TORINO – La parità è vicina, manca poco: ancora qualche anno e il mondo del lavoro piemontese potrebbe essere equamente suddiviso tra uomini e donne.
Gli ultimi dati Istat raccontano infatti che nella regione subalpina il gentil sesso occupa ormai il 45 per cento dei posti di lavoro, una quota che mai era stata così alta nella storia, neppure prima della grande crisi.
Nel 2008 il dato oscillava tra il 42 e il 43 pe cento, a inizio anni 80 era fermo addirittura al 35.
Oggi sono circa 814 mila donne piemontesi che hanno una qualche forma di impiego, cioè 7 mila in più rispetto a otto anni fa.
Nello stesso arco temporale, i posti occupati da uomini sono scesi di circa 50 mila unità.
Come si spiega questo fenomeno?
“Con i cambiamenti avvenuti sia nella domanda che nell’offerta di lavoro femminile”, spiega Adriana Luciano, sociologa dell’Università di Torino.
La lunga crisi economica ha fatto cambiare pelle all’economia subalpina: “La crescita di occupazione ha riguardato soprattutto il terziario e in particolare alcuni settori che non solo da ora si rivolgono soprattutto alla forza lavoro femminile.
Parliamo della ristorazione, dei pubblici esercizi, del turismo, dei servizi alla persona, ma anche del terziario avanzato”, spiega l’accademica torinese.
La recessione dell’edilizia, per esempio, ha cancellato migliaia di posti a prevalenza maschile, così pure come il ridimensionamento della manifattura ha penalizzato soprattutto gli uomini.
Al contrario, sono aumentate o comunque hanno tenuto i lavori tradizionalmente considerati a prevalenza “rosa”.
Non sempre, però, si tratta di buona occupazione
Anche se gli ultimi dati elaborati dalla Regione sulle procedure di assunzione sono incoraggianti per il gentil sesso: in Piemonte nei primi nove mesi del 2016 le donne hanno firmato quasi 43 mila contratti a tempo indeterminato, contro i 34 mila degli uomini.
Entrambi i numeri sono in netto calo rispetto al 2015, perché quest’anno gli incentivi alle imprese sono diminuiti drasticamente, eppure il numero di lavoratrici che hanno conquistato il posto fisso ha perso meno terreno (meno 18 per cento) rispetto a quanto è accaduto al numero dei maschi stabilizzati (meno 30,8).
In più, è cambiato anche il peso delle donne nelle varie professioni
Ecco perché Adriana Luciano dice che anche l’offerta di lavoro ha contribuito a favorire l’occupazione rosa: «I livelli di scolarità femminile sono alti e oggi le ragazze possono cogliere più opportunità rispetto al passato», spiega la sociologa.
Che poi fornisce alcuni numeri relativi all’Università di Torino che aiutano a comprendere il fenomeno. Il primo è quello più generale: il 63% dei laureati dall’ateneo nel 2015 è di sesso femminile.
Ormai nei corsi di Economia i titolati si dividono equamente tra uomini e donne, mentre in tanti altri percorsi le ragazze che portano a termine gli studi sono la maggioranza: accade a Giurisprudenza (59 per cento di laureate donne), nelle professioni sanitarie che formano medici e infermieri (71 per cento), negli studi umanistici (76) e a Scienze della formazione (93).
Secondo i dati di Almalaurea, anche al Politecnico di Torino le donne stanno risalendo la china nei corsi di Ingegneria e oggi pesano per il 22 per cento dei titolati (dieci anni erano ferme al 18 per cento), mentre ad Architettura sono in maggioranza (53 per cento).
Tutto bene, dunque?
Non proprio, o meglio, non ancora. Perché se i posti in rosa stanno aumentando, lo stesso non si può ancora dire dei trattamenti e delle condizioni di lavoro: “Restano differenze anche notevoli – osserva Adriana Luciano – tra carriere e retribuzioni di uomini e donne, che dipendono in buona parte dalla scarsità di servizi alla famiglia.
E poi in alcuni ambienti le lavoratrici fanno ancora fatica a ottenere un giusto riconoscimento della propria professionalità”.
Stefano Parola