MILANO – Lanciato l’allarme anche dall’azienda Fabbri 1905: «Riaprire in fretta spiagge e gelaterie». L’appello arriva forte e chiaro ed è indirizzato al Governo, in relazione alle disposizioni che vedono un’apertura per i pubblici esercizi slittata nella data lontana del 1 giugno. Leggiamo i dettagli dall’articolo di Alessandra Puato su corriere.it.
Fabbri per un’apertura il più presto possibile
Riapriamo «in fretta le spiagge e soprattutto le gelaterie, o in Italia molte imprese come la nostra legate al fuoricasa soffriranno». L’allarme è di Nicola Fabbri, consigliere delegato con il fratello Umberto e la nipote Stefania della Fabbri 1905, storica azienda del made in Italy che produce l’Amarena, ma anche gli ingredienti di base per gelatieri e pasticceri e che fa capo interamente alla famiglia omonima.
Ora vuole espandersi nel caffè aromatizzato in versione anti-Starbucks e nelle caramelle con un’erede Ambrosoli. È un’azienda alla quinta generazione con sei nipoti al lavoro, con studi universitari, esperienza all’estero e sottoposti a sette anni di gavetta, dice l’imprenditore, prima di ottenere posizioni di rilievo. Per capire il peso della famiglia: la bolognese Fabbri 1905 — presieduta da Paolo Fabbri, cugino di Nicola — è controllata dalla Fabbri Gennaro Holding Industriale, dal nome del bisnonno fondatore la cui moglie, Rachele, inventò cent’anni fa la ricetta dell’amarena (e il vaso bianco e blu è stato l’anno scorso al Moma design shop di Soho, New York).
Il Pirata Pacioccone
Il mese scorso l’azienda ha ripescato per il web un vecchio spot di Carosello: quello del Pirata Pacioccone che con il suo motto «Porta pasiensa» è particolarmente adatto a questo periodo di reclusione domestica forzata. «Ad avere l’idea è stata mia nipote Carlotta — dice Nicola Fabbri — . Supervisiona il business Gelateria e pasticceria». Ci sono poi gli altri cinque giovani. Oltre a Stefania, consigliere delegato, sezione acquisti (la figlia di Andrea, morto nel 2018: era il fratello di Paolo, che oggi presiede Fabbri 1905), anche Federico (Fabbri Argentina), Pietro (Fabbri Brasile), Giovanni (logistica). E Fabio, 26 anni, commercialista, esperienze in EY e Ferrari, «l’ultimo a entrare prima del lockdown, (ha iniziato il settennato di apprendimento). Non c’è Fabbri senza i Fabbri, insomma. Ma c’è Fabbri oltre l’amarena.
La presenza internazionale
Con dieci filiali nel mondo, distribuzione in 110 Paesi, 165 dipendenti in Italia e un centinaio all’estero, due stabilimenti a Bologna (Anzola dell’Emilia) e Buenos Aires, l’azienda produce su 17 linee e benché abbia il sostanziale monopolio dell’amarena in sciroppo (83% dichiarato nel mercato del largo consumo) è riuscita ad allargare lo spettro di attività. Macina ricavi anche, infatti, con altre due divisioni: la Gelateria-pasticceria, ingredienti di base per preparare gelati (più di 300 specialità) e dolci; e il Beverage con i prodotti per ristoranti e bar, a partire dagli sciroppi per i cocktail, analcolici ma anche no. Per esempio, è stato rilanciato il bitter Marendry.
Le due novità Fabbri
Il giro d’affari è così arrivato a circa 80 milioni (stime) l’anno scorso, +45% in sette anni (era a 55 milioni nel 2012 e a 72,5 milioni nel 2017). Nel 2018, ultimi dati ufficiali, il margine operativo lordo era il 12% dei ricavi e l’utile di 4,7 milioni. Il gruppo rientra tra i Champions de L’Economia-ItalyPost, le aziende ad alta crescita.
È di questi giorni il lancio, annunciato a inizio aprile, delle caramelle in collaborazione con la milanese Herbamelle, startup fondata nel 2014 da Andrea Ambrosoli (gusti amarena e menta, come i classici sciroppi Fabbri), con entrambi i marchi e una nuova linea made in Italy. Mentre a marzo è partito il progetto Alta caffetteria Fabbri con i prodotti per i caffè aromatizzati: caffè e tè miscelati con sciroppi e liquori all’italiana, in una proposta chiamata l’Italian wave del caffè, la terza ondata del caffè che, pensano in azienda, è destinata a sostituire la moda delle grandi catene, leggi Starbucks.
Fabbri, il no alla vendita
«Siamo corteggiati dai fondi che vorrebbero acquistare quote, ma rispondiamo no — dice Nicola Fabbri —. La nostra è un’azienda sana e con alta reputazione, finché ce lo potremo permettere e ci sarà la linfa delle giovani generazioni continueremo così. Oggi lavorano qui sei nipoti su 19, hanno superato le forche caudine del reclutamento e devono rispettare un decalogo.
Per esempio, laurearsi a pieni voti in una materia vicina alla nostra imprese, trovarsi un lavoro esterno all’azienda e mantenerlo per almeno due anni, studiare almeno due lingue. Poi, in Fabbri, si inizia da zero. Tenere tutto in famiglia non è facilissimo, ma è un valore aggiunto incredibile e l’azienda è ben managerializzata, i nostri figli entrano per diventare imprenditori, non per fare il direttore amministrativo o di fabbrica».
L’incognita 2020
L’incognita è sui conti di quest’anno, come per tutte le imprese. Benché sia nel settore alimentare, quello che ha patito meno la crisi, infatti, anche la Fabbri teme gli effetti della chiusura delle attività. «Vedremo come affrontare la stagione estiva — dice Nicola Fabbri —. Spero che sia data agli esercizi pubblici, anche nei luoghi balneari, la possibilità di riaprire bene.
Siamo un’azienda altamente stagionale, l’estate è il nostro mondo. Abbiamo superato la guerra e la crisi economica, l’unica cosa che ci mette in difficoltà è la stagione. Ora stiamo lavorando al 20% circa della capacità, non abbiamo mai chiuso tutto. Siamo pronti a riprendere ai ritmi di prima in qualsiasi momento, basta che ci si riapra il mercato».
Il risveglio di Shanghai
Resta, naturalmente, il mercato internazionale e qui un segnale positivo viene dalla Cina dove Fabbri ha una sede commerciale, a Shanghai. «Ne stiamo vedendo il risveglio, abbiamo grandi speranze — dice Nicola Fabbri —. In Cina vendiamo sia la linea beverage sia quella per gelateria e pasticceria, ora stanno cominciando a uscire i nostri prodotti per il largo consumo. Stiamo usando in modo intensivo l’ecommerce e i social».
Quanto all’ecommerce ora copre, in generale, soltanto «l’1-2% del fatturato» ma è previsto crescere visti gli ordini in aumento. «Non abbiamo mai smesso di essere vicini ai clienti con attività online come i seminari interattivi e questo sta pagando — dice l’imprenditore —. La Cina copre il 3-4% dei nostri ricavi ed è una delle nostre sedi più organizzate con una trentina di persone. Piano piano le cose stanno tornando alla normalità. Si riaprono i primi ristoranti e i coffee shop, non i cocktail bar». Il cruccio restano i gelatieri chiusi in Italia, Paese che sui ricavi pesa per la metà.