MILANO – Una pessima annata per la ristorazione italiana, all’insegna di lockdown, limitazioni, asporto, delivery, distanze e coprifuoco. E, soprattutto, di incassi davvero ridotti, al fronte di spese e bollette ancora da sostenere. Molti sotto questa pressione non hanno retto e hanno chiuso i battenti per sempre. L’entità di questo fenomeno? Scopriamolo attraverso le cifre riportate dal Rapporto 2021 dell’Osservatorio Ristorazione, riportate dall’articolo di Alessandra Favaro su repubblica.it.
Ristorazione: conti alla mano
Il 2020 per la ristorazione sarà ricordato come l’anno dei ristoranti chiusi. Il settore durante la pandemia ha visto perdere circa il 40% del volume di fatturato registrato nel 2019, anno dei record per la spesa alimentare fuori casa con un fatturato di 86 miliardi di euro.
Ma i numeri che pesano di più sono quelli delle chiusure: 22.692 imprese del settore hanno chiuso battenti, mentre ne sono state avviate solo 9.207. Si tratta del dato più basso degli ultimi 10 anni. Le grandi città registrano sofferenze importanti: quelle che hanno perso più attività sono Roma (-1.518), Milano (-722) e Torino (-549), ma quella che ha registrato l’incremento maggiore di locali scomparsi rispetto all’anno precedente è Firenze, con un +87% sul 2019.
È quanto emerso dal Rapporto 2021 dell’Osservatorio Ristorazione, spin-off dell’agenzia RistoratoreTop
Lo studio, realizzato elaborando dati provenienti da diverse fonti (tra le quali Istat e Censis, Fipe Coldiretti e Federalberghi, le banche dati di Infocamere e della web app Plateform.) ha analizzato quanto accaduto al comparto nell’anno della pandemia, con lo scopo di effettuare previsioni il più possibile realistiche rispetto al futuro.
Luci ed ombre
Il 2020 è stato un anno di cambiamenti e rivoluzioni. Ha registrato il numero più alto di sempre di attività registrate, 397.700 di cui attive 340.564. Un fenomeno determinato dalle numerose variazioni di codice Ateco. È l’anno in cui il 77% dei locali ha lavorato con le consegne a domicilio e il 27% degli imprenditori del settore ha avviato una dark kitchen o un brand virtuale per affrontare le chiusure forzate. Il periodo ha aperto le porte a una capillare innovazione tecnologica nella preparazione, distribuzione e fruizione del cibo.
Se la spesa alimentare fuori casa è stata in costante aumento dal 2013, segnando nel 2019 un record di 86 miliardi, la perdita di fatturato del 2020 è stata stimata con una forbice che va dal risultato più pessimistico, -42% (-34 miliardi di euro rispetto al 2019), al più ottimistico -34% (-29 miliardi sul 2019). Calo che non rappresenta un colpo letale, ma comunque gravissimo e senza precedenti, che crea enormi danni sul lungo periodo, non solo per i titolari di imprese e impiegati, ma anche per tutta la filiera diretta e indiretta.
Saldi negativi
Secondo i dati di Movimprese – l’indice di nati-mortalità delle imprese di Infocamere – il 2019 si era confermato l’anno peggiore di sempre quanto a chiusure di attività in ambito ristorativo: 26.979 (906 in più rispetto al 2018). Il 2020 invece, ha registrato il dato migliore degli ultimi dieci anni, con “sole” 22.692 imprese cessate nel settore. Ma è anche l’anno che ha registrato il numero più basso degli ultimi 10 anni di nuove attività avviate: 9.207. Il saldo tra le attività iscritte e quelle cessate è di -13.485, il secondo più negativo di sempre dopo il 2019 (-13.794).
Città in sofferenza
In cima al podio negativo delle chiusure c’è la città di Firenze con -262 unità (+87% sull’anno precedente), poi Roma con -1.518 (+25%) e Palermo con -228 (+13%). Milano ha perso 722 attività, +0,1% rispetto al 2019, mentre reggono Napoli, con 342 cessate (nel 2019 erano 454), e Torino, con 549 (nel 2019 erano 637). Complessivamente, negli ultimi 10 anni, si sono perse 117.445 attività ristorative. Nonostante ciò, nel 2020 le attività registrate sono 397.700, di cui attive 340.564. Entrambi numeri record nella storia italiana.
Delivery e tecnologia
Per lunghi periodi del 2020 le uniche forme di sopravvivenza possibile sono state il delivery e il take away, con il conseguente proliferare di dark, grey, ghost e cloud kitchen, ovvero cucine “chiuse” al pubblico o condivise tra addetti ai lavori. Secondo un primo sondaggio svolto al termine della fase 2 all’interno della community di RistoratoreTop (si parla di oltre 11mila ristoratori da tutta Italia), il 77% dei locali ha intrapreso la strada del delivery e dell’asporto, mentre il resto degli intervistati ha preferito restare chiuso.
Un secondo sondaggio svolto all’interno della stessa community in piena seconda ondata pandemica indagava se il delivery venisse svolto in autonomia o con il supporto delle piattaforme di settore: il 43% ha dichiarato di fare consegne direttamente, con propria flotta di rider, il 3% di affidarsi unicamente a piattaforme esterne, mentre il 9% di utilizzare entrambe le modalità, il 22% si stava organizzando per implementare consegne a domicilio, mentre il 23% ha deciso di non ricorrere al delivery.
“Ciò non è dipeso esclusivamente dall’impossibilità di utilizzare le proprie sale – spiega Lorenzo Ferrari, fondatore dell’Osservatorio Ristorazione – ma anche e soprattutto dalla crescente presa di consapevolezza da parte dei ristoratori che queste piattaforme, oltre a trattenere percentuali fino al 35% sul lordo degli ordini, trattengono ciò che si è dimostrato essere un vero e proprio tesoretto nell’anno della pandemia: i dati dei clienti, comprese le loro abitudini di consumo. Chi si è dotato di delivery autonomo con una propria flotta, spesso convertendo a rider i dipendenti di sala e cucina, e con sistemi digitali di prenotazione e di gestione dei dati, ha potuto utilizzare i contatti dei clienti, nuovi e abituali, e sopravvivere così alle chiusure forzate con risultati migliori rispetto a chi ha esternalizzato le consegne”.
Le dark kitchen nella ristorazione
Un terzo sondaggio RistoratoreTop svolto poco prima delle riaperture di aprile 2021 svela che il 27% dei ristoratori ha creato in periodo di pandemia una dark kitchen o un brand virtuale, anche impiegato nella produzione di cibi differenti da quelli prodotti abitualmente. Il 10% degli intervistati ha anche affermato di voler mantenere il delivery o la dark kitchen anche dopo le riaperture a pieno regime.
L’emergenza sanitaria, inoltre, ha costretto un intero settore a mettere in moto in pochi mesi un percorso di innovazione tecnologica decennale. In Italia ad esempio, l’utilizzo della tecnologia si è concretizzato in menu digitali, prenotazioni online, self-ordering, chiamata del personale di sala a distanza con appositi dispositivi, nuove applicazioni per gestire turni del personale, fatturazione e rapporti con i fornitori, pagamenti cashless al tavolo e in cassa, nastri trasportatori per il cibo. La tecnologia non sta rivoluzionando solamente sala e cucina, ma anche il modo in cui i clienti scoprono, scelgono, valutano e si fidelizzano.
Il processo di scelta
La piattaforma Plateform ha effettuato una ricerca tra i clienti di oltre 600 attività nei maggiori centri urbani italiani per analizzare i meccanismi di scelta durante la pandemia. Il passaparola regna sovrano con il 48,5% dei casi, seguito dai social network (14,5%), dal passaggio casuale di fronte al locale (13%), da TripAdvisor con il 13,1%, dalla local search di Google con il 10,3% e, infine, dai consigli dell’hotel o di altre strutture ricettive (1%). L’indagine ha preso in considerazione anche il processo di scelta rispetto al delivery: con il 24,09% dei casi, il passaparola viene scalzato in classifica dal web, tra social network e motori di ricerca (Facebook 27,66%, Instagram 9,75%, Google 7,77%). Il 20,75% ha dichiarato di essere già cliente, il resto di aver scoperto il ristorante tramite altre fonti. Dati quasi sovrapponibili sono emersi anche rispetto all’asporto.
I trend consolidati nella ristorazione
Secondo l’Osservatorio Ristorazione, tra i trend consolidati in Italia nel 2020, spiccano la crescita dei locali “accessible cool”, ovvero ristoranti accessibili ai più, ma vissuti dagli utenti come tendenti al lusso grazie ad un importante lavoro sull’immagine e sulla qualità percepita, e la diffusione di cibi etnici o forme di fruizione dei pasti “all-in-one”, ovvero piatti unici accompagnati al massimo da uno starter e da un contorno, dalla forte impronta internazionale. In questa categoria, hanno spiccato i cibi che vanno consumati freddi e che quindi non si alternano durante il delivery, come il sushi e il poke, e i burger, percepiti come comfort food. Tra i trend in via esplosione nel 2021, invece, è prevista l’ascesa dei locali “accessible convenience”, accessibili a chiunque, dal buon rapporto qualità-prezzo per il consumatore ma dalla tendenzialmente bassa marginalità per il ristoratore, che tenderà a lavorare più sulla quantità di scontrini battuti piuttosto che sul loro valore medio.
“Il delivery e le dark kitchen non sostituiranno la ristorazione tradizionale – aggiunge Ferrari – dato che il futuro della ristorazione sono i ristoranti: l’esperienza vissuta in presenza, nel locale, è insostituibile”.
La pandemia ha però marcato più differenze tra le classi sociali, aumentando il divario di potere d’acquisto tra classe media e più agiata. “Questo avrà nei prossimi mesi forti impatti anche rispetto alla ristorazione, con l’aumento di attività alle due estremità, luxury e accessible convenience, per soddisfare ogni tipo di esigenza – conclude Ferrari – perché la ristorazione, da quando esiste, non guarda in tasca a nessuno ma cerca di soddisfare i palati di tutti”.