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venerdì 22 Novembre 2024
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Paesi del caffè e del cacao. La Colombia nel labirinto della pace

A quasi tre anni dall’inizio dei colloqui di pace tra il Governo centrale di Bogotá e l’alto comando delle FARC, si evidenzia un percorso non ancora compiuto che si districa tra segnali di ottimismo e momenti di forte crisi

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di William Bavone*

STORIA DI UNA PACE ANCORA INCOMPIUTA – Per giungere all’attuale dialogo tra Governo colombiano e Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) occorre andare indietro nella storia e capire come nascono queste milizie di guerriglia e come in passato lo Stato ha inteso contrastarle.

Le FARC nascono nel 1964 in risposta all’accordo interno all’oligarchia colombiana che prevedeva una ripartizione temporale del potere nel Paese: 4 anni di governo liberale si sarebbero alternati con 4 anni di governo conservatore.

Una ripartizione che, di fatto, limitava ogni possibile alternativa politica e foraggiava una solida e articolata struttura clientelare e di corruzione. Il movimento di guerriglia formatosi in tale contesto ha operato sino ad oggi come attore antagonista alle Istituzioni, contrapponendosi alle stesse in modo violento.

Situazione non semplice visto che l’appartenenza alla guerriglia non è stata l’unica alternativa per sfuggire ad un sistema nazionale deficitario. La Colombia, infatti, è tristemente nota per la ripartizione territoriale in cartelli della droga, che a loro volta rappresentano una facile e alternativa via di fuga alla miseria.

Parallelamente a ciò si è verificato anche il fiorire di gruppi paramilitari che, un po’ per conto di multinazionali straniere, un po’ per i cartelli e un po’ per conto di alcuni esponenti della classe politica, hanno contribuito al persistere dello stato di terrore tra i civili mediante azioni di violenza quotidiana.

Si evince quindi una matassa ingarbugliata in cui, molto spesso, il confine tra l’una e l’altra parte è meno nitido di quanto possa sembrare, ma che ha mantenuto a lungo tempo la Colombia in una perenne guerra civile.

Si badi che il termine “guerra civile” è il più appropriato visti i numerosi attori coinvolti (Stato, narcotrafficanti, guerriglia, paramilitari) e la quantità di aree geografiche e persone interessate (sia attivamente come soldati sia passivamente come vittime innocenti).

I PRIMI ANNI DUEMILA – Fatto sta che un tentativo di pace c’è stato e risale al periodo 1998-2002 con la presidenza di Andrés Pastrana. Tuttavia la storia testimonia come tale tentativo naufragò e anzi, con l’ascesa politica di Álvaro Uribe, il conflitto interno subì un forte inasprimento.

Uribe ebbe l’intelligenza politica di ottenere un ampliamento del Plan Colombia – cooperazione operativa ed economica da parte degli Stati Uniti nella lotta al narcotraffico e concordata durante la presidenza di Pastrana.

Nello specifico unì il Plan Colombia alla lotta al terrorismo ottenendo il riconoscimento internazionale delle FARC quale gruppo terroristico, per di più invischiato con i cartelli della droga. Una manovra che, a seguito dei fatti dell’11 settembre 2001, ha posto la guerriglia all’attenzione della comunità internazionale quale minaccia terroristica, restituendone un’immagine totalmente negativa.

Cosa non trascurabile dato che accresce considerevolmente le disponibilità economiche e tecniche in favore del Governo di Uribe. L’approccio del Governo colombiano sulla questione è stato sempre severo e intransigente e l’appoggio dell’opinione pubblica internazionale non fa che giustificare la ferocia della rappresaglia nei villaggi identificati come rientranti nel territorio d’influenza delle FARC.

A questo si va a sommare un’importante presenza statunitense sul territorio colombiano con l’impiego operativo della DEA (Drug Enforcement Administration) e la disposizione di ben tre basi militari.

UNA GUERRA CIVILE IN NUMERI – Il conflitto interno colombiano, in poco più di 50 anni, ha portato il computo delle vittime ad oltre 600 mila e costretto 4 milioni di persone a rinunciare alla proprietà terriera.

Ancor più nel dettaglio, si contano: 27023 sequestri; 1344 azioni belliche; 1566 attentati; 11751 massacri; 25007 desaparecidos; 1754 violenze sessuali; 6562 torture; 132125 minacce rilevate (Fonte TeleSur). A fronte di queste minacce, la spesa pubblica nel settore della difesa è del 17,9% del PIL (Ministero del Tesoro e del Credito Colombiano in bilancio preventivo 2014), ovvero 14717,74 di dollari americani, una cifra superiore a quella investita nell’istruzione o nella salute. Un investimento che continua a crescere (+ 19,6% sul quadriennio 2007-2010) e che vede un quasi 8% destinato a nuove attività.

Oltre 9 miliardi di dollari sono stati investiti ad oggi dagli Stati Uniti nel Plan Colombia per contrastare sulla carta l’espansionismo dei cartelli colombiani tra i quali spiccano quello di Medellin, quello di Cali, quello del Norte del Valle e il cartello de la Costa.

In un contesto del genere non possono mancare le identificazioni specifiche di alcuni gruppi paramilitari come le Águilas Negras, Los Rastrojos e Los Urabeños, che tra politica, narcotraffico e multinazionali ricevono lauti compensi in cambio di cruente azioni armate.

A ciò occorre sommare il numero crescente di sin tierra (a causa dell’esproprio forzoso ad opera degli attori citati in competizione armata tra loro) e la condizione indigena che continua ad essere un tema marginale per la politica colombiana.

DA OSLO A L’AVANA, LA SCOMMESSA DI SANTOS – Dal 2010 a capo del governo colombiano vi è Juan Manuel Santos Calderón, che ha avuto un approccio in politica interna diametralmente opposto.

L’escalation di violenza in Colombia ha un impatto anche sul flusso di IDE (Investimenti Diretti Esteri) oltre che sullo sviluppo vero e proprio della società colombiana, pertanto Santos ha virato progressivamente verso la costruzione di una pace duratura e definitiva almeno con i gruppi guerriglieri, con l’auspicio di potersi poi concentrare sulla lotta al narcotraffico.

Il dialogo di pace è iniziato ad Oslo il 18 ottobre 2012 per poi trasferirsi un mese dopo a L’Avana. La trattativa vede seduti allo stesso tavolo governo ed esponenti delle FARC nel tentativo di risolvere sei punti essenziali per il conseguimento della pace:

sviluppo agricolo integrale;
partecipazione politica;
narcotraffico;
conclusione del conflitto mediante dissoluzione, disarmo e reintegro;
risarcimento alle vittime;
implementazione e verifiche.

Un impegno che, sino ad oggi, ha fruttato a Santos una riconferma alle elezioni del 2014 – a discapito degli uribisti, pronti a far fallire ogni dialogo con la guerriglia – ed allo stesso tempo il protrarsi dei flussi finanziari provenienti da Washington e rientranti nel sempre vivo Plan Colombia.

Tuttavia, se l’ottimismo cresce tra i colombiani e a livello regionale, si rilevano anche attimi di forte tensione in cui la pace appare lontana, come verificatosi tra aprile e maggio, quando esercito e FARC sono entrati in collisione nel dipartimento di Cauca con la morte di 11 soldati e 18 guerriglieri.

Scontri che molto spesso vengono attribuiti all’interferenza di paramilitari, narcotrafficanti e/o fazioni politiche poco favorevoli alla fine del conflitto civile colombiano.

Sembra comunque che il progetto di Santos sia ben più solido di quanto si possa credere nei ranghi dell’opposizione e, dopo primi attimi di forte tensione – il Governo centrale aveva annullato unilateralmente il cessate il fuoco imposto per il processo di pace in atto – si è riseduto pazientemente al tavolo delle trattative a L’Avana.

Ed un esito positivo di tale dialogo non è altro che quanto di migliore si possa augurare ad un popolo martoriato da più di 50 anni da un conflitto per il quale è per lo più vittima inerme.

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