TORINO – Orso Laboratorio Caffè è l’attività che nasce da quello che Alessandro Minelli ama definire il desiderio etico professionale di far percepire il frutto del caffè per ciò che è realmente: era il 2013, quando fa il suo ingresso nell’azienda di famiglia, la torrefazione Giuliano Caffè e ne assume la gestione.
Orso Laboratorio Caffè, in via Berthollet 30/g, è la nave guida che porta verso lo specialty il consumatore finale a partire dagli anni in cui a Torino e in Italia non si parlava praticamente di questo prodotto, il 2014: da allora a oggi questa caffetteria non si è affermata come brand internazionale di massa, ma apre il secondo punto in un’altra zona della città, in via Cagliari 18.
Orso Laboratorio, dove il caffè non è una commodity
Così racconta Minelli: “Quando sono arrivato in azienda, ho notato subito che il settore era viziato da dinamiche consolidate come quella del comodato d’uso, dei finanziamenti, che non si sposavano con la mia idea del caffè come frutto della natura. Avevo voglia di mostrare davvero cosa ci fosse dietro il caffè, creando cultura attorno al prodotto: era una sfida vera e propria. A maggior ragione poi qui in Italia, ancorata ad una tradizione storica.

Sebbene mi rendessi conto che sarebbe stato difficile, sentivo forte la necessità di creare un luogo particolare, che rappresentasse un percorso di educazione e conoscenza per il consumatore.
Da qui la scelta di dare un’impronta specifica ad Orso Laboratorio, a partire dal bancone a forma di prua di nave, la lavagna con le preparazioni a vista, la sciamana rappresentata nel nostro logo, un capitano che porta alla scoperta non solo attraverso i sensi, ma sul piano interiore, delle vite e origini del caffè. Da Orso Laboratorio si “entra in contatto” con gli stessi farmers, che ho visto trasportare a piedi per km i pochi kg del loro raccolto alle stazioni di raccolta.”
“Orso Laboratorio nasce attorno ad un concetto di storytelling che si basa su contenuti reali, che voleva stimolare il desiderio del torinese nella scoperta del caffè. “
“Poi certo è stato fondamentale l’aver trovato da subito dei collaboratori appassionati che hanno creduto nella mia idea ed erano entusiasti di capitanare Orso Laboratorio. Mi ricordo ancora di Giulio, il primo dei nostri collaboratori, che ha persino venduto il suo bar a Chivasso per seguirci nella nostra avventura, formandosi con passione e dedizione.
È diventato un vero e proprio oratore che ci ha sostenuto nei primi tempi dove era essenziale saper coinvolgere e comunicare al cliente. Torino poi certo può apparire come un mercato difficile in cui inserirsi, ma una volta entrati, si dimostra più solido sul lungo termine.”
Dall’inizio a oggi cosa è successo?
“I primi anni sono stati duri, poi poco per volta è aumentata sempre di più la consapevolezza in città e con il Covid poi le persone hanno riscoperto a casa il rito del caffè, non potendolo più vivere fuori quotidianamente. Le nostre vendite online in quel periodo sono cresciute. La gente aveva voglia di imparare e apprezzare valori nuovi. Usciti dalla pandemia abbiamo assistito ad un ulteriore cambio di consumi, perché i soldi venivano spesi per qualcosa che fosse davvero di valore.
Lo zucchero c’era ma lo tenevamo nascosto e lo davamo solo su richiesta esplicita. Abbiamo iniziato con un approccio radicale e non c’era ancora la varietà di specialty che si può trovare in giro oggi. Abbiamo iniziato con Sandalj e i caffè tracciabili, perché sono loro ad essere stati tra i primi importatori italiani che riuscivano a fornire informazioni precise sulle origini e le varietà. Un’altra particolarità di Orso Laboratorio sin dal principio, è che abbiamo proposto un’offerta variegata: 4-5 monorigini con tostature per espresso e brewing, qualcosa che non è facile trovare altrove neppure oggi.
Avevamo anche una miscela 100% Arabica e un’altra con una piccola percentuale di Robusta. E dato che l’espresso vorrei che restasse sufficientemente democratico, abbiamo fissato il prezzo della miscela 100% Arabica su 1,50, mentre quella con la Robusta su 1,30. Sono cifre ragionevoli che comunque ancora oggi non sono scontate in una città come Torino dove si trova la tazzina a un euro.
Quello che è cambiato nel tempo è stato frutto della stessa erudizione del pubblico che abbiamo sviluppato con il nostro duro lavoro, grazie al quale abbiamo alzato l’asticella per tutti. Ha aiutato molto a questo cambio, una presenza maggiore di realtà specialty in città e in Italia: tutto questo ha fatto sì che il livello si sia spostato verso l’alto ed è stata anche una soddisfazione personale rispetto agli obiettivi che mi ero dato quando tutto è partito: il nostro impegno nella divulgazione è stato condiviso e ha cambiato nel nostro piccolo, il settore bar. Molti nostri ragazzi poi a loro volta sono diventati dei professionisti dello specialty.
Con questa prima svolta, ora possiamo anche presentare dei caffè ancora più pregiati, sia perché sappiamo che hanno un loro mercato, sia perché ora sono reperibili. Di particolare oggi abbiamo in edizione limitata un super blend di due Colombia, 50% Ombligon di Nestor Lasso e 50% Java di Johan Vergara, utilizzato da Luana, la ns responsabile, per la finale Italiana della Brewers Cup del circuito SCA dove si è classificata terza,. Poi un Kenya, un Etiopia, sempre con punteggi tra gli 80 e i 90”.
“Orso Laboratorio ha fatto cambiare il consumatore finale”
“Il quale ha provato, ha capito ed è tornato. Il pubblico del primo punto è estremamente interessante in quanto variegato: si passa dai liberi professionisti agli studenti universitari, dai creativi e designer, ai tanti turisti che cercano punti come il nostro in cui poter bere un buon caffè in Italia.”
Cos’è che funziona e fa la differenza nel concept di Orso Laboratorio, rispetto ai tanti che falliscono?
“Un’alchimia di cose. Orso Laboratorio oggi viene scelto per l’esperienza di poter consumare il prodotto in un ambiente accogliente, ben studiato, con un racconto fatto da professionisti di livello ed appassionati. Ed è proprio qui che vorrei soffermarmi per fare un sincero ringraziamento al mio incredibile team: Giulia, Filippo, Maddalena, Simona, Nathalie, Nicolò e Irene capitanati dalla splendida Luana e formati continuamente da quello che ritengo uno dei migliori trainer d’Italia: Giuseppe Musiu.
Mi rendo conto che oggi iniziare con lo specialty coffee pone di fronte a tante difficoltà: noi con molta fatica e lavoro siamo diventati un brand riconosciuto e siamo forti del nostro nome. Partire da zero non è mai semplice, tuttavia con la stessa passione e perseveranza ci si può riuscire ”
Avere una torrefazione alle spalle ha aiutato?
“Non posso dire il contrario. Ho inevitabilmente sfruttato l’azienda di famiglia per avviare Orso Laboratorio, per quanto riguarda gli aspetti più operativi e le attrezzature. Avere una base per la parte produttiva (seppure abbiamo dovuto acquistare nuovi macchinari ed attrezzature) ha aiutato. Il successo però di Orso Laboratorio deriva proprio dall’idea, dal prodotto, dalla filosofia che rappresenta.”
Perché il bis ora proprio ora?
“Ci pensavamo da un po’ di tempo. Non penso che sia un modello che a Torino possa essere ospitato in un numero elevato di locations. Orso Laboratorio è un modello che nasce e rimane molto concentrato sullo specialty e l’ipotesi di aprire troppi punti non rientra nel nostro percorso. Abbiamo trovato in questa seconda location un posto adatto ad intercettare il nostro target, ovvero chi vuole ascoltare, fermarsi, appassionarsi. Non siamo un posto di passaggio.

Il secondo Orso Laboratorio ha trovato casa in Borgo Rossini, dove ci sono tanti studi di designer e stilisti, il nuovo polo universitario: questa per noi poteva essere la zona emergente che cercavamo. Il locale riporta esattamente le stesse caratteristiche proprie del primo Orso Laboratorio (il logo, il mondo disegnato, la tappezzeria storica, i colori) perché l’obiettivo è conservare la nostra identità.
Abbiamo fatto sì che intorno al pranzo ci fosse un approccio al caffè, grazie anche al fatto di avere più spazio a disposizione: stiamo offrendo un piccolo menù lunch selezionato, con panini cucinati gourmet, croissant salati, zuppe, insalate, tutte referenze particolari di cui dichiariamo anche gli artigiani che ci sono dietro.
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Gli orari sono gli stessi del primo punto: dalle 8 alle 18. Abbiamo deciso da subito di non sconfinare nell’aperitivo, perché in Orso Laboratorio non c’era lo spazio necessario, e soprattutto perché non era coerente con la nostra idea di caffetteria specialty. È un momento che non ci interessa. Per lo stesso motivo non abbiamo Coca cola, vino o aranciata. Siamo concentrati sul caffè.
Nel passato, per 7/8 mesi abbiamo provato ad aprire la sera per fare mixology ad altissimo livello con drink stratosferici, ma ormai Orso era riconosciuto come caffetteria di specialty e il pubblico non veniva da noi per bere alcolici. Andavano altrove.”
Quindi per restare sostenibili come si fa?
“Innanzitutto si deve mettere in conto che si impiega un po’ a diventare sostenibili. È indispensabile poter garantire professionalità, investire nel lungo termine, studiando anche il momento del pranzo per dare un’offerta coerente allo specialty senza mischiarsi al concetto di ristorazione classica. È un equilibrio sottile.”
E il personale?
“La questione è migliorata. Orso Laboratorio è diventato una garanzia e tanti veri appassionati che volevano diventare professionisti dello specialty hanno voluto lavorare da noi come Alessandro Zengiaro, campione UK di latte art di qualche anno fa, o Fabio Colicchia (campione di Latte art grading system) e, oggi,Luana Lazzarone, in gara per il brewing quest’anno. Per lavorare abbiamo scelto La Marzocco GB5 e per i macinini un Ek43 e un Eureka specialty.”
Prospettive, aspettative per Orso Laboratorio?
“Il mondo dello specialty resta sempre difficile persino per noi che abbiamo un nome consolidato che ha attirato anche l’attenzione dei media. Con il nuovo punto siamo in una nuova avventura che bisogna studiare, ma sempre con l’obiettivo di raggiungere altri consumatori e continuare a creare cultura del caffè in un’altra zona della città.
Inoltre secondo me oggi le nuove generazioni, sono interessate a bere più consapevolmente e sono alla ricerca di un prodotto di valore. Magari è vero che bevono meno caffè, ma quello che decidono di acquistare potrebbe essere proprio lo specialty. Si registra un calo di consumi in certe fasce d’età, ma si passa ad un livello qualitativo più alto.”