TAVAGNACCO (Udine) – Quarant’anni di sponsorizzazioni nello sport, anche contro corrente, pensate al ciclismo dove, proprio mentre le aziende italiane latitano, lui investe milioni ingaggiando, con la Trek un certo Alberto Contador.
Massimo Zanetti, il re del caffè grazie al marchio Segafredo Zanetti, roba da 2.500 dipendenti e 1,2 miliardi di fatturato annuo, martedì a Tavagnacco dall’imprenditore Enzo Cussigh ha ricevuto il premio Fun Bike Night.
Famiglia d’origine friulana, l’industriale trevigiano è legato a filo doppio a queste terre. Ma anche a leggende dello sport come Senna, Lauda, solo per parlare di Formula 1.
Zanetti, incominciamo da Gorizia?
«Per forza. Quello è stato il periodo più bello della mia vita. A metà degli anni ’80 sponsorizzai la squadra di basket di A2. È una città che ama la pallacanestro alla quale sono molto legato anche perché a Gradisca d’Isonzo c’è una mia azienda, la San Marco. Ricordo le partite al palasport, la passione della gente. E in quegli anni andava forte anche il calcio».
Ora non c’è più nulla…
«Mi dispiace tremendamente. Ora sto sponsorizzando la squadra di basket in carrozzina del mio amico Leo Terraneo, masto già dando una mano alla Virtus Bologna di serie A2, società storica della pallacanestro. Ma a Gorizia ho lasciato un pezzo del mio cuore».
Si ricorda i 57 punti di capitan Ardessi a Reggio Calabria?
«E come dimenticarli. Il capitano ora ha una palestra? Grande giocatore».
Dal basket al calcio, ma ci è rimasto poco…
«Beh, sono stato presidente del Treviso con una comparsa in A e del Bologna. L’ho fatto perchè quando lo sport chiede aiuto non riesco a resistere. Credo però che una società di calcio non debba essere di un padrone, ma di una città. Gli imprenditori locali si sono defilati e allora…Comunque nel calcio magari ci torno».
Fun Bike Night 2016
Il progetto Udinese dei Pozzo?
«Meraviglioso, il vostro club è preso ad esempio da tutti, anche per lo stadio. E da Treviso ho tanti amici abbonati all’Udinese».
I cinesi nel pallone la convincono?
«All’inizio no. Poi ho visto uno studio su come cambierà il calcio in Cina nei prossimi anni e ho capito che presto ne vedremo delle belle. I loro investimenti cambieranno il calcio, un po’ come i petrodollari hanno cambiato il ciclismo globalizzandolo».
A proposito di ciclismo: gli sponsor italiani se ne vanno, lei invece è ritornato…
«Sono un appassionato di sport, il mondo del lavoro ti dà e tu devi restituire qualcosa, non solo mettere via i soldi. E poi solo far pubblicità in tv non basta…Il mondo dello sport è un veicolo perfetto, specie il ciclismo degli ultimi anni, quello depurato dal male del doping».
Iniziò legando il suo nome a Moser negli anni Ottanta… «Francesco fu un grande, lo feci pure presidente onorario della Pallacanestro Gorizia. Non capiva di basket, ma…».
Ha ingaggiato un certo Contador…ha 34 anni, ma infiamma le corse come pochi.
«Punta a vincere il Tour, è un campione, ma prima una persona di grande umanità, penso alla fondazione che ha aperto. Abbiamo anche Pantano, Mollema e Nizzolo, ma Alberto è il nostro leader».
Si dice che per il 2018 stia trattando Aru...
«Avevamo provato a prendere Nibali, poi il sultano del Bahrain ci ha fregati, per il futuro sì, Aru ci piace».
Seguirà le corse?
«Certo. In ammiraglia. Spiace per i puristi, ma sentire i direttori sportivi che dialogano con i corridori grazie alle radioline è una goduria».
Ingaggerebbe Froome?
«No. Corre solo il Tour, Contador è più spettacolare e ci permetterà di potenziare il marchio Segafredo in Spagna e Portogalo».
A Gorizia nel 1985 fece sfilare in Corso Italia le due McLaren campioni del mondo di Lauda e Prost che sponsorizzava…
«Fantastico. Niki era di una professionalità incredibile…e gli piacevano molto le donne».
Keke Rosberg?
«Intelligentissimo. Un aneddoto? Beh, prima delle gare un paio di bicchieri di Vodka erano obbligatori. E il figlio Nico ha fatto benissimo ha lasciare da vincitore: è cresciuto col mito del padre Campione del mondo».
Ayrton Senna?
«(il sorriso lascia posto a un velo di tristezza ndr). La sua morte ha segnato la mia vita. Ero per lui come un fratello maggiore. L’ho seguito da quando era una promessa dell’automobilismo. Si confidava con me su tutto, questioni di cuore comprese. Ero a Imola il 1 maggio 1994 con la mia famiglia: è morto al Sant’Orsola, a 300 metri dalla mia casa. Se ho aperto una Fondazione per dare cibo ai bimbi nel mondo l’ho devo anche a lui».
Antonio Simeoli