PISA – Stavamo quasi per spegnere la registrazione, lui aveva appena finito di raccontare che il suo lavoro non finisce mai, non stacca un attimo, a volte neppure di notte; anche per via del fuso orario («c’è sempre qualcuno che potrebbe chiamarmi dall’altra parte del mondo»), ma poi ci è venuto in mente di chiedergli se fosse ricco. Sì, insomma, Pablo Victor Dana (FOTO) deve essere un magnate. Quest’uomo d’affari che ha appena strappato il Pisa ai Petroni per conto di un gruppo arabo come potrebbe non esserlo?
E invece lui alza il bicchiere colmo d’acqua dal tavolo da fumo bianco, si concede solo un sorso. Sorride e giura che «no, assolutamente». Anzi, «magari» aggiunge.
Pablo Victor Dana: un manager dal budget modesto
Spiega che lui e sua moglie spendono tutto per i cinque figli. Per dare loro la migliore educazione possibile. Sì, a Dubai ci si è trasferito anche perché la Svizzera è un «paese carissimo» e invece negli Emirati «non si pagano le tasse».
Jeans chiaro slavato, camicia nera, braccialetti di pelle ad un polso, un orologio casual nell’altro. Il manager dei sogni nerazzurri ha scelto il B&b Hall. Una dimora elegante ma non sfarzosa nel centro di Empoli, per rilassarsi prima della partita. Un giro sul corso, in via del Papa, e poi di nuovo richiuso qui, a caccia di aria condizionata.
Pablo Victor Dana racconta
«Non mi piace farmi notare. Anche quando incontro i presidenti delle squadre di calcio lo faccio rintanandomi in qualche ristorantino defilato, a Marsiglia però mi scovarono».
Eppure sù, un pizzico di egotismo in quest’uomo che si professa monarchico ma incline all’anarchia fiscale, cresciuto in Publitalia, e che ha cominciato a fare della finanza il suo pane quotidiano a 26 anni, deve pur esserci. Usa Twitter e Instagram «almeno tre o quattro ore al giorno».
Chi è insomma, Pablo Victor Dana
Scoprire chi è e chi c’è dietro questo gigante dal volto un po’ tozzo, dalla mandibola poderosa e lo sguardo ceruleo. Bonaccione e quasi melanconico, diventato una specie di conquistatore, di salvatore della patria.
Dana, parliamo di lei?
«E perché, a chi dovrebbe interessare?»
Ai pisani ad esempio.
«No, io non ho fatto tutto questo per l’ego. Io lavoro per un fondo di investimento»
Dove ha fatto il liceo?
«Ho fatto tutte le mie scuole in Svizzera, nel cantone di Vaud. A Ferrara ci sono nato, ma ne sono partito a cinque anni. Poi ho lavorato lì e un po’ dappertutto, Milano, New York, Ginevra, Costarica…»
Ha sempre fatto il banchiere?
«No, a Milano ero in Publitalia, ero uno degli uomini di Berlusconi. Poi ho lavorato nel business del caffè per l’azienda di famiglia con mia moglie. Ma poco dopo sono entrato in banca a Ginevra e, dopo essere passato da diverse banche, mi sono specializzato in operazioni finanziarie legate a fondi di investimento».
Senta, il suo nome in Italia è legato allo sport e alla trattative per Milan, Marsiglia, perfino Napoli, Genoa.
Perché il calcio?
«Per caso. Ho molti amici calciatori e sportivi, dal calcio alla Formula Uno, anche perché per molti di loro ho fatto gestione patrimoniale»
E a Dubai come c’è arrivato?
«La crisi del 2008 aveva bloccato tutte le operazioni ad alto rischio in Europa. Tutta la finanza a rischio con la recessione ha preso una botta nei denti. Mi fecero un’offerta dalla banca nazionale di Dubai e io accettai».
Lì è nata la trattativa col Milan?
«Una sera, a cena a Bangkok, Fabio Cannavaro suggerisce a Bee Taechaubol di prendere il Napoli. Lui risponde che il suo sogno è il Milan, ma non era riuscito a mettersi in contatto con nessuno. Così gli ho organizzato gli incontri.
Poi è andata male perché Berlusconi ci ha ripensato, cosa che ha irritato sia Bee che altri due suoi investitori. Ma questo non ha incrinato i miei rapporti con Berlusconi.
Il dottore è uno degli uomini più straordinari che abbia conosciuto, c’è stima reciproca fra noi. Ma sono convinto che la storia non sia finita lì. I milanesi non sanno a chi hanno venduto, sia io che Mr Bee siamo alla finestra».
A chi ha venduto veramente Petroni?
«Chiariamo: il fondo si chiama Sportativa, ed è stato incorporato oggi in Equitativa, che è una società di gestione di altri fondi di investimento.
Ho deciso di crearlo per avere più libertà di manovra e soprattutto in breve tempo. Ho cominciato a fare raccolta, incontrando i miei amici a Dubai, fra cui Sylvain Vieujot, un uomo d’affari francese, il fondatore del primo fondo di investimento immobiliare a Dubai, la Emirates Reit, il più grosso negli Emirati.
Gli è piaciuta l’idea, però mi ha suggerito di dare la gestione amministrativa e finanziaria a Equitativa. A me fa guadagnare meno, ma mi rende più solido»
Ma chi è che rischia col Pisa?
«I nostri investitori»
E chi sono?
«Investitori qualificati. Società finanziarie, piccole banche e una clientela sperimentata. C’è ad esempio Abdul Wahab Al-Halabi, amministratore del fondo».
Gattuso c’è?
«No, e nemmeno Lucchesi, anche se è il primo a cui avevo pensato come advisor».
Come pensa di guadagnare col calcio?
«Be’, c’è lo sviluppo del marchio internazionale. Pisa è un simbolo unico, la sua Torre. Per questo voglio portare la squadra a giocare amichevoli all’estero. Servirà ad attrarre sponsor.
Tutti si stanno interessando alla città. Gli aeroporti in Toscana stanno crescendo e Pisa diventerà un hub, anche le linee aeree potrebbero diventare un nostro sponsor».
La serie A è un sogno?
«No, non è un sogno ma un obiettivo».
Servono giocatori?
«Arriveranno. Ma saranno Rino e Lucchesi a gestire questa parte, noi non ci mettiamo lo zampino».
C’è stato un momento in cui ha disperato di farcela?
«All’inizio pensavo sarebbe stato molto più semplice. Ma credo che la famiglia Petroni abbia avuto difficoltà legate anche alla situazione del patron»
Cosa manca al Pisa?
«Un sito internet più aggiornato, profili Facebook, Instagram, Twitter gestiti meglio»
Lei è molto social.
«Sì, li uso almeno quattro ore al giorno. A volte sono una schiavitù. Quest’estate mi sono disintossicato. Dieci giorni senza».
Come si rilassa Pablo Victor Dana?
«Con i miei bambini. Ne ho cinque, la più grande ha 22 anni, il più piccolo 8. Li porto a giocare a polo. I prati, gli alberi, la natura mi rilassa.
Poi la cucina, sono giudice dell’Accademia italiana di cucina. E tutte le sere cucino per la famiglia. Voi credete che sia mondano, in realtà sono un uomo di famiglia».
E la politica, è una passione?
«Oh no no, io sono apolitico»
Ma ce l’avrà una sua visione?
«Guardi, ho lasciato Berlusconi quando ha deciso di entrare in politica. E vivo in un regno, dove la politica è dettata da un uomo solo con una visione straordinaria e apprezzo molto questo modello di governo».
Be’ ci saranno limitazioni delle libertà?
«No. C’è anzi un culto del rispetto dell’altro che in Europa non trovo».
Rimpiange un po’ la Svizzera?
«No, gli inverni erano duri. Neve, nebbia. Avevamo bisogno di sole e di far conoscere un’altra parte di mondo ai bambini. Dubai è perfetta.
E poi in Svizzera ci torno in estate; divido le vacanze con Forte dei Marmi, cliente storico del bagno Augustus, sì quello degli Agnelli».
Prima in un cantone nel mezzo alla natura, ora in un grattacielo?
«No, macché viviamo sull’isola a forma di palma. Casa vista mare, un passo dalle spiagge».
Mario Neri