di Elisabetta Andreis*
MILANO – Il centro si riempie di pubblici esercizi. Bar, catene del settore food, ristoranti: due imprese milanesi su dieci sono entro la prima cerchia dei Bastioni, dice la Camera di commercio. E continuano ad aumentare, concentrati in certe strade.
Ma «non è un dato positivo — avverte Lino Stoppani che guida la Fipe, associazione di categoria —. C’è un eccesso di offerta, la concorrenza si è scatenata sui prezzi. E ha fatto scendere la qualità». In giro quasi ovunque cibi precotti o preconfezionati da scaldare col microonde, mentre «cucine e laboratori di pasticceria sono scomparsi. Fuori budget».
Gli affitti restano salati e per guadagnare clientela bisogna garantire orari di apertura lunghi: risultato, la preparazione artigianale non esiste quasi più. «Il rischio è che in centro trovino spazio soltanto catene o locali con servizio standardizzato».
Bar e ristoranti: i numeri
Gli esercizi tradizionali, baluardo della qualità vecchia maniera, sono costretti a tenere i prezzi troppo alti rispetto ai bar di nuova concezione. «Innovano senza rinunciare ai loro valori — li difende Alfredo Zini del Club imprese storiche di Confcommercio —. Quelle milanesi sono le botteghe più longeve d’Italia».
Una su dieci ha più di 35 anni, altre superano il secolo. Ma la verità è che fanno fatica a resistere. Molte hanno bilanci in perdita.
Panarello si è organizzata con un laboratorio che distribuisce nei vari punti vendita, il più possibile efficiente. Il Baretto di via Senato (un tempo in via Sant’Andrea e amatissimo da Eugenio Montale) è nato nel 1964, la Villa Caffetteria di piazzale Cadorna addirittura nel 1896.
Cucchi, in Conca del Naviglio, è del 1936: in origine caffè concerto con la sua orchestra spagnola, distrutto dalle bombe nel 1943 e ricostruito pazientemente. Negli anni sono circolate voci di cessione ma il signor Cesare, 84 anni, seconda generazione della famiglia proprietaria, dice: «Spero che le mie figlie continuino l’attività, anche se una è laureata in legge e l’altra in letterature straniere. Se arrivasse un’offerta favolosa accetteremmo, altrimenti non se ne parla».
Il Sant Ambroeus ha appena rifiutato quasi quindici milioni da una cordata capitanata da Illy. Tempo fa lo stesso ha fatto Galli, di fronte a proposte arrivate dal Giappone. Sul mercato (ufficiosamente) senza trovare compratori ci sono poi Gattullo, in porta Ludovica, e Taveggia, già passato di mano più di una volta. Fallito nel 2006 dopo essere stata saccheggiato ai tempi dei fratelli libanesi El Hokayemd, poi condannati, non ha mai trovato un assetto stabile.
Hanno cambiato gestione, ancora, Biffi in corso Magenta e la pasticceria San Carlo in via Matteo Bandello. Ma il colpaccio vero è avvenuto in via Montenapoleone dove Cova è entrato nell’orbita Lvmh e Marchesi di Prada.
Sembra che la maison di Miuccia avesse offerto 18 milioni per Cova: e questa preferì la proposta più alta di Lvmh. Prada allora puntò sul dirimpettaio (a costo di pagare, dicono, quasi 8 mila euro al metro quadrato d’affitto). Il rilancio con fondi freschi e in pompa magna comunque, nel loro caso, è arrivato.
Gli altri si difendono. Oppure scelgono altre zone. «Chi non ha risorse copiose e vuole investire sulla qualità esclude la vetrina del centro», conclude Stoppani. Lontano dalla Madonnina e dai riflettori, certi nomi si fanno largo.
La pasticceria Martesana di via Cagliero, unica a sfoggiare le «tre torte» del Gambero Rosso; il re del cioccolato Ernst Knam, in via Anfossi; o ancora Elli in piazza Piemonte e Pavé di via Casati.