NOVARA – Era la «Brasiliana» ma tutti lo conoscevano come il caffè della Lina, la signora «picula e grassiusa c’la sembra ‘n friciulin» come le ha scritto il poeta Carleto, da quasi quattro decenni dietro il bancone del locale dove è nato il Campari. Le serrande che si affacciano sull’«angolo delle ore», proprio sotto l’orologio punto di ritrovo del centro, sono chiuse da inizio aprile.
«Avevo detto che quando la tecnologia prendeva il sopravvento mi sarei ritirata» dice Lina Dalla Bona, 69 anni, con il sorriso che nasconde un alone di tristezza. Origini mantovane, è arrivata nel Novarese da ragazza, per amore. «Mio marito ero “lo smilzo” della latteria, poi è nata la pasticceria Sacco – racconta -. Io avevo trovato lavoro come impiegata poi è capitata l’occasione e mi sono licenziata».
Sono gli inizi degli Anni Ottanta: «Tutti speravano che fossi una brasiliana ma anche se ero piccola e senza forme – racconta con autoironia –. Mi trovavano irresistibile. I novaresi sono particolari: se li conquisti non ti mollano più. Le cose oggi sono cambiate. A parte la tabaccheria, a fianco è cambiato tutto – ricorda la signora – davanti c’era l’Upim, mancava anche la stele color ruggine».
La Brasiliana era bar e torrefazione: «Per fare un buon caffè ci vogliono la miscela, la mano e la dose – racconta –. Avevamo anche lo sfuso, la miscela bar era il top. Vendevamo anche caramelle e Camporelli». «La Lina» si camuffava per ogni occasione: «A Carnevale ero l’odalisca, per la Befana diventavo vecchietta, non sa quante rose di San Gaudenzio ho visto passare e, quando passava la banda, salivo sullo sgabello e ballavo».
Il via vai di novaresi che trovano le saracinesche abbassate e si chiedono il perché è continuo. La Lina era sempre aperta, sette giorni su sette, dalle 6,30 alle 19 «il caffè è un servizio» diceva e il giorno di Natale lasciava scritto su una lavagna «oggi eccezionalmente chiuso».
Elisa Schiffo