NAPOLI – Mentre in tutta Italia si dibatte animatamente – a volte anche sino agli eccessi – sull’aumento dei prezzi del caffè al bar, destinato a spostarsi una volta e per tutte dal classico euro a tazzina, ci sono anche zone dello Stivale in cui il rialzo significa mettersi in pari con la stessa cifra che ora è impossibile mantenere nei menù di tutti i bar.
A Napoli per esempio, la questione non è tanto quella di arrivare a un euro e cinquanta, bensì lo è quella di vendere l’espresso a un euro. C’è da chiedersi come sia possibile trovare scandaloso un prezzo che già non è più sostenibile da anni per i gestori in una delle città che ha fatto di questo rito un suo tratto culturale -al punto da tentare la candidatura come patrimonio Unesco, staccato dal resto d’Italia-.
In definitiva: perché a Napoli ci si lamenta per l’espresso ad un euro, mentre in tutte le altre città del Nord la battaglia è quella che vede un prezzo dall’euro e dieci verso l’1,50? Lasciamo a voi le riflessioni. In molti casi, la questione si avvicina ad un altro fenomeno: il nero, che non è quello del caffè, in questo caso.
Intanto riportiamo la notizia di Virginia Grafito su napoli.occhionotizie.it.
Il Covid fa sentire la sua presenza che nei bar, dove il costo del caffè è aumentato anche a Napoli. Il prezzo è salito a 1 euro in 9 bar su 11, intervistati da Il Mattino, in diversi quartieri della Città. Unica eccezione è risultata essere la Sanità, dove, in due esercizi su due, un caffè al banco è costato 90 centesimi.
Aumenta il costo del caffè al bar a Napoli grazie all’effetto Covid
In zona collinare, tra Colli Aminei, Vomero e Arenella, solo un bar su tre ci fa lo scontrino. Per il resto, il prezzo è fisso, e la moneta da un euro viene incassata senza dare resto. Alla fine del tour saranno 4 i baristi furbetti della ricevuta fiscale. Per la serie: l’oro nero al nero. A proposito di norme, solo in due degli 11 bar visitati ci è stato chiesto di mostrare il certificato verde, che sarebbe obbligatorio per la consumazione. Il caffè, insomma, spesso si sottrae alle regole. Al banco costa un euro anche in zona Palazzo San Giacomo o in via Medina.
Se il costo non varia a seconda del quartiere, più il bar è centrale, più aumentano le probabilità che venga emesso lo scontrino. Il prestigio dell’esercizio non è, in sintesi, un fattore di sconto: in questo senso, sono da apprezzare il Caffè del Professore e il Rosati in piazza Trieste e Trento, che vendono il caffè a un euro (discorso diverso va fatto per locali storici, come il Gambrinus, che serve l’oro nero a 1,20 centesimi, ma che fa della qualità e dell’elevato target di riferimento una missione).
Manca lo scontrino in 4 bar su 11
L’evasione fiscale, invece, cala sensibilmente in caso di consumazione al tavolo, sia all’esterno che all’interno. Il problema, in questo senso, diventano i costi, che lievitano. Quasi impossibile sedersi per meno di due euro (che molto spesso diventano 3). In un esercizio di via Toledo, per esempio, una tazzina al tavolo interno ci costa 2 euro e 20 centesimi, con scontrino emesso solo su esplicita richiesta. I costi del servizio, insomma, si fanno sentire. L’unica zona a resistere sotto la soglia della moneta da un euro, dicevamo, è la Sanità. In due bar su due qui paghiamo 90 centesimi. Al banco. Per un Ginseng al tavolo esterno, in centro storico, si possono pagare anche 3.50 euro.