BINASCO (Milano) – Anche in questo caso si tratta di pecorelle smarrite. Anzi, di capre. Quelle di un pastorello dello Yemen che le ritrovò accanto a un arbusto dai piccoli frutti rossi. Solo che gli ovini sembravano diversi. Come animati da nuove energie.
Il ragazzo portò le bacche al monastero dove l’abate, credendole demoniache, le gettò nel fuoco.
E la cosa sembrava finita lì. Invece dal camino cominciò a salire un aroma attraente e sconosciuto. I monaci decisero di farne un decotto e scoprirono che riusciva a tenerli svegli anche durante le veglie di preghiera. La leggenda finisce qui. Il resto è storia.
La storia del caffè. Bevanda che per Eduardo permette di resuscitare come Lazzaro, secondo Balzac fa avanzare le idee come battaglioni e alla quale Rimbaud dona perfino l’appellativo di divina.
A Binasco, alle porte di Milano, all’interno della curvilinea architettura del Museo della macchina del caffè del Gruppo Cimbali (Mumac), l’aroma millenario (secondo alcuni sarebbe già citato da Omero) si può sfogliare e leggere tutto di un fiato.
Da poche settimane all’interno della struttura ha infatti aperto la Mumac Library, seconda al mondo solo al Joan Jacobs Museum di Zurigo: oltre mille volumi dal 1592 a oggi e un archivio di quindicimila documenti, tutti catalogati e digitalizzati che spaziano dai manifesti pubblicitari di fine Ottocento alle ricette, fino ai libri più tecnici, come quelli che spiegano come ottenere la giusta torrefazione.
La biblioteca ha il fascino delle contaminazioni. Si va dal trattato medico-scientifico al volume sulle preparazioni, dai saggi di botanica fino alle antologie letterarie, le rappresentazioni artistiche, le cronache del costume.
Con un punto di partenza: il De Plantis Aegypti Liber di Prospero Alpini, primo trattato scientifico stampato in Italia nel quale, alla fine del Sedicesimo secolo, compare la figura della pianta del caffè.
Un cimelio tra i molti conservati nella Library, inserita nel circuito del Sistema Bibliotecario Nazionale e articolata in dieci sezioni. Si va da quella dedicata alle miscele al settore arti e design, senza dimenticare la storia dei consumi e lo sviluppo delle nuove tecnologie.
I luoghi del caffè, anche. Gli spazi nobili dei centri storici e i baretti di periferia, assi cartesiani delle abitudini sociali in Italia ancora più che altrove.
Perché la parola “Caffè” indica sia la tazzulella sia il luogo dove andare a sorseggiarla. Un habitat di chiacchiere e degustazione così fascinoso da dare il nome a riviste politiche e letterarie, oppure da diventare sede di grandi accordi o indicibili complotti.
Tutto nel nome di un gusto, per dirla con l’anarchico Bakunin, dolce come l’amore e caldo come l’inferno.
Marco Bracconi