BERLINO – Dove prendere un gelato? Al museo. L’estate è ancora piovosa, ma i tedeschi sono golosi, e i gelati li consumano anche in inverno. Ora al Clemens-Sels-Museum di Neuss, a due passi da Düsseldorf, in Renania Westfalia, si è aperta la mostra «Gelato!» (nella FOTO, la locandina della mostra), giustamente con il punto esclamativo, che racconta la storia di una lunga passione, iniziata verso la metà dell’Ottocento.
Per la storia, la prima Eisdiele, gelateria, si aprì ad Amburgo nel 1799, ma non è certo, e comunque si tratta di un caso isolato.
L’invasione del gelato italiano inizia molto più tardi. Una conquista che dura finora: dal Baltico alla Baviera, le gelaterie sono circa quattromila, e tremila sono italiane, e di queste i due terzi sono gestiti da emigranti venuti dalla Val di Zoldo, in provincia di Belluno.
Emigrarono verso il 1850 spinti dalla fame, prima verso l’Austria, poi si spostarono in Baviera, e cominciarono a risalire a Nord, seguendo il Reno.
Oggi, in provincia, paesi e cittadine si assomigliano: nella piazza centrale, fianco a fianco davanti al municipio, si trovano sempre un grande magazzino, una pizzeria e una gelateria che di solito si chiama «Venezia».
Oppure si trovavano: il grande magazzino in molti centri è scomparso, a causa di Amazon e della distribuzione online, la pizzeria a volte ha cambiato nome, è diventata un ristorante turco, o cinese, o magari uno spaccio di sushi, ma la gelateria «Venezia» è sempre al suo posto, inconquistabile.
Ma comprabile: alcune sono gestite da tedeschi o siriani, o marocchini, con qualche problema legale: hanno il diritto di scrivere «Italienisches Eis», gelato italiano, se il gelataio non lo è? La giurisprudenza al riguardo è controversa.
Al museo, si mostrano le gelaterie storiche, soprattutto nella regione, che ospita oltre 80 mila immigrati italiani, ormai alla terza generazione.
L’«Eiscafé Sagui» a Mönchengladbach si aprì nel 1894, ed è sempre al suo posto, gestito dalla famiglia giunta alla quarta generazione.
Una foto mostra i tre fratelli Sagui il giorno dell’inaugurazione, in giacca, panciotto e cravattino nero.
Andare a prendere un gelato all’epoca era un lusso.
Ma per le strade di Monaco o di Francoforte cominciavano ad aggirarsi i carrettini a tre ruote che offrivano coni ai passanti a prezzi abbordabili.
Una emigrazione stagionale: venivano in primavera, se ne tornavano nella loro valle nelle Dolomiti in autunno. Adesso rimangono tutto l’anno.
Al museo hanno ricostruito una gelateria, la «Lido». Con una gelatiera Gaggia del 1958, e tutti gli arredi tipici del dopoguerra. I tavolini sono rotondi, le sedie cromate. Mentre nelle vetrine sono esposte foto di calciatori e gagliardetti delle squadre della serie A.
Sessant’anni fa, una pallina di gelato costava dieci pfennig, centesimi. Oggi a Berlino costa almeno un euro, anche un euro e cinquanta
Dal juke box arriva la canzone Zwei kleine Italiener, due piccoli italiani, affettuosa, non razzista.
Oppure Wenn die rote Sonne auf Capri, quando il sole tramonta rosso a Capri.
Si celebra l’inizio di un amore tra italiani e turisti tedeschi. Fatto come ogni amore di bisticci, malintesi, e riconciliazioni. Da Konrad Adenauer ad Angela Merkel, da Alcide De Gasperi a Helmut Kohl.
Un amore goloso che resiste anche all’invenzione del gelato al Puffo. E anche degli spaghetti Eis, gelato a forma di spaghetti, ricoperti di fragola invece che dal sugo al pomodoro.
Roberto Giardina