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lunedì 04 Novembre 2024
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Lavazza, Mario Cerutti: «Collaborare col Muse di Trento è un regalo»

Al museo della scienza di Trento è stata allestita una nuova installazione permanente dedicata ai progetti per l’ambiente (con il supporto di privati come Lavazza). Il piano è quello di parlarne, il più possibile

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TRENTO – Al Museo delle Scienze di Trento (Muse), il caffè sostenibile prende il suo spazio: con l’aiuto di diverse aziende, tra cui spicca il nome di Lavazza, installazioni, immagini tutte sul futuro green in sei tavoli tematici con al centro un mappamondo digitale. Leggiamo i dettagli dall’articolo di Dario Ronzoni su linkiesta.it.

Muse: sostenibilità e caffè in mostra

Il cammino verso la sostenibilità non può essere un movimento individuale, ma funziona soltanto se è collettivo. È con questo spirito che il Muse – Museo delle Scienze di Trento, in collaborazione con aziende come Lavazza (ma anche Esselunga, Brembo, Terna e altre ancora) ha inaugurato la sua nuova Galleria della Sostenibilità, uno spazio espositivo di 400 metri quadrati riallestito ex-novo. Il nome parla chiaro: “Un piano per la sostenibilità” e al suo interno viene indagato, con installazioni, schermi al plasma (riadattati, ci tengono a far notare), immagini, video (c’è perfino una serie girata apposta sul tema), fotografie e idee. Il tutto disposto su sei tavoli tematici. Al centro gira un enorme mappamondo, digitale.

Il progetto, spiega David Tombolato, uno dei curatori del progetto, è in realtà «un rinnovamento»

La vecchia Galleria risaliva al 2013 e molti dei concetti espressi e illustrati, «come ad esempio l’effetto serra» sono ormai acquisiti (tanto che il macchinario che lo riproduceva è stato smantellato). Adesso il fulcro è un altro: bisogna guardare al 2050, alla transizione ecologica e ai goal dell’Agenda 2030. Bisogna, più di tutto, fare informazione, sensibilizzare, portare le persone a conoscere i problemi relativi al clima, con tutte le ricadute sulla vita quotidiana. Per un Museo che (dati 2019) accoglie ogni anno 500mila visitatori, si tratta di un compito importante.

«La transizione ecologica», spiega il direttore del Muse Michele Lanzinger, «vuol dire transizione culturale». Per questo, per «un museo come il nostro, che vuole essere luogo di incontro e di conversazione, è un’occasione per fare entrare la società». Cioè le aziende «virtuose» in fatto di sostenibilità, che sul tema «non definirei sponsor, ma partner per un’azione integrata».

Parlare di cambiamento climatico e dei Goal per contrastarlo, se fatto in modo serio, è difficile.

È la sostanza del cosiddetto Goal Zero, secondo una formulazione inventata proprio da Lavazza

Mario Cerutti Lavazza Coffee & Climate
Mario Cerutti

L’obiettivo primario, che precede tutti gli altri, è rendere consapevoli le persone. Proprio perché l’azione di cambiamento deve essere corale. Il fatto che nella Galleria della Sostenibilità sia presente una “Goal Zero Area” è, per Mario Cerutti, Chief Institutional Relations and Sustainability Officer del Gruppo Lavazza, «una soddisfazione», spiega a Linkiesta. Collaborare con il Muse di Trento «è un regalo». Anche perché riprende «il nostro concetto, elaborato circa quattro anni fa» e lo fa diventare il perno di una parte dell’esposizione permanente.

«L’azione del singolo, che sia un’azienda, ma anche solo di un Paese, può fare poco. Il piano per il 2030 è complicato perché richiede il lavoro sincronizzato di tantissimi soggetti». Anche per la sua divulgazione servono allora progetti e collaborazioni. «Questo del Muse è, credo, una cosa unica al mondo. A Torino, invece, abbiamo scelto di parlare ai giovani attraverso la street art, con un collegamento a Bristol, la patria di Banksy».

Il punto è che, in queste cose, oltre alle parole serve il buon esempio, come quello esposto al Muse

«È così», ammette. «Per noi Lavazza il punto più importante – quello in cui concentra gran parte della nostra attività – è il reperimento della materia prima, il caffè», che avviene in un quadro spesso complicato dalla deforestazione e dagli effetti che ne conseguono, come la produzione di CO2.

«Su questo aspetto lavoriamo soprattutto a livello di Fondazione». Si punta, soprattutto, a «sensibilizzare i coltivatori, cioè a livello di Goal 4», cioè la formazione. I contadini spesso ricorrono alla deforestazione per utilizzare i nuovi terreni per coltivare il caffè. «Noi interveniamo con programmi specifici in cui insegniamo nuove tecniche agricole che, appunto permettono di riforestare zone deforestate, o di utilizzare meglio zone già coltivate a caffè, per evitare che vengano consumate altre aree». Per essere più specifici: «Si tratta di tecniche che prevedono l’impiego di alberi ad alto fusto, per esempio, che aiutano a dare la giusta ombra alle piantine di caffè, ma offrono anche una protezione dal vento e, perché no, lavorano per il sequestro della CO2».

Un altro aspetto essenziale è «insistere sulla consapevolezza delle tecniche di produzione»: chi produce, in poche parole, dovrà anche «saper valutare il prodotto finale, cioè capire il valore della qualità del caffè». È stato fatto «in collaborazione con l’Ecuador» un programma di formazione («a distanza, a causa del Covid») con cui i collaboratori riescano a comprendere il senso e il valore del loro lavoro. Imparano anche a esserne consapevoli e a ottenere un pagamento adeguato. «È come se io producessi una Ferrari senza conoscerne il reale valore. Lei potrebbe offrirmi mille euro e a me andrebbero bene».

Ma se parlare di clima serve a educare il pubblico – quello Occidentale, prima di tutto – per arrivare agli obiettivi del 2030 e, perché no, alla decarbonizzazione del 2050 serve che i consumatori «facciano pressione sulle aziende, con scelte consapevoli di acquisto».

È l’unica arma perché tutti i produttori facciano la loro parte, cioè inseguire obiettivi di sostenibilità per mantenere i propri interessi. «In questo senso direi: viva il greenwashing», esagera. «L’importante è che lo facciano tutti». È una ovvietà: l’azienda virtuosa deve essere incentivata anche da un tornaconto economico, non soltanto dai giusti ideali filantropici o ambientalisti.

Nel futuro ci si andrà tutti insieme, e se sarà buono il merito sarà di chi farà esposizioni a tema, come il Muse. Ma anche di chi riformulerà i propri interessi per rendere la sostenibilità, più che una parola-grimaldello per sollevare applausi, un impegno concreto.

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