MILANO – Nadia Olivero, professoressa di economia e gestione delle imprese presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, esperta e docente di psicologia dei consumi, è una guida d’eccezione quando si parla di comportamenti dei consumatori all’interno di punti vendita come locali e catene di caffetterie.
Uno spunto da prendere in considerazione per le aziende che desiderano avviare efficacemente i propri locali.
Olivero, parliamo dunque di psicologia dei consumi: lei ci ha scritto anche un manuale a riguardo. Cosa ci può dire di chi acquista e come può aiutare un’azienda o una catena di caffetteria?
“La psicologia dei consumi indaga gli atteggiamenti, le opinioni delle persone, le preferenze e i meccanismi che ci consentono di prevedere il comportamento. In questo modo aiuta a targetizzare ed orientare i format che realmente possono rispondere a determinati bisogni ed integrare tutte le strategie utili al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
La psicologia è una materia interdisciplinare ed è composta a sua volta di tante sotto discipline: si può ad esempio studiare l’impatto del packaging, del colore, dare un contributo sui loghi e sul visual negli spazi, costruire dei modelli di previsione comportamentale in termini di acquisto, guidare l’implementazione di variabili esperienziali e come ad esempio nel caso del marketing olfattivo.”
Quali sono i fenomeni culturali che hanno più segnato le abitudini di consumo nei bar, nelle catene, persino nei supermercati?
“Sicuramente il delivery e la possibilità di adottare il take away tramite ordini gestiti da piattaforme digitali sono innovazioni degli ultimi tempi. Ci sono poi altre tendenze come ad esempio una crescita delle competenze dei consumatori sul caffè, avvenuta soprattutto sotto influenza dell’estero, dove i consumatori stranieri sono già attenti alle tante tipologie di prodotto.
Anche in Italia sta arrivando questo trend, seppur più lentamente.
Oltre a questo, un altro fenomeno nato dalla competizione sempre più forte tra i brand e dalla crisi economica, consiste nel doversi confrontare con dei clienti più esigenti. Questo ci porta a dover migliorare il servizio, a puntare sul customer service oltre che sulla qualità di prodotto.
Dall’altra parte il consumatore si attende un servizio diverso, che si sostituisce al rapporto di fiducia personalizzato tipico della caffetteria di quartiere. Oggi i grandi brand che si sviluppano in franchising devono rendere questo modello replicabile, con l’introduzione di tecnologie e piattaforme che consentono di raccogliere dati sui consumatori e personalizzare le offerte.
Anche il menù digitale può essere un’opzione interessante da accogliere. Sono tutte novità che non necessariamente devono esser introdotte a livello massivo e che devono far parte di un’innovazione più generale.
Resta il fatto che un investimento sul personale è il primo passaggio.
Analizzando le variabili ambientali che costituiscono l’atmosfera del retail, è emerso che tra le più significative per promuovere la loyalty si trova assolutamente quella del personale di vendita che deve esprimere l’identità dei brand, i suoi valori.”
Quindi l’automazione come si inserisce in questo ragionamento?
“L’automazione sarà introdotta a diversi livelli, sicuramente quando questa va a sostituirsi al personale il discorso si complica e sarà necessaria una considerazione che tenga conto di posizionamento, target e soprattutto location. Sono scelte imprenditoriali: per esempio all’interno di una caffetteria inserita in una stazione ad altissimo passaggio, in cui conta meno la relazione con il cliente e di più la velocità dell’erogazione, soluzioni di erogazione automatizzate possono essere vincenti.”
Olivero, lei ha seguito lo sviluppo di diverse catene come Cibiamo Group: che cosa si deve tenere conto ora per realizzare degli spazi accattivanti?
“Innanzitutto il mercato, che è fatto di consumatori, di una presenza più o meno intensa di possibili clienti su livello geografico. Lo stesso mercato tuttavia, è fatto anche di concorrenti. I consumatori hanno dei gusti, delle personalità, un potere d’acquisto: bisogna conoscere bene la domanda presente in una determinata area.
E allo stesso tempo cosa offrono i competitor. Alla base si deve condurre uno studio del posizionamento del brand rispetto ai concorrenti, individuando quel gap promettente dato da una domanda ancora inesaudita. Quindi si studiano i consumatori e di conseguenza si costruisce un’offerta riconoscibile, distintiva, in parte nuova e soprattutto capace di affascinare il pubblico.
Incontrando le esigenze in termini di servizio e prodotto, insieme all’immaginario più simbolico trasmesso attraverso la scelta di design, arredo, format.”
Secondo lei si sta andando sempre più verso la trasformazione della location in una destination?
“Quello è l’obiettivo di ogni brand. Se si riesce a costruire una proposta così soddisfacente da promuovere engagement e proporre un’esperienza di alto livello, le persone ricercheranno la stessa proposta, recandosi nel locale per consumare non soltanto un prodotto che può essere offerto anche dalla concorrenza, ma un’esperienza unica.”
A che punto sono gli studi della psicologia dei consumi applicato al neuromarketing?
“Il neuromarketing è un termine molto di moda, che racchiude sotto di sé diversi studi di neuroscienze applicati alle problematiche di marketing. La neuroscienza, grazie alle nuove tecnologie sviluppate a fini medici, può aiutare ad osservare alcune zone di attivazione celebrale, giungendo a delle inferenze rispetto al processo psichico attivato da un dato contesto di stimolazione.
Anche la misurazione neurofisiologica delle emozioni in termini di conduttanza cutanea e di ECG, può essere utilizzata per valutare l’impatto emozionale di un certo stimolo. Con il mio gruppo di ricerca abbiamo condotto molti progetti pionieristici sulla stimolazione olfattiva e sviluppato metodi proprietari per la selezione di fragranze ad alto impatto emotivo ed in grado di aumentare il consumo di caffe.
Oltre a diversa sperimentazione condotta in laboratorio, ho diretto diversi test sperimentali in-store tra cui anche un importante studio per le caffetterie di Autogrill.
Un’altra tecnica che possiamo utilizzare è l’eye tracker per la rilevazione dell’attenzione visiva. Con questo strumento è possibile verificare empiricamente dove si dirige lo sguardo e per quanto tempo si sofferma su un particolare stimolo visivo. Informazioni utili ad orientare la scelta fra diverse soluzioni di layout, visual communication ecc..
Tutte queste analisi tuttavia devono essere integrate da dati ‘più tradizionali’ per comprendere il perché di un’attivazione emozionale, per comprendere di cosa hanno bisogno le persone e per poter costruire offerte e narrative coerenti con il posizionamento del brand e le caratteristiche specifiche al contesto del retail
Quindi i locali del futuro secondo lei come saranno?
Olivero: “Il retail del futuro sarà più digitalizzato, dove l’omni channel dovrà essere messo in pratica. L’uso del cellulare che ormai è diffuso e articolato, è dotato di application che ci consentono di comunicare con lo store e altre innovazioni che non sono ancora messe a terra. In questo nuovo retail troverà sempre più spazio la gestione strategica dei social media e anche l’intelligenza artificiale dovrà esser coinvolta.
L’AI giocherà un ruolo importante in quanto ci consente di accumulare tutte le informazioni e di apprendere da queste. Potremmo trovare conoscenza attraverso le macchine che sono contenitori di dati infiniti, che col tempo continuano ad apprendere e si adattano alle esigenze reali di un contesto specifico.
In questo senso, l’intelligenza artificiale combinata alla robotica potrà essere trasformativa. La tecnologia si sta evolvendo mentre ne stiamo parlando e le applicazioni possibili sono inimmaginabili.
I Paesi asiatici sono precursori in questo campo. Il Giappone, in particolare, ha una predisposizione verso l’innovazione tecnologica differente anche per motivi religiosi: l’animismo prevede che le cose possano avere un’anima per cui i robot non fanno paura e si introducono senza timore.”