domenica 22 Dicembre 2024
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Nadia Rossi: «La mia selezione di un bar comincia dall’attenzione per la pulizia»

Per tutti gli amanti del caffè che sono stufi di imbattersi in tazzine deludenti, ecco i consigli dell'esperta del settore, Nadia Rossi. La coffee writer ha offerto i suoi consigli al Milano Coffee Festival, per selezionare i bar in cui poter gustare i caffè di qualità

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MILANO – Al Milano Coffee Festival (19 – 21 maggio al Base di Via Tortona a Milano), ci siamo confrontati con numerosi professionisti del settore. Tra di loro, abbiamo discusso anche con Nadia Rossi.

Nel settore, viene definita una “coffee writer” o “coffee journalist”. Lei invece, si ritiene innanzitutto una coffeelover.

Nadia Rossi: amante e studiosa del caffè

“Studiosa perché mi piace approfondire la materia e toccarla con mano. Ho cominciato ad occuparmi ufficialmente solo di caffè, da 20 anni. Ma diventano un po’ di più, se consideriamo anche il periodo che ho impiegato all’interno dei bar.”

I dieci motivi di Nadia Rossi, per bere un buon caffè al Festival

“Durante l’evento, ho proprio tentato di dare dei consigli per gustare un buon caffè. Prima di tutto, ho suggerito le buone pratiche per selezionare il locale.

Questo perché sono convinta che si debba operare innanzitutto una pulizia su questo piano. E’ necessario essere più critici e iniziare a porre delle vere e proprie x su alcuni locali.

In modo da segnalare i posti in cui non viene data attenzione alla pulizia o al cliente. Sono tanti quei luoghi da depennare perché non curano il prodotto e la macchina.”

Sono davvero tanti gli elementi che ci permettono di dire: sì, qui ritorno, oppure no

“Quello che mi innervosisce è che, qua a Milano, di solito i clienti pagano il caffè tra i 90 centesimi e 1 euro e 10. Questo prezzo resta identico sia per i pessimi caffè che invece per quelli che valgono un costo maggiore.

Eppure tra un pessimo caffè e uno invece di qualità, c’è un’enorme differenza. Sia a lavoro di materia prima che di lavorazione e di cura. Pensiamo solo al tempo dedicato alla pulizia delle macchine.”

Il consumatore come può capire se il bar è valido?

“Il primo impatto è quello che conta. Se ad esempio, all’ingresso, il locale si mostra pulito. Consideriamo che l’italiano considera il bar come una seconda casa. Per cui, esattamente come a casa propria, il cliente si aspetta una pulizia accurata.

Il banco di fronte alla macchina deve essere perciò rimanere il più possibile sgombro e ordinato. Questo significa anche che, appena si deposita un po’ di polvere di caffè, dobbiamo buttarla via e non riutilizzarla.

Per raggiungere una pulizia efficace, sarebbe buona norma anche tenere spugnette di diverso colore. Destinate ciascuna ad un ruolo diverso.

Dev’essere inoltre sempre disponibile una mano che tenga in ordine il banco anche nelle ore di punta. Infine, una macchina che lancia sempre vapore pulito.”

Quindi Nadia Rossi è una cliente difficile

“Non necessariamente è così. Al ristorante siamo sempre molto esigenti e controlliamo qualsiasi dettaglio. Pretendiamo che ogni cosa funzioni al meglio.

Perché allora non pretendere le stesse attenzioni, quando entriamo in un bar? Anche perché spesso, si tratta solo di trasformare delle buone pratiche in abitudini.

Il flussare, il pressare, il pulire a fondo il filtro: sono tutte operazioni che all’inizio possono sembrare complicate. Quasi una perdita di tempo. 

In realtà si allungano le procedure di un paio di secondi. Non credo che questo sia una reale fonte di disagio per il cliente. Soprattutto poi se gli offriamo un prodotto finito di qualità.

Il consumatore ultimamente, si accorge se dietro alla tazzina c’è un lavoro più accurato. Per esempio: alcuni baristi impostano un cronometro sopra la macchina. E i clienti si chiedono il perché.

E’ semplicemente un accorgimento per controllare il tempo della fuoriuscita. Nel momento in cui è evidente anche al cliente una maggiore attenzione dedicata alla preparazione, allora sarà il primo a richiederlo in tutti i locali. Per cui o non si frequentano più determinati posti, oppure il barista inizia a lavorare diversamente.

Io conosco alcuni bar in cui è palpabile questo impegno nell’offrire qualcosa in più ai clienti. Probabilmente gli sforzi dovrebbero moltiplicarsi, però noto l’impegno. Ad esempio nel vedere le tramogge più pulite.

E’ un circolo virtuoso: se esiste un locale che lavora meglio, anche la voce poi si sparge tra i concorrenti.”

Un altro aspetto fondamentale, oltre l’assetto del bar: il caffè

Come si può capire entrando in un locale, il tipo di torrefatto utilizzato?

“Il mio criterio è prima di tutto la pulizia. In tazza non devo sentire sentori di rancido: se ci sono, allora so che non c’è stata dietro la pulizia giusta.

Per quanto riguarda il torrefatto utilizzato, scendiamo su un campo piuttosto critico. Perché, a discapito di quello che spesso segnala l’insegna esterna, i loghi si moltiplicano all’interno. Da quello che si mostra sulle tazzini a quelle sui tovagliolini. E invece, il caffè utilizzato è quello acquistato nei supermercati.

E’ molto probabile che dietro alla tazzina, non ci sia un torrefattore. Questo perché, penso che la totalità dei torrefattori vende il proprio caffè con il logo sopra.

E’ sicuramente importante invece sapere che tipo di caffè viene utilizzato. Così da poterlo identificare come un prodotto di qualità o meno.

Resta una responsabilità del barista nei confronti del torrefattore. Se l’operatore è il primo che tratta male la materia, si avranno ripercussioni sull’intero business del torrefattore.

Perché, se io da cliente so che nel locale viene impiegato il caffè della Torrefazione X e poi assaggio una pessima tazzina, allora tenderò a pensare che il torrefatto X sia generalmente da evitare.

Eppure, potrebbe essere solo una colpa imputabile alla poca competenza del barista. Che magari sovraestrae o l’ha lasciato all’aria.”

Quindi, bisogna farsi accompagnare da Nadia Rossi

“E’ sufficiente stare attenti. Capisco che la mattina presto, non ci sia la voglia di essere critici. Ma gli italiani tornano nei bar. Si dovrebbe provare ad assaggiare per capire la differenza tra una brodaglia e un buon caffè.

Si dovrebbe prendersi il tempo di scoprire i sentori piacevoli, che non chiudano solo in amaro. Senza il bisogno del cioccolatino a sovrapporsi al cattivo sapore.”

 

 

 

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