PARIGI – Nespresso inventa e lancia una nuova origine: il caffè del Sud Sudan. Suluja ti South Sudan, un robusta lavato proveniente dalla regione di Yei, sarà disponibile questo mese tra i Grand Crus “in volumi estremamente limitati” per i soli membri del Club Nespresso francese.
Tutto è nato da un’idea di George Clooney, testimonial di Nespresso e paladino delle cause umanitarie in questa tormentata regione dell’Africa. “C’è una vera opportunità qui” disse l’attore e regista americano nel luglio del 2013, al lancio dell’iniziativa, pochi mesi prima dello scoppio della guerra civile.
Il Sud Sudan è un’origine nuova per mercati internazionali, ma la coltura del caffè vanta, in questo paese, una storia almeno settantennale. L’impegno e la passione dei produttori locali sono stati purtroppo vanificati da decenni di guerre civili, che hanno stroncato sul nascere un settore promettente.
L’habitat, ad esempio, è molto favorevole.
Gli arabica crescono spontaneamente sull’altipiano di Boma, non lontano dall’Etiopia.
Nell’area dei Monti Imatong, nel sud del paese, troviamo tanto piante di arabica (spontanee) quanto tradizionali colture di robusta.
I robusta sono infine diffusi nello stato di Eastern Equatoria, nel sud-est del Sud Sudan, sin qui interessato meno direttamente dal conflitto interno tuttora in corso.
Ed è proprio in questo stato, nella città di Yei, che è stato posto il quartier generale del progetto.
In collaborazione con l’ong americana TechnoSerce e con il locale Ministero dell’agricoltura, Nespresso ha coinvolto il Sud Sudan nel suo Programma AAA Sustainable Quality sin dal 2011.
Già due anni più tardi partiva, per via aerea, la prima spedizione di caffè verde sud sudanese alla volta degli stabilimenti elvetici di Nespresso. Si è trattato della prima esportazione significativa verso l’Europa di una merceologia non petrolifera.
Lo schema operativo, realizzato con il supporto di Technoserve, prevede un budget da 2,6 milioni di dollari e ha coinvolto, sin qui, 300 piccoli produttori aggregati in realtà cooperative (le prime di questo genere in Sud Sudan).
L’obiettivo è quello di arrivare a 15 mila aderenti entro 10 anni. Il progetto ha subito delle battute d’arresto dovute alla guerra, che ha costretto i cooperanti a ritirarsi dal paese per buona parte dell’anno scorso.
Tuttavia, Technoserve è riuscita ugualmente a portare avanti le attività di formazione e a costruire il primo centro per la lavorazione in umido del caffè.
E il presidente e ceo di Technoserve, William Warshauer, pur non negando le difficoltà, si dichiara ottimista.
A suo giudizio, la produzione potrebbe superare, sin da quest’anno, di “svariate volte” quella degli anni scorsi e il caffè potrebbe diventare, un giorno, la seconda voce dell’export sud sudanese, dopo il petrolio.
Per il momento i volumi rimangono minimi e la stessa Nespresso, come recita un comunicato diffuso ieri, considera il progetto “un investimento a lungo termine per il rilancio dell’industria del caffè in Sud Sudan”, dal quale non si aspetta di ottenere un ritorno in tempi brevi.
Soluja ti South Sudan, che nella locale lingua Kakwa significa “L’inizio del Sud Sudan” non è soltanto un grande caffè – ha dichiarato Warshauer – ma anche “uno straordinario impegno a favore dei produttori di questo paese, delle loro famiglie e delle loro comunità”.