MILANO – Quest’anno si ricorda il centesimo anniversario del genocidio armeno, e il giorno dedicato alle celebrazioni ufficiali sarà il 24 aprile. Anche le ricorrenze, a volte, diventano occasione di business: ora squallido, ora provocato dall’ignoranza o dall’assenza di sensibilità. quasi sempre di dubbio gusto.
Nell’emirato di Dubai il fantasioso e cinico gestore di una palestra, tempo fa attirava clienti con l’orrendo slogan «diventerete magri come ad Auschwitz». Ancor più cinica, se possibile, la trovata di un israeliano, che poco dopo promosse a Tel Aviv il concorso di «Miss Olocausto», aperto alle sopravvissute nei campi di sterminio nazisti.
Purtroppo non ci sono limiti, come dimostra l’ultima provocazione, si presume ideata negli Stati Uniti dal marketing di Starbucks, impero delle caffetterie. Hanno preparato e diffuso un poster pubblicitario per ricordare lo storico anniversario, forse puntando sull’impatto-choc del messaggio, che comunque fa notizia.
L’immagine: belle ragazze, che indossano i tipici costumi dell’Armenia, in un tripudio di colori, di bandiere e di palloncini rossi con gli inequivocabili simboli (mezzaluna e stella) della Repubblica turca.
Ankara ha sempre rifiutato di riconoscere come genocidio il massacro sistematico di almeno un milione (ma c’è chi sostiene un milione e mezzo) di armeni. Sostiene infatti che tutto è accaduto, all’inizio della Grande Guerra del secolo scorso, con la decomposizione dell’impero ottomano, in coda a un feroce conflitto che vedeva alcuni combattenti armeni inseriti militarmente nell’esercito russo contro la Turchia.
In realtà, negli ultimi tempi, lo storico contenzioso si è affievolito, dopo le imputazioni contro scrittori, tra cui Orhan Pamuk ed Elif Shafak, contro giornalisti e intellettuali, che direttamente o indirettamente hanno riconosciuto (comunque non hanno negato) che vi era stato il genocidio. Il clima si è stemperato fino all’avvio di relazioni diplomatiche – seppur molto fredde – tra Erevan e Ankara, grazie anche ad un atteggiamento meno duro da parte del partito di governo islamico moderato Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Le scuse di Starbucks
Ma il problema è ancora irrisolto, e la provocazione di Starbucks con le donne in costume armeno, all’interno e all’esterno di un locale di Los Angeles mentre bevono il caffè in una cornice di simboli turchi, ha irritato e offeso l’Armenian American Committee. Che ha chiesto le scuse, le ha ricevute, ma ha anche ottenuto il ritiro del poster, con il gigante delle consumazioni pronto a riconoscere il presunto «errore».
La comunità armena è numerosa e assai influente, ed è quindi riuscita a bloccare la diffusione dell’immagine. Però, a ben vedere, c’è anche un risvolto positivo. Prima di tutto per Starbucks, che ha fatto parlare di se i mass media di tutto il mondo, e soprattutto l’arcipelago planetario dei social network, garantendosi una gratuita pubblicità.
A ben vedere, o meglio a ben ascoltare, anche molti armeni non sono particolarmente turbati dalla vicenda. Perché del popolo armeno e del suo piccolo Stato, che ha ottenuto l’indipendenza dopo il crollo dell’impero sovietico, si parla sempre poco, o meglio poco più di una volta all’anno, e quasi sempre in occasione della ricorrenza del genocidio.
«Per il bene dell’Armenia è necessario parlarne». Nel libro «Caucasus Chronicles», l’ambasciatore greco Leonida Crysanthopoulos, per dimostrare che l’Armenia viene spesso dimenticata, sostiene che ai tempi dell’elezione del presidente russo, all’inizio degli anni ‘90, vi fu uno sconcertante retroscena.
L’avversario di Boris Eltsin, il ceceno Ruslan Khasbulatov, presidente della Duma, avrebbe infatti promesso segretamente alla Turchia, in caso di vittoria, che non si sarebbe opposto ad una guerra lampo contro l’Armenia.
Che sia vero o meno è tutto da provare, anche perché alle elezioni si impose Eltsin. Tuttavia, questo dimostra che «per il bene dell’Armenia è necessario parlarne, a prescindere da ciò che si sostiene. Bisogna far sapere a tutti che esistiamo e che non vogliamo più essere dimenticati». È opinione del console generale dell’Armenia a Milano Pietro Kuciukian. Ed è saggio riflettere su queste parole, in un momento confuso e punteggiato da una dilagante percezione di insicurezza.