NAPOLI – Una vita scandita dall’aroma del caffè, prima come “ragazzo di fuoricasa”, ovvero colui che portava le tazzine della calda bevanda nelle botteghe. Poi, dall’età di 16 anni, da dietro il bancone: con una media di 850 caffè preparati al giorno per oltre 50 anni, Giovanni Fummo, napoletano dei Quartieri Spagnoli, nella sua lunga carriera di barista ha raggiunto il numero di 15 milioni di tazzine servite, anche ai Presidenti della Repubblica italiana o a Maradona.
Oggi, 70enne in pensione dopo aver lavorato soprattutto nello storico Gran Caffè Gambrinus, il recordman partenopeo torna nel locale della sua città a piazza del Plebiscito, per svelare ricordi, aneddoti e segreti del vero caffè napoletano.
I segreti del vero caffè napoletano
Imprescindibile, innanzitutto, la qualità della materia prima, «come la varietà brasiliana con aggiunta di Arabica», suggerisce Fummo. Attenzione poi alla macinatura, che varia a seconda delle condizioni meteorologiche: maggiore è l’umidità, più deve essere spessa la polvere. Se il tempo è buono e secco, invece, la consistenza risulta più sottile.
Ancora, la macchina deve stare bene in pressione, con la lancetta puntata verso il rosso.
Tipiche del caffè napoletano, sono le alte temperature. Come spiega Fummo, uno dei suoi più grandi estimatori, «il nostro espresso si riconosce facilmente, perché sul fondo della tazzina bollente rimane una macchia scura, dovuta al corpo robusto del caffè che usiamo e serviamo rigorosamente ristretto.
Il gusto è forte e, possibilmente, non va aggiunto lo zucchero. Infine, per pulire la bocca e apprezzare davvero ciò che si beve, non bisogna dimenticare di ingerire un goccio d’acqua. Prima e mai dopo. Perché il barista altrimenti potrebbe interpretare il gesto del cliente come un segnale che quanto servito non sia stato gradito».
Per il recordman partenopeo, che predilige la versione “classica” della bevanda, il vero segreto della buona riuscita di un caffè è metterci il cuore mentre lo si prepara. E così, per oltre 50 anni da barista, mai nessuno è rimasto deluso dalle sue tazzine.
E nella sua lunga carriera, questo simpatico signore che ha onorato la tradizione napoletana, di personaggi importanti ne ha visti passare molti dall’altra parte del bancone: da Maradona ai Ricchi e Poveri, fino a Sabrina Ferilli, con cui ha anche una foto ricordo.
Il Salotto di Napoli
Ma il Gran Caffè Gambrinus è da sempre anche il salotto letterario partenopeo, frequentato negli anni da re, regine, politici, giornalisti, letterati e artisti. Tra gli ospiti più illustri, si sono alternati l’imperatrice d’Austria Sissi, che degustò un ottimo gelato alla violetta, Gabriele D’Annunzio che al Gambrinus compose i versi della celebre canzone “A’vucchella”, Matilde Serao che fondò il quotidiano “Il Mattino” seduta proprio ai tavolini del Caffè, Benedetto Croce che fece di Napoli la sua seconda casa, gli scrittori Oscar Wilde e Ernest Hemingway, e il francese Jean-Paul Sartre che qui scrisse alcuni pensieri sulla città in compagnia di una coppa di granita.
Oggi, il più importante Caffè di Napoli, membro dell’Associazione Culturale Locali Storici d’Italia, resta un punto di riferimento importante per chi fa visita nel capoluogo campano: persino i Presidenti della Repubblica che trascorrono qualche giorno di relax nella bellissima residenza di Posillipo Villa Rosebery, non rinunciano a una tappa golosa nell’elegante pasticceria in stile Belle Époque della famiglia Sergio.
Ha servito cinque Capi di Stato
«Ho servito cinque Capi di Stato, da Francesco Cossiga a Oscar Luigi Scalfaro, da Carlo Azeglio Ciampi a Giorgio Napolitano fino a Sergio Mattarella, ma solo Ciampi, in compagnia di sua moglie Franca, è venuto personalmente al banco a chiedermi un caffè. Era il primo gennaio e mi fece gli auguri di buon anno – ricorda il signor Giovanni – Poi un’altra volta vidi entrare Cossiga. Si sedette a un tavolino e chiese caffè e sfogliatella. Li consumò alternando l’uno all’altra. Era sempre un primo di gennaio. Andai da lui per salutarlo. Mi disse che trovava molto buono abbinare un sorso della gustosa bevanda nera a un morso di dolce. Io sorrisi, ma non ero così d’accordo», ammette Fummo.
Per lui infatti al caffè non va abbinato nulla e, se proprio si vuole optare per qualcosa, la scelta giusta è la pastiera, ricca di cedro e ricotta, due ingredienti che, in quanto a gusto, non disturbano affatto il vero protagonista della tappa golosa.
Ma che rapporto aveva invece il gentile barista oggi in pensione con il caffè? «Ne consumavo solo uno in un’intera giornata di lavoro. Lo mettevo da parte e ne bevevo un sorso alla volta. Quando la preparazione è fatta bene, la bevanda può essere apprezzata anche se “posata”».
La sua versione prediletta è la classica, nonostante Fummo sia stato il padre, insieme allo staff del Gambrinus, di tante altre versioni del caffè, dal Veneziano al Gegè, fino al Brasiliano o a quello al babà, prelibatezze a base di cacao, panna montata o cremina di caffè, quest’ultima da fare con l’espresso e lo zucchero frullati assieme.
L’unico rimpianto
E se l’unico rimpianto di tutta una carriera, per il signor Giovanni, è di non essere riuscito a servire un caffè a «Francesco, il Papa buono», dice, c’è un ricordo che il recordman partenopeo conserva, perché a lui particolarmente caro: «All’epoca lavoravo dietro al bancone dell’hotel Majestic. La struttura – spiega Fummo – stava ospitando gli operatori cinematografici e alcuni attori del cast del film “I Guappi”. Erano gli anni ’70 e Napoli era in piena emergenza colera. Tutti volevano lasciare le riprese. Allora un giorno vidi entrare nella hall il regista della pellicola Pasquale Squitieri e l’attrice protagonista – sua compagna – Claudia Cardinale. Lei venne verso di me e mi abbracciò. Poi mi salutò – conclude il barista gentile e garbato – Fu un gesto di coraggio che tranquillizzò tutti, sui napoletani e sul colera».