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Caffè, obiettivo deforestazione Zero nella foresta pluviale

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MILANO – Conservazione, in Amazzonia, è la parola d’ordine se si vuole parlare di futuro. Polmone verde del pianeta (nella FOTO un tratto di foresta trasformata in terreno per coltivazioni), questa distesa boschiva vasta quasi quanto l’Europa è impressionante nei numeri, prima che nell’aspetto: se da una parte ospita in un singolo ettaro più biodiversità dell’intero Nord America, dall’altra è fonte del 20% di tutta l’acqua dolce del pianeta.

Per intendersi, in una singola ora il solo Rio delle Amazzoni porta all’oceano tanta acqua quanto il Tamigi in un intero anno.

Regolatrice del clima globale e delle correnti oceaniche, terra ricchissima e quindi sotto assedio, l’Amazzonia fa gola ad attori internazionali sempre più voraci: secondo le stime, entro il 2030 il 55% di questa enorme foresta sarà distrutto per sempre.

È urgente correre ai ripari, se si vuole evitare il peggio. Tanto da portare tre Paesi, fino a pochi decenni fa in guerra fra loro, a collaborare per preservarne alcune parti. Ecuador, Perù e Colombia, con un programma supportato dall’Unione europea, da associazioni come il Wwf e dalle popolazioni indigene, stanno provando a salvare le rispettive aree protette di Cuyabeno, Güeppi e La Paya. Nella convinzione che un futuro sostenibile per l’Amazzonia è ancora possibile. Basta volerlo.

Con il «Programa Trinacional», in effetti, si è dimostrato in questi ultimi 5 anni che per preservare la foresta pluviale è molto più utile farci vivere le popolazioni indigene in condizioni dignitose, che non creare delle aree protette. Per farlo, bisogna emanciparle dalla soffocante dipendenza dai signori del petrolio.

In Ecuador, ad esempio, la coltivazione sostenibile di varietà locali di caffè e cacao e la produzione di relativi prodotti si affiancano a uno sviluppo eco-compatibile del turismo. Del resto, visitare questi magici luoghi dà modo di vivere esperienze straordinarie, se si ha un minimo di spirito d’avventura. E l’avere elettricità per tre ore al giorno è più che compensato dal vedere nelle tenebre della notte un albero «addobbato» di lucciole, davanti ai lampi di un temporale che si avvicina.

Spostandosi con aerei più o meno grandi, fuoristrada e soprattutto in barca, si raggiunge Dureno, dove la Asociation artesiana de agricultores de cafè y cacao Agrodup, con i suoi 200 soci fra produttori e venditori dà lavoro a circa 300 famiglie.

E speranza: il caffè e il cacao, infatti, crescono all’ombra della foresta senza che la si debba disboscare. Parte di questi prodotti finisce a Pacayacu.

Lì, la Cooperativa Porvenir de Pacayacu, grazie alle sue 12 socie, tutte donne, produce una pasta di cacao puro al 100% destinata in gran parte a un’altra associazione al femminile, la Comercializando como hermanos di Quito, che si occupa della vendita del prodotto.

Realtà economiche virtuose nella stessa riserva naturale: Cuyabeno, 600mila ettari di territorio ecuadoregno protetto dagli effetti di 45 anni di esplorazioni petrolifere.

Ma anche dal disboscamento, dal bracconaggio e dal traffico illegale di specie protette. Da chi? Da 19 rangers. Pochi, per un simile territorio, soprattutto se si considera che una parte di loro svolge solo mansioni d’ufficio.

Ma buoni, e guidati dal carismatico Luis Borbor, che da vent’anni rappresenta in quelle zone il Ministero dell’Ambiente, e quindi l’autorità del governo.

«Ogni anno solo in Ecuador si perdono circa 24mila ettari di foresta – spiega Borbor – ma gli ultimi anni di lavoro hanno portato alla fondamentale collaborazione delle popolazioni indigene, che più di ogni altra cosa può aiutare ad arginare questo fenomeno».

Il che è importante, visto che «tutto ciò che accade qui nell’Amazzonia “alta”, nel bene e nel male, influenza quella “bassa”, a centinaia di chilometri di distanza».

Ma come si è ottenuto il favore delle comunità locali? «Grazie al fatto che molte persone – è la replica – si sono viste legalizzare il diritto di usare a tempo indefinito le terre in cui stanno, ottenendo così la garanzia di avere lo Stato dalla propria parte».

Un lavoro di negoziazione in realtà complesso e a tratti estenuante, che ha portato Borbor a chiedere il supporto di Wwf Ecuador e dell’instancabile Rafael Yunda, un personaggio decisamente abile nel relazionarsi con le comunità locali.

Come quella di Zancudo Cocha – letteralmente «Laguna delle zanzare» – i cui abitanti, commoventi nella loro ospitalità, vorrebbero comunicare al mondo la propria intenzione di dedicarsi maggiormente al turismo. Anche se prima, c’è da dirlo, servirebbe un miglioramento della rete idrica del villaggio.

Zancudo Cocha, popolata da 33 famiglie che condividono ogni singola decisione che la riguarda, è a diverse ore di barca dagli ultimi insediamenti umani lungo il fiume Aguarico.

Questo, a un certo punto, segna il confine peruviano oltre il quale la riserva Güeppi offre scenari da giardino dell’Eden: fiumi e lagune color verde smeraldo, dove allo sbuffo di grandi delfini rosa di fiume si alterna il rauco e surreale richiamo delle scimmie urlatrici, con le tartarughe Charapa che prendono il sole.

Tartarughe che dagli indigeni prima venivano mangiate, oggi protette e allevate. Una conferma del fatto che «non ci può essere conservazione senza l’interazione delle sfere ambientali, economiche e sociali», come ribadisce Tarsicio Granizo di Wwf Ecuador.

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