MILANO – Andiamo ancora una volta in esplorazione delle origini del chicco di caffè, a contatto con chi si occupa di curarlo e farlo crescere prima di immetterlo sul mercato. Una visita virtuale in Garzòn Huila (Colombia), su un terreno di dieci ettari, popolati da trentaduemila alberi di Coffea Arabica.
Tra questi le varietà sono il Castillo Tambo, Castillo Rosario, Castillo zona Sur, Cenicafe 1 e il Castillo Generale.
Ad un’altezza di 1.475 metri sul mare, circondata da due ettari di foresta vergine, si trova la piantagione della famiglia di Nina Abela, El Diviso.
Con lei, abbiamo camminato con la mente in mezzo a questi terreni che appartengono a loro dal 1973. Che ha realizzato un brand esportato all’estero, il Gadicafe.
Nina, com’è la vita di un coltivatore?
“Piuttosto stimolante, perché è molto attiva. La giornata comincia molto presto, di solito prima del sorgere del sole, per ottenere il massimo prima che se ne vada la luce. Fare l’agricoltore è un mestiere che si sceglie per passione. Molti di noi possono dire di aver realizzato il proprio sogno, perché fanno quello che più amano: non è un lavoro, nonostante ci vogliano un sacco di energie per farlo, ma è più che altro un modo di vivere.
Abbiamo imparato a interagire con la natura. A leggere i modi diversi in cui essa si manifesta per aiutarci senza danneggiarla. Abbiamo capito come interpretare le fasi lunari, così fondamentali per il raccolto. Leggiamo il colore delle piante, nelle foglie, nel terreno, e questo ci aiuta a comprendere i loro bisogni così da poter ricavare il miglior raccolto possibile. Poter assistere a questo risultato ci riempie di orgoglio. Significa che i nostri sforzi sono valsi la pena.
Certo non è una vita semplice. Necessita un sacco di impegno e dedizione. Devi prenderti cura di tutti gli aspetti, dai lavoratori, degli impianti, dell’acqua, del sole, della terra e dei fertilizzanti… Ci sono così tanti dettagli di cui occuparsi quotidianamente, che a volte i24 ore non sono abbastanza per portarli a termine tutti.”
Com’è farlo ogni giorno?
Nina: “Nel mio caso, ogni giorno mi alzo presto verso le 5.00 e mi preparo una tazza di caffè che con orgoglio abbiamo prodotto nei nostri campi. Mentre mi godo l’aroma del caffè fresco, vado fuori dalla stanza per apprezzare il panorama, l’aria fresca e il canto degli uccelli mentre sorge l’alba. Poi faccio un giro per i campi per controllare la crescita e gli sviluppi, considerando i diversi problemi che potrebbero sorgere come la peste, la siccità, i frutti pronti per esser raccolti e altri elementi e protocolli necessari per garantire una crescita adeguata.
Dopo aver dato un’occhiata in prima persona, comincio a metter in pratica le diverse misure che mi sembrano fattibili: procedo poi a formare, a istruire le persone che durante il giorno dovranno eseguire le diverse attività come la raccolta del caffè, la pulizia delle piantagioni, e tutte le operazioni. Organizzo le mie mansioni sul campo, sull’esportazione e cerco di coordinare tutto in modo da portare un caffè di qualità eccellente nel resto del mondo.”
Cosa è necessario sapere per fare questo mestiere?
“Dal principio ci poniamo due obiettivi: in primis supportare noi stessi con le competenze acquisite in precedenza attraverso la pratica, in coordinazione con quegli aspetti tecnici forniti dagli enti ufficiali come Cenicafe, che si occupa di fare ricerca e condividere gli strumenti specifici che meglio esprimano il potenziale qualitativo della nostra produzione; il secondo obiettivo è quello di portare avanti i processi post-raccolto in maniera adeguata: questo ci permette di ottenere alta qualità e finalmente raggiungere i canali di mercato con un prezzo onesto nel momento della vendita.”
Quando e perché la sua famiglia ha deciso di diventare farmer?
Nina: “Sono sempre stata in contatto con la natura. I miei nonni possedevano sia un allevamento di bestiame che una piantagione di caffè e così i miei genitori. Io sono cresciuta nell’amore per la natura da sempre. Abbiamo vissuto in città, ma ogni fine settimana visitavamo i nostri campi e i nonni, per disconnetterci dalla routine cittadina. Non c’era niente di meglio che godersi quello splendore. Quando ho terminato il liceo, io e i miei fratelli siamo andati a Bogotà, la capitale del Paese, per studiare all’Università. Dopo aver concluso le rispettive carriere, abbiamo capito di dover integrare le nostre competenze professionali con quello che avevamo già imparato dai nostri nonni e genitori.
Così, un giorno, dopo averne discusso e aver vissuto all’estero per un paio d’anni, c’è stato il passaggio di generazione: condividevamo lo stesso amore per il caffè con la famiglia. Abbiamo scelto di iniziare quindi la nostra attività. Siamo la terza generazione sullo stesso terreno. abbiamo voluto ereditare questo mestiere, ma scegliendo di migliorare ogni processo e protocollo, assumendoci la responsabilità dell’attività di famiglia. Amiamo ogni fase di produzione del chicco: dalla preparazione del terreno all’innesto di ogni piantina, prendendoci cura della loro crescita sino al momento del raccolto. Trasformandolo in un brand legato alla qualità, che ci possa render fieri come coltivatori.”
Quali sono le maggiori difficoltà di questo lavoro secondo lei, Nina?
“Una delle principali criticità nasce dal cambiamento climatico, perché questo lavoro è esposto al tempo durante le attività nei campi, così come alla peste e alle malattie che minacciano continuamente le colture; siamo anche condizionati dagli alti costi dovuti al trasporto per le strade che portano il nostro prodotto sino alle scorte da cui poi partono per tutto il mondo.”
E cosa ci può dire sulla questione del prezzo? Porta a dei guadagni
“In relazione a questi tempi, il prezzo interno del caffè non è per niente equo o sufficiente a permettere ai coltivatori del chicco uno stile di vita economicamente sostenibile e condizioni agiate. Questa è la ragione per cui oggi la produzione e la qualità dei grani si proietta direttamente sull’indurre il mercato a diventare più economicamente attento a questa categoria professionale.
Per raggiungere questo obiettivo, le tecniche agricole sono state migliorate in tutte le fasi, per mettere in grado i farmer nella produzione di quantità e qualità. Quando questo quadro diventerà realtà, allora la situazione economica dei coltivatori vedrà uno sviluppo notevole ed è così che dovrà delinearsi il futuro dell’unione di questi professionisti.”
E quali sono i rischi se non si riesce a cambiare le cose?
“Se la situazione attuale non cambierà a breve, molto probabilmente sia la produzione in termini di volume che di valore del nostro caffè, sarà fortemente influenzata negativamente dall’incapacità dei piccoli coltivatori di pagare e sostenere la produzione e la coltivazione del caffè colombiano: questo comporta il collasso dell’economia.”
Nina, come pensa di combattere i cambiamenti climatici e le malattie che stanno minacciando il future della produzione?
“Sul campo abbiamo sempre preso in considerazione le raccomandazioni e le innovazioni tecnologiche. Andiamo a braccetto con la scienza perché vogliamo poter contare su strumenti efficienti per contrastare il cambiamento climatico, come ad esempio l’implementazione di varietà resistenti alle pesti e alle malattie. Abbiamo anche un network avanzato che ci segnala in anticipo i cambi climatici, per prevenirli.
Poi ci sono le questioni legate alla formazione dei coltivatori in Colombia, che stanno sempre più considerando l’aspetto di tutela dell’ecosistema.
Nella piantagione, la priorità è quella di conservare le specie native di alcune foreste e delle terre più umide. In questo modo, preserviamo l’ecosistema e le specie di uccelli e animali, usando barriere naturali per conservare l’equilibrio biologico. Evitiamo di fare un uso eccessivo di pesticidi e agenti chimici che potrebbero danneggiare l’ambiente e la salute.
Dalle foreste vergini otteniamo anche delle fonti idriche. E dagli alberi ricaviamo delle recinzioni. Cerchiamo di evitare e controllare lo spreco dell’acqua nei processi di lavorazione del caffè, e coltiviamo frutti e diversi tipi di alimentazione per aiutare gli animali a continuare a vivere in pace nei nostri terreni.”