata da Eudaimon e che, nei prossimi mesi, vedrà l’integrazione del nuovo modulo “Salute e Benessere”, argomento centrale per moltissimi lavoratori.
Marcos Llorente, noto calciatore dell’Atletico Madrid, ha lanciato il brand di caffè Irreverentes scegliendo come marchio il simbolo capovolto delle SS e, almeno per il momento, non sembra avere intenzione di scusarsi. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Silvia Scotti per il quotidiano La Repubblica.
Marcos Llorente e il caffè nero Irreverentes col logo nazista
MADRID – Un caffè nero. Nerissimo. Lo serve in Spagna un calciatore che pensa che il sole (senza creme protettive) non faccia male e che mangia cibi preistorici. La storia è questa: Marcos Llorente, centrocampista dell’Atletico Madrid, uno dei pupilli di Diego Simeone, produce caffè con un amico ex calciatore, Ibai Gomez. L’hanno chiamato Irriverente pensando di essere trasgressivi e spiritosi: ma il logo è terribilmente simile al simbolo nazista delle SS, le Schutzstaffel. Capovolto, ma è quello.
Qualcosa di simile era successo ad Adidas, poco prima dell’inizio di Euro 2024: per un errore di design la maglia numero “44” della squadra tedesca richiamava lo stesso simbolo nazista. Quella maglia è stata subito ritirata, con le scuse dell’azienda.
Llorente invece ha celebrato il marchio con orgoglio, mostrandolo sui social, senza accennare alla tetra somiglianza. Ha parlato di altro, del suo fisico, di alimentazione, di abbronzatura con un misto di teorie folli, false, pericolose.
Per leggere la notizia completa basta cliccare qui.
MILANO – “Avevo torto: i prezzi non scenderanno prima della metà del prossimo anno, nella migliore delle ipotesi”. Così Giuseppe Lavazza, presidente dell’omonimo gruppo di famiglia, in alcune dichiarazioni rilasciate durante un evento a margine degli Internazionali di Wimbledon, che si è svolto a Londra nella giornata di ieri, martedì 9 luglio. Parole che sono state riprese dai media britannici e del resto del mondo. Una previsione che arriva proprio in una giornata di rialzi senza precedenti, a Londra e New York (vedi aggiornamento in fondo all’articolo).
L’analisi di Lavazza è incentrata, in questo caso, sulla realtà di oltremanica e riprende alcune delle considerazioni già fatte a margine dell’assemblea Upa a Milano, delineando però – per quanto riguarda il mercato Uk – un outlook un po’ più ottimistico rispetto a quello tracciato per l’Italia.
“I prezzi rimarranno altissimi – avverte Lavazza – la supply chain è drammaticamente sotto pressione”. E i consumatori britannici non intravedranno la fine dei rincari prima di un anno, perché i “venti contrari” continueranno a colpire l’industria.
Per questo – continua Lavazza – “mi sono sbagliato” nel prevedere, l’anno scorso, che i prezzi sarebbero scesi nel 2024.
L’industria è abituata a fare i conti con le fluttuazioni dei prezzi degli arabica – spiega Lavazza – ma la recente impennata nelle quotazioni dei robusta è senza precedenti e sta causando ulteriori problemi.
Il cambiamento climatico ha inciso sui raccolti dei più importanti produttori mondiali di robusta, in particolare Vietnam e Indonesia, riducendo notevolmente l’offerta di questa varietà.
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MILANO – D’estate il caffè non manca tra le abitudini degli italiani, ma cambia veste e, soprattutto temperature: abituati al caffè freddo, a quello leccese o allo shakerato, c’è una novità che ultimamente sta crescendo nella sua diffusione nei locali del Bel Paese e il suo nome è cold brew. Su queste pagine spesso è stata esplorata questa bevanda ad infusione a freddo e ora ritorna con qualche dato alla mano, ripreso dal report pubblicato da Technovia e intitolato “Cold Brew Coffee Market Size 2024-2028”, disponibile come estratto in inglese qui.
Il rapporto fornisce dati completi (analisi dei segmenti per regione), con previsioni e stime in “milioni di dollari” per il periodo 2024-2028, nonché dati storici dal 2018 al 2022 per i seguenti segmenti.
Proiezioni di prodotto: A base di Arabica, a base di Robusta e a base di Liberica.
Proiezioni dei canali di distribuzione, offline e online.
Proiezioni regionali: Nord America, Stati Uniti, Canada, Europa, Regno Unito, Germania, Francia, Resto d’Europa, APAC, Cina, India, Sud America, Cile, Brasile, Colombia, Medio, Oriente e Africa, Arabia Saudita, Sudafrica, Resto del Medio Oriente e dell’Africa.
Cold brew: le dimensioni di questo mercato sono destinate a crescere di 479,75 milioni di euro (519,2 milioni di dollari USA)
Con un CAGR (Compounded Average Growth Rate) dell’8.4% e con un aumento compreso nell’arco di tempo che intercorre tra il 2023 e il 2028, sorretto da diversi fattori, come la diffusione tra i millennials del caffè istantaneo o il frequente lancio di nuovi prodotti, insieme all’espansione delle reti di vendita al dettaglio organizzate a livello globale e ai vantaggi percepiti sul piano della salute.
Il cold brew è diventata la scelta preferita dai millennial e dalla Generazione Z sia negli Stati Uniti che in Cina. Seguendo questo trend catene e grandi brand come Starbucks, Dunkin Donuts e Nestlé hanno introdotto diversi prodotti di cold brew RTD (Ready-to-Drink).
Adesso i consumatori scelgono sempre di più le bevande in bottiglia per la loro praticità e per una maggiore durata di conservazione. (nel processo di produzione del cold brew vengono utilizzati conservanti per garantirne la freschezza, un aspetto che lo rende una scelta ideale per i punti vendita al dettaglio).
Anche gli sconti e gli acquisti all’ingrosso stanno contribuendo alla crescita di questo mercato, ideale per gli utenti che prestano attenzione anche a trovare soluzioni più convenienti tra i cold brew.
Le aziende stanno percorrendo varie vie
Come mettere in campo collaborazioni strategiche, partnership, fusioni e acquisizioni, espansione geografica e lancio di prodotti/servizi, per rafforzare la loro presenza nel mercato, prevedendo crescita e analisi.
I marchi italiani non fanno eccezione, perché sono in tanti che ormai da diversi anni si sono inseriti in questo mercato ciascuna con la propria referenza: Lavazza, Illy, Kimbo, Segafredo, Caffè Borbone o Mokaflor, hanno creato delle soluzioni fredde.
Segmentazione del mercato per prodotto cold brew
Un particolare interessante: la crescita della quota di mercato del segmento del cold brew a base di Arabica sarà significativa durante il periodo preso in analisi. Questo per via del minore contenuto di caffeina rispetto alla Robusta e alla migliore qualità: già nel 2020, questo segmento si era affermato come dominante ed è in prospettiva sempre questo che si affermerà maggiormente negli anni futuri.
MILANO – A Roma ancora lo specialty non ha smesso di essere un’opportunità per chi vuole avviare un’attività legata al concetto di qualità. Con l’apertura prevista a maggio, Bap, vuole essere un esempio per chi investe nella materia prima, in primis il caffè: dietro al progetto, Torrefazione 68 – storica impresa romana alla terza generazione – capitanata da Giulia e Fabrizio.
Il team di Bap al completo, rispecchia la volontà di portare avanti un’azienda di famiglia: Marianna Gallo, figlia di Fabrizio, sommelier di esperienza internazionale, il suo compagno Matteo Anselmi chef con ispirazione internazionale che ha appreso maturato esperienza in diversi fine dining internazionali e della capitale.
La caffetteria è affidata al latte artist Gianmarco Frosoni. La pasticceria è un altro fiore all’occhiello di Bap, curata in collaborazione con Lorenzo Spavone, pastry chef che curerà le ricette per sfoglie italiane e francesi, impostando il menù sempre con una maggiore attenzione al caffè.
Bap: tutto parte proprio dalla caffetteria
“Era arrivato il momento per la nostra torrefazione di avere una propria vetrina che fosse una realtà aperta a 360 gradi: così affidandoci all’esperienza di Marianna e Matteo abbiamo deciso di creare un locale polivalente. La differenza rispetto ad altri coffee shop di questo genere sta nel fatto che lo specialty da Bap è inteso come il filo conduttore tra le diverse anime del locale.
Ovviamente abbiamo curato molto la parte della caffetteria, dalla scelta di una Slayer, un Ceado Hero, una Tone per il brewing. Abbiamo creato un blend ad hoc, 100% Arabica con una bassa acidità (Brasile, Nicaragua, Colombia) affiancato ai nostri specialty (in espresso double shot e in filtro). Inoltre, porteremo ogni volta che viaggiamo degli altri roasters selezionati personalmente.
Abbiamo fatto questa scelta perché siamo convinti che una miscela debba esserci: apriamo in una zona dove sono già presenti caffetterie specialty e proprio per questo volevamo differenziarci. Le acidità troppo spinte non sono per tutti e abbiamo quindi cercato di trovare una soluzione più equilibrata così da avvicinare i consumatori a dei caffè di alta qualità che non traumatizzassero.”
Quali sono i prezzi di Bap?
“Pensavamo di partire con l’espresso singolo a 1.30 con il blend. Le monorigini ovviamente cambiano: in fase di apertura avremo anche in carta un Panama Geisha Don Elvira che dovrà sforare quell’euro e 20 per ovvi motivi. Mentre il filtro si aggirerà tra i 3 e i 3.50.
Per quanto riguarda invece i lieviti e la pasticceria, producendo tutto noi – metà del locale è un laboratorio di cucina – riusciremo a mantenere i prezzi concorrenziali.
Lo stesso discorso vale per l’espresso: possiamo mantenere un costo più moderato perché abbiamo il potere dietro di una torrefazione vera e propria alla terza generazione: alcuni prodotti andiamo direttamente a prenderli alle origini per vedere le piantagioni e fare una selezione. A Panama, quando siamo andati nel periodo della raccolta, abbiamo deciso addirittura noi il processo di lavorazione con i farmer.”
E tutto questo è stato possibile perché Torrefazione 68 ha alle spalle una storia importante: il nonno di Giulia ha iniziato con un bar-torrefazione che tostava il caffè per sé e per alcuni colleghi. Il padre poi l’ha trasformata in un’azienda industriale, sempre però rispettando una qualità medio alta della materia prima.
E così Torrefazione 68 ha continuato su questa linea sino all’ingresso nel 2018 di Giulia e Fabrizio, che hanno affiancato le monorigini specialty e le miscele personalizzate di alta qualità all’offerta più commerciale. Attualmente ci sono due linee, una con processi di tostatura più industrializzati e l’altra più artigianale di specialty.
“Dopo un primo periodo di rodaggio necessario per far passare questa nuova modalità aziendale, concluso il Covid siamo stati compresi. Perché adesso le persone cercano più la qualità.“
Ma perché aprire ora Bap?
“In questo nostro percorso ci è capitato di gestire delle aperture a New York e a Londra. Nel primo caso in società con un altro cliente e il suo marchio per cui facciamo la miscela personalizzata.
Stando però sempre dietro le quinte, il modo di confrontarsi al pubblico avveniva soltanto tramite le fiere. Invece noi volevamo trasmettere il nostro messaggio di caffetteria senza che ci fosse alcun intermediario tra noi e il consumatore finale.
Così abbiamo pensato Bap, un locale internazionale che strizza l’occhio a tutto ciò che si può trovare in giro per il mondo, evoluto anche dal punto di vista del design e dell’estetica in stile Japandi con materiali grezzi e ispirazioni naturali, ma con l’accoglienza tipica dello stile scandinavo. Siamo molto contenti della location: nella zona inizia a bersi il caffè di alta qualità e le persone sono sempre più abituate grazie al lavoro portato avanti già negli anni da Faro.
Quando eravamo in fase di ricerca, abbiamo escluso il centro storico perché la nostra idea era quella di far arrivare facilmente i romani senza che si trasformasse un locale soltanto per turisti. Siamo il giusto compromesso, perché vogliamo conquistare entrambi i target. Essere nelle vicinanze di altre caffetterie specialty ci piace: una strada con più scelta dello stesso livello può essere trainante per la cultura dello specialty.”
Pasticceria e caffetteria: cosa c’è da Bap
“Per la parte del pranzo lo chef Matteo ha studiato un menù curato per gli uffici che fosse semplice, con proposte genuine ma realizzate con cura maniacale.
Ci saranno degli abbinamenti con il caffè nella pasticceria che includerà il primo come ingrediente nei dolci. Ci sarà sempre uno special in carta con il caffè che verrà usato anche nei cocktail – nei fine settimana saremo aperti anche a cena – e faremo dei signature a base di caffè. La cucina aprirà alle 9 di mattina e si potrà fare colazione scegliendo dalla vetrina o alla carta.”
La questione del personale come l’avete gestita?
“Così come abbiamo impostato il lavoro in torrefazione.
In Bap ci suddividiamo i compiti rispettando le varie competenze di ciascuno in famiglia. Poi abbiamo messo al banco Gianmarco Frosoni, esperto di latte art, mentre per la pasticceria abbiamo reclutato Lorenzo Spavone che stiamo formando con dei corsi sul caffè.
Si è aperto al mondo dello specialty e l’ha voluto inserire nella base dei lieviti. Allo stesso modo ogni componente dello staff è stato preparato sul caffè, sul vino, sul food, compresi i camerieri in sala che devono sapere spiegare il prodotto, raccontare le tazze, coinvolgere i clienti nell’identità di Bap.
È stato difficile trovarli, perché in giro c’è poca serietà in generale. Siamo partiti da una base di stipendi medio alta, proponiamo una formazione gratuita per evitare il turn over, dei contratti a tempo indeterminato, eppure ci siamo trovati spesso in situazioni spiacevoli: ad esempio qualcuno non si è neppure presentato ai colloqui dopo essersi proposti.
Da Bap il personale è un investimento e vogliamo sottolineare che chi parte con noi in questo progetto, dal banchista al pasticcere, ai ragazzi di sala, si adopera per arrivare allo stesso obiettivo: far crescere il locale, senza lasciare indietro nessuno. Tutti hanno la possibilità di fare carriera immediata, perché il nostro sistema è molto meritocratico.”
Da Bap, tutto è studiato, dalla colazione alla cena: si può spendere poco o tanto a seconda del momento
È possibile restare seduti quanto si desidera, all’interno di uno spazio di 140metri quadri con circa 35/40 coperti all’interno. Il bancone largo 60cm e alto un metro è stato pensato per un confronto diretto con il barista.
“Siamo contro l’approccio che alcuni del settore hanno rispetto al cliente, che sembrano quasi fare un favore a servirlo.
Dietro il nostro lavoro c’è sicuramente della cura, competenza, qualità, ma c’è anche il rispetto del consumatore, che è parte integrante di questo progetto e di cui accoglieremo le richieste e i feedback. Infatti Bap muterà in base alle reazioni di chi lo frequenta senza per questo snaturarsi: non faremo caffè in vetro, lo zucchero ci sarà anche se consiglieremo di non usarlo. Vogliamo educare con dolcezza i nostri clienti.”
Cosa vi aspettate dall’apertura?
“Che la gente si senta a proprio agio e riconosca in Bap un punto di riferimento forti anche della nostra esperienza da torrefattori.
Per scegliere la stessa miscela, ognuno di noi in azienda ha creato più soluzioni, confrontandosi con degli addetti ai lavori, facendo degli assaggi alla cieca con la compilazione di schede non puramente tecniche: nel pull abbiamo coinvolto anche persone non addette ai lavori perché non volevamo una miscela stratosferica che però fosse incomprensibile per il cliente finale. Senza volerlo abbiamo fatto delle valutazioni sull’esempio del nuovo C.V.A. di Sca, che troviamo più completo rispetto al precedente.
Testandolo un paio di volte per curiosità abbiamo capito che può aiutare a valutare più a 360 gradi il caffè che si sta assaggiando. Certo, bisogna farci l’abitudine perché il sistema del punteggio è stato un modo fin qui per comunicare basandosi sugli stessi parametri con i professionisti di diverse parti del mondo.”
Come state affrontando la crisi che sta colpendo i torrefattori?
“Facciamo fatica come tutti, per la reperibilità e per i costi delle materie prime, soprattutto – anche se può sembrare assurdo – con la Robusta che usiamo per le miscele più commerciali (scegliamo solo quella indiana che costa più dell’arabica commerciale brasiliana e allo stesso tempo non possiamo alzare troppo i prezzi).
Di base, avendo sempre fatto un lavoro di qualità, vendevamo già prima di questa crisi a dei prezzi un po’ più alti rispetto alla concorrenza. Il nostro margine ora si è assottigliato, ma teniamo duro. Quando abbiamo aumentato dopo il Covid nessuno si è lamentato, pur di avere la stessa qualità.”
Un dettaglio sul vino: “Nel servizio facciamo una mescita importante. La nostra sommelier non si spaventa ad aprire bottiglie di un certo livello e come per il caffè facciamo degustare diversi tipi di vino.“
PIAN DI SAN BARTOLO (Firenze) – L’International WELL Building Standard include la biofilia come parametro qualitativo e quantitativo. Il nostro ambiente costruito può̀ modellare le nostre abitudini, regolare il nostro ciclo sonno-veglia, guidarci verso scelte sane e malsane e influenzare il nostro benessere attraverso la qualità̀ dello spazio in cui viviamo.
Le piante producono ossigeno e nutrimento, migliorano la qualità̀ degli spazi, preservano l’ecosistema, sono sensori straordinari capaci di monitorare qualunque variazione ambientale e sono in grado di scambiarsi informazioni tra di loro.
La simbiosi con le piante offre soluzioni a molte delle maggiori contraddizioni e criticità̀ legate allo sviluppo della nostra specie, tra le quali la relazione tra inquinamento e ambiente.
L’integrazione delle piante nell’edificio genera valori per gli occupanti in tutti i contesti: dai luoghi di apprendimento agli spazi di cura. Le piante favoriscono la concentrazione, contribuiscono a ridurre lo stress e influiscono positivamente sulla salute delle persone. Tutte le attività̀ creative, analitiche e di apprendimento sono facilitate dalla vicinanza del verde e vale lo stesso anche per il coinvolgimento e la soddisfazione dei lavoratori.
La qualità dell’aria indoor
Negli ultimi anni la qualità dell’aria indoor è stata finalmente riconosciuta come obiettivo imprescindibile di una strategia integrata relativa all’inquinamento atmosferico nel suo complesso. Basti pensare che nel 2000 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tramite il documento del “The Right to Healthy Indoor Air”, ha riconosciuto una salutare aria indoor come un diritto umano fondamentale.
La scarsa qualità̀ dell’aria all’interno di spazi chiusi è, dunque, un tema sempre più̀ sentito, dato che in media trascorriamo il 90% del nostro tempo in ambienti chiusi.
L’aria indoor ha la caratteristica di essere composta da una miscela di sostanze molto più variabile rispetto all’aria degli ambienti esterni. Gli inquinanti dell’aria indoor sono originati da oggetti, materiali e attività presenti negli spazi chiusi, per questo accade spesso che gli inquinanti rilevati siano presenti in quantità superiori a quelle misurate nell’aria esterna o, addirittura, che all’interno si rilevino inquinanti non presenti all’aperto.
L’inquinamento ambientale indoor proviene da fonti diverse, inclusi materiali da costruzione, arredi, prodotti per la pulizia, prodotti per la cura personale e deodoranti per ambienti. Anche gli occupanti degli edifici emettono molti contaminanti volatili diversi sotto forma di bioeffluenti umani.
Gli effetti sulla salute associati all’esposizione agli inquinanti atmosferici interni possono essere a breve e a lungo termine e possono avere diversi livelli di severità. L’inquinamento atmosferico indoor è considerato la terza causa più̀ importante di malattia per la popolazione mondiale.
Gli inquinanti dell’aria indoor
Gli inquinanti più comuni che ritroviamo dall’analisi dell’aria indoor sono classificabili in due categorie:
I VOCs Composti organici volatili capaci di evaporare facilmente nell’aria a temperatura ambiente. Sono presenti in molti prodotti di uso quotidiano e nei materiali da costruzione.
Polveri sottili – anche detto particolato: è l’insieme delle sostanze solide o liquide sospese in aria che misurano da pochi nanometri a 100 µm. sono tra gIi inquinanti più frequenti nelle aree urbane
Fonti di inquinamento indoor
Casa – Fumo di tabacco, forni a gas, caldaie, forni a legna e caminetti, materiali da costruzione, arredamenti, detergenti per la casa, apparecchiature elettriche.
Ufficio/Scuola – Fumo di tabacco, materiale di costruzione, arredi, stampanti e fotocopiatrici, impianti di condizionamento e di ventilazione dell’aria, cancelleria e materiale scolastico.
La Fabbrica dell’aria nell’Accademia del caffè espresso
Fabbrica dell’aria è un innovativo sistema di filtrazione botanica, che purifica l’aria interna dagli inquinanti attraverso l’utilizzo delle piante. È una bio-macchina replicabile, scalabile e le cui prestazioni sono misurabili.
Le piante non sono solo elementi decorativi, ma il cuore tecnologico di un nuovo concetto di design.
Nell’aprile del 2022 è stata installata, nei locali dell’Accademia del caffè espresso, una Fabbrica dell’aria grazie alla riconversione di una serra già adibita alla coltivazione ornamentale di piante da caffè.
In questo spazio, la Fabbrica dell’aria interpreta la vocazione del sito ponendo al centro dell’attenzione le piante di caffè che sono associate a banani e ad altre specie vegetali, per riprodurre l’habitat e il microclima tipici delle zone tropicali.
In questa installazione la pianta di caffè è pensata come protagonista, agendo come principale attrice nel processo di purificazione dell’aria.
Come funziona la Fabbrica dell’aria
Fabbrica dell’aria è equipaggiata al suo interno di vasche dotate di tecnologia Stomata; questa permette all’aria di diffondersi meglio all’interno del substrato entrando in contatto con l’apparato radicale ed il complesso sistema di microorganismi, principali responsabili della degradazione degli inquinanti target.
Un ulteriore stadio di filtrazione è dato dalle foglie, che assorbono gli inquinanti ancora presenti, e li degradano e convertono in altri composti utili per le piante. i sensori misurano in tempo reale i dati dell’aria in entrata ed in uscita, misurando l’abbattimento degli inquinanti.
Per questa specifica installazione si è deciso di consociare le piante normalmente scelte per la filtrazione botanica con quelle da caffè che garantiscono il perseguimento dell’obiettivo di depurazione dell’aria.
Ogni Fabbrica dell’aria è dotata di uno strumento di misurazione (sensore) in grado di misurare in real time la qualità dell’aria in ingresso ed in uscita al fine di quantificare puntualmente l’azione di purificazione dell’aria e di poterla correlare ad eventuali agenti noti presenti nei momenti di maggior concentrazione degli inquinanti.
In poche parole, è possibile sia misurare la qualità dell’aria che l’azione depurativa del sistema di filtrazione.
I dati ottenuti vengono trasmessi ad una dashboard che consente di raccoglierli e mostrarli (sempre in realtime) in loco e su eventuali spazi online dedicati.
I dati
I sensori installati nella FdA sono in grado di misurare in tempo reale i seguenti dati:
– Thermal Comfort Index L’indice di comfort termico è la combinazione della temperatura e dell’umidità dell’aria, in quanto fattori fisici più comuni che potrebbero influenzare il benessere degli occupanti di un edificio.
– Indoor Air Quality Index L’indice di qualità dell’aria interna tiene conto dei parametri di qualità dell’aria (CO2, PM e VOC) che incidono sulla salute e il comfort delle persone nell’edificio.
– Environmental Indoor Air Quality Index L’indice ambientale della qualità dell’aria interna combina i due indici precedenti. L’EIAQI informa gli utenti sullo stato di comfort generale della stanza
– Temperatura
– Umidità dell’ambiente
– Quantità di inquinanti assorbiti in tempo reale dal sistema: VOCs e PM2,5
Considerando che la FdA nell’Accademia del caffè espresso è attiva da 24 mesi possiamo stimare che i valori totali di inquinanti rimossi fino ad oggi siano i seguenti:
Per avere un’idea degli effetti positivi sull’aria trattata è utile osservare come variano i livelli di depurazione nei diversi mesi dell’anno. Nella stagione invernale, infatti, la rimozione dei PM2,5 è nettamente superiore a quella misurata nei mesi estivi.
Questo può essere dovuto a molteplici fattori, tra i quali un inquinamento atmosferico maggiore dovuto agli impianti di riscaldamento degli edifici (e quindi ad una maggiore concentrazione di inquinanti) o anche al minor interscambio di aria tra l’esterno e l’interno degli edifici, in questo caso rimarcando come la fonte degli inquinanti sia spesso proprio interna. (Vedi immagine 1)
Lo stesso trend può essere osservato nei valori riportanti l’abbattimento medio mensile dei VOCs (g) (Vedi Immagine 2)
Anche gli indici di qualità dell’aria calcolati dei sensori ci portano a notare che la qualità dell’aria sia migliore durante i mesi più caldi (Vedi Immagine 3 e 4)
Diverso è invece l’andamento dell’indice di comfort termico che, da un’osservazione dei dati, ci indica un miglioramento delle condizioni durante i mesi invernali (Vedi Immagine 5).
Per raccontare invece la capacità di Fda di abbattere il contenuto di CO2 nell’aria riportiamo un grafico che ne rappresenta l’andamento giornaliero nel quale l’aumento di concentrazione viene registrato nelle ore centrali della giornata. Dal grafico si può notare come l’abbattimento della CO2 sia pressoché costante anche al variare della concentrazione di Co2. (Vedi Immagine 6)
La Fabbrica dell’aria è uno strumento polivalente che ci consente di agire attivamente sulla qualità dell’aria indoor attraverso la depurazione, migliorare la vivibilità degli spazi grazie all’azione biofilica ma può anche essere pensata come un importante strumento di monitoraggio che, grazie alla componente sensoristica, ci permette di conoscere puntualmente i valori dei principali inquinanti dell’aria indoor presente negli spazi in cui viviamo dandoci modo di intuire e magari anche intervenire sulle fonti di inquinamento diretto.
MILANO – Riportiamo i risultati del rapportoBrand Footprint Europe diffuso da CPS GfK, ora di proprietà di YouGov, che ha trovato le sue fondamenta a sua volta sulla classifica Global Brand Footprint, avviata oltre dieci anni fa dal Kantar Worldpanel. L’analisi dà una panoramica delle preferenze dei consumatori, mostrando i marchi che sono entrati maggiormente nei carrelli durante un altro anno di instabilità economica in Europa.
Il rapporto identifica i brand più scelti in Europa, fornendo preziose indicazioni sulle preferenze regionali e sulle dinamiche di mercato.
I dati della Global Brand Footprint sono raccolti in 62 mercati e cinque continenti, analizzando più di 42.000 marchi di consumo e coprendo il 76% della popolazione globale. In Europa vengono analizzati 21 mercati.
Ecco quali sono stati i fast moving consumer goods (FMCG) o prodotti di largo consumo più richiesti nel 2023 a livello globale secondo Brand Footprint Europe:
La classifica cambia settando i parametri di ricerca su Italia e scendendo nel dettaglio del settore Beverage
La caffeina si fa largo: Coca Cola si conferma al primo posto, mentre all’ottavo posto si classifica Lavazza. Le prime dieci posizioni hanno riguardato grandi brand: Coca-Cola, San Benedetto, Sant’Anna, Pepsi, Estathe, Levissima, Moretti, Lavazza, Peroni e Ichnusa.
Il Centro per l’impiego di Torino ha partecipato all’iniziativa A cup of learning. Il progetto in questione ha visto il coinvolgimento di giovani selezionati dal Centro per l’impiego in un percorso di alta formazione breve e intensiva presso i training Center Lavazza al fine di diventare barista professionista. Leggiamo di seguito la notizia pubblicata sul portale dell’Agenzia Piemonte Lavoro.
Il Centro per l’impiego di Torino protagonista al progetto di Lavazza A cup of learning
TORINO – Anche il Centro per l’impiego di Torino è stato ospite, mercoledì 4 luglio nella Nuvola Lavazza a Torino, del dialogo di confronto e restituzione dell’iniziativa A cup of learning, con Antonio Damasco e Lucia Moretti della Rete delle portinerie di comunità e Carolina Guercio della Lavazza.
Il progetto, giunto alla sua quarta edizione, vede il coinvolgimento di giovani individuati e selezionati dal Centro per l’impiego in un percorso di alta formazione breve e intensiva presso i training Center Lavazza per diventare barista professionista e di un successivo inserimento presso bar e ristoranti convenzionati con Lavazza.
Durante l’incontro è stata ribadita l’importanza della collaborazione tra soggetti pubblici e privati nel promuovere opportunità di apprendimento e di inserimento professionale ed è stato confermato il successo della sinergia come modello di inclusione e supporto alla cittadinanza, evidenziando come la cooperazione tra diverse realtà generi un impatto decisivo di valore sulle persone e sui giovani.
L’incontro è stato organizzato all’interno del Festival delle culture popolari, un evento ricco di incontri e dialoghi sulla connessione sociale e culturale animata dalla Rete delle portinerie di comunità, rivolto ad amministratori pubblici e di responsabili di enti del privato sociale cui si intende promuovere il modello di rete di comunità.
Agenzia Piemonte Lavoro ed il Centro per l’impiego di Torino animano la rete con continuità attraverso la presenza attiva settimanale nella Portineria di Porta Palazzo e l’erogazione di servizi informativi al lavoro rivolti alla comunità, testimoni del buon funzionamento del modello di collaborazione ed ecosistema integrato.
Secondo l’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milano 8 aziende agroalimentari su 10 ricorrono a processi di riuso degli scarti di lavorazione. Questo è il caso di illycaffè che ha presentato a Cosmoprof 2024, grazie a Intercos (prodotti di bellezza e make up) e Amarey (società del gruppo illy), un innovativo burro di caffè dalle molteplici applicazioni, con proprietà tonificanti ed emollienti (ne abbiamo parlato qui). Leggiamo di seguito parte dell’articolo di Maria Teresa Manuelli per Il Sole 24 Ore.
L’impegno di illycaffè per la sostenibilità con Amarey
MILANO – Nella valorizzazione delle eccedenze, le aziende alimentari italiane di trasformazione risultano molto attive: 8 su 10 utilizzano almeno una pratica di economia circolare, tra riuso (per fini sociali e non) e valorizzazione di residui e scarti non più edibili. Nello specifico, il 75% adotta forme di riuso, soprattutto donazioni per fini sociali, ma anche vendite su mercati secondari, ritrasformazione o cessione per l’alimentazione animale. In Italia, le grandi e medie aziende della trasformazione donano circa 139mila tonnellate di eccedenze edibili per anno, mentre ne riusano in altra forma altre circa 182mila tonnellate.
Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’ Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano . Numerosi sono gli esempi virtuosi di quando lo scarto diventa ingrediente.
Da scarto alimentare a prodotto di bellezza è quanto presentato in occasione di Cosmoprof 2024, da Intercos (prodotti di bellezza e make up) e Amarey (società del gruppo Illy), ovvero un innovativo burro di caffè dalle molteplici applicazioni, con proprietà tonificanti ed emollienti. Il prodotto nasce dalla “silverskin”, la pellicina argentata che riveste i chicchi di caffè, una pellicola che si stacca durante il processo di tostatura e che fino a oggi veniva scartata.
La silverskin conserva una piccola parte di grasso che rappresenta un grande valore aggiunto per il mondo della cosmesi.
“Applicando il modello dell’economia circolare – dichiara David Brussa a Il Sole 24 Ore, direttore qualità totale e sostenibilità della illycaffè – abbiamo studiato come convertire elementi che attualmente vengono scartati dal processo di produzione, come per esempio la polvere di caffè verde, i chicchi tostati rotti e, appunto, la silverskin, in un nuovo sottoprodotto. Vogliamo valorizzare tutte le possibili tipologie di scarto, perché sappiamo che sono ancora molto ricche di molecole che possono essere reinserite in altri circuiti produttivi e riutilizzate”.
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MILANO – Nel 2023 l’Italia ha riciclato il 75,3% dei suoi rifiuti di imballaggio: 10 milioni e 470milatonnellate su un totale di 13 milioni e 899mila tonnellate immesse al consumo. Una percentuale di riciclo in forte crescita rispetto al 71% circa del 2022, anche per via di una riduzione dei pack immessi al consumo in Italia. Lo annuncia CONAI nella sua Relazione generale.
Riciclo imballaggi: nel 2023 percentuale in crescita
“Numeri incoraggianti per l’Italia” commenta il direttore generale CONAI Simona Fontana. “I quantitativi di materia riciclata crescono, e confermano il settore del riciclo degli imballaggi come strategico per l’economia circolare nazionale. I risultati 2023 superano i target UE previsti al 2030 nonostante un contesto generale difficile per le imprese italiane.”
Fontana aggiunge: “Il balzo in avanti della percentuale di riciclo è risultato di una crescita delle quantità di rifiuti di imballaggio riciclati a fronte della contestuale riduzione dei quantitativi di packaging immessi sul mercato nazionale nel 2023. Il tessuto imprenditoriale, infatti, ha fatto ricorso alle scorte di imballaggi e prodotti imballati accumulate nel 2022, producendo uno sfasamento temporale fra la produzione degli imballaggi, il loro uso e il momento in cui sono diventati rifiuti”.
Nel dettaglio, sono state riciclate 418mila tonnellate di acciaio, 59mila di alluminio, 4 milioni e 674mila di carta, 2 milioni e 164mila di legno, 1 milione e 55mila di plastica tradizionale e circa 44mila di bioplastica compostabile, 2 milioni e 46mila di vetro.
E se alle cifre del riciclo si sommano quelle del recupero energetico – ossia l’uso dei rifiuti di imballaggio come combustibile alternativo per produrre energia – il totale di imballaggi recuperati e non finiti in discarica arriva a 11 milioni e 804mila tonnellate, ossia l’85% dei pack immessi al consumo.
Numeri resi possibili anche dal lavoro portato avanti da CONAI e dal sistema consortile con i Comuni italiani tramite l’accordo nazionale con ANCI, in accordo con i Consorzi di filiera.
Nel 2023 sono stati 7.242 i Comuni che hanno stipulato almeno una convenzione con il sistema consortile, con una fetta di popolazione servita pari al 96% degli Italiani. E oltre 15 milioni sono gli abitanti del Centro-Sud coinvolti in progetti territoriali speciali volti a far crescere le raccolte per il riciclo nelle aree ancora in ritardo.
Per coprire i costi di ritiro dei rifiuti di imballaggio in modo differenziato, nel 2023 CONAI ha versato ai Comuni italiani 696 milioni di euro: risorse che provengono dalle imprese produttrici e utilizzatrici di imballaggi che si fanno carico dei costi da sostenere per gestire il fine vita degli imballaggi che immettono sul mercato.
I risultati di riciclo 2023 permettono all’Italia di rimanere in una posizione solida nel quadro europeo.
“Gli obiettivi complessivi di riciclo chiesti dall’Unione al 2030, quando ogni Stato dovrà riciclare almeno il 70% dei suoi rifiuti di imballaggio, sono ormai ampiamente superati” spiega Simona Fontana.
C’è di più: “Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia è leader per riciclo pro-capite di imballaggi in un testa a testa con la Germania, staccando di diversi punti il più piccolo e gestibile Lussemburgo. Non è un caso che lo scorso anno la Commissione Europea abbia inserito il nostro Paese fra i nove non a rischio per il raggiungimento degli obiettivi di riciclo, nella sua relazione di segnalazione preventiva sull’attuazione delle Direttive sui rifiuti”.
Fontana continua: “Non è il momento di fermarsi, però. Il nuovo Regolamento europeo chiederà tassi di intercettazione dei pack sempre più alti: dobbiamo continuare a lavorare per aumentare quantità e qualità delle raccolte differenziate degli imballaggi, anche attraverso lo strumento delle raccolte selettive, ove opportune. Per migliorare ancora saranno importanti le innovazioni a monte, nella progettazione di imballaggi sempre più riciclabili e rigenerabili, e a valle, nelle tecnologie di riciclo in grado di recuperare materiale dalle frazioni oggi ancora più difficili da riciclare. L’augurio, poi, è quello che sempre più materiali possano rientrare in modo efficiente in un flusso sostenibile e circolare. Non solo i materiali da imballaggio, che a livello europeo rappresentano il 4% dei rifiuti totali”.
In crescita per il 2023 anche i quantitativi di imballaggi riutilizzati: nel 2012, infatti, CONAI ha introdotto agevolazioni e semplificazioni contributive per gli imballaggi concepiti per un uso pluriennale.
Nel 2023 sono stati più di un milione e 200mila tonnellate gli imballaggi riutilizzabili dichiarati a CONAI, in crescita rispetto al milione e 155mila del 2022; tra questi, i più diffusi sono gli imballaggi in legno, come i pallet, e le bottiglie in vetro a rendere del circuito ho.re.ca.
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