CHEMIN DU PONTET – Nzatu è un’associazione che promuove l’agricoltura rigenerativa con l’obiettivo di produrre alimenti sostenibili senza interferire con le risorse naturali e preservando l’habitat della fauna selvatica. In particolare, Nzatu aiuta le comunità locali di contadini nella produzione di caffè, cacao e miele a valle della filiera a generare un reddito stabile.
Recentemente, Nzatu ha lanciato il progetto Njuki Coffee con Artcafé per valorizzare il caffè di alta qualità e, al tempo stesso, promuovere e costruire un futuro migliore per i lavoratori in Africa (ne abbiamo parlato qui).
Per saperne di più, abbiamo intervistato Michele Sofisti, co-founder e ceo di Nzatu Europe SA con sede Chemin du Pontet in Svizzera.
Che cos’è Nzatu? Come è nato il progetto?
“Nzatu nasce dall’idea di due sorelle provenienti dallo Zambia, Gwen Jones e Denise Jones Madiro, che si sono lanciate nell’apicoltura al fine di generare un’economia di introiti per le comunità di contadini locali ed eliminare l’effetto della deforestazione. Abbiamo creato un’arnia (dimora della colonia delle api) a due piani e riusciamo a produrre 60 chili di miele all’anno in due raccolti.
Vendendo il miele si ottengono degli introiti molto superiori al disboscamento, una pratica diffusa in Africa. Questo è stato l’inizio della nostra storia.
Abbiamo coinvolto diverse figure di spicco tra cui Prithvi Naik, climate economist, e Andrea Chiesi della Chiesi Farmaceutica, una delle più importanti aziende europee nel campo. Così nasce Nzatu, un’associazione che promuove l’agricoltura rigenerativa: perciò niente pesticidi o fertilizzanti chimici o artificiali nei campi delle comunità di produttori agricoli in Africa.
Grazie a Gwen e Denise oggi siamo entrati in contatto con 15 Paesi dell’Africa Sub-Sahariana. Esplorando il mondo dei produttori non abbiamo potuto fare a meno di scontrarci con le filiere del cacao e del caffè insieme a realtà e brand dove facciamo training, controllo di qualità e coordinamento per collegare le produzioni con il mercato internazionale.

Inoltre abbiamo creato un ecosistema di partner con valido team di advisor professionale, tra cui Ameenah G. Fakim, l’ex presidente delle Mauritius. Abbiamo anche curato il punto di vista tecnologico per la tracciabilità e il monitoraggio: per esempio, lavoriamo con Restore.eco, una realtà spin-off dell’Università Politecnico di Zurigo, che fa monitoraggio satellitare. Garantiamo tutte le modalità per affermare da dove viene e come è stato fatto il caffè, il cacao o qualsiasi altro prodotto”.
Per quanto riguarda il caffè?
“In questo momento siamo in contatto con produttori locali in vari Paesi, principalmente l’Uganda, ma anche l’Angola, il Kenya, l’Etiopia e i vari protagonisti produttori della filiera. Trattiamo sia qualità Robusta che Arabica e anche specialty dal Malawi. Non siamo trader: non compriamo né vendiamo.
Facciamo da ponte di collegamento tra le comunità e i mercati. Il desiderio è quello di creare un impatto positivo nella società e fare in modo che i contadini non vengano sfruttati dalla catena del valore. Vogliamo dare un aiuto concreto”.

Cos’è nello specifico l’agricoltura rigenerativa e come interessa il caffè?
“L’agricoltura rigenerativa si basa su delle pratiche che possono essere definite antiche. Non si usano fertilizzanti chimici, né pesticidi artificiali. Vengono utilizzate le materie prodotte dalla natura stessa e dalle piantagioni. Tra l’altro siamo anche partner della Regenerative Society Foundation, associazione fondata da Andrea Illy e l’economista Jeffrey D. Sachs.
L’agricoltura rigenerativa non sarebbe tale senza l’intercropping, l’uso delle piante di legumi che aiutano la rigenerazione del suolo con l’azoto e altri minerali.
Abbiamo inoltre un progetto in Zambia, dove faremo una piantagione di moringa su 7000 ettari insieme alle comunità locali. Verrà introdotta l’apicoltura e faremo un intercropping per aiutare sia i raccolti che la rigenerazione del suolo”.

Inoltre fate parte della Swiss Coffee Sustainable Platform
“Esatto. Questa è una iniziativa nata l’anno scorso dal governo svizzero. Siamo subito entrati nel progetto in cui promuoviamo pratiche rigenerative organiche”.
In che cosa consiste il progetto Njuki Coffee con Artcafé?
“Da un lato il nostro lavoro è quello di collegare le produzioni di caffè crudo con i mercati, ovvero il torrefattore e il marchio. Per lanciare un messaggio di impatto che valorizzi il chicco di alta qualità e la salvaguardia dei contadini, abbiamo presentato il progetto Njuki Coffee con Artcafè, un marchio di grande valore, e il fondatore Luca Montagna.

Portiamo chicchi 100% Arabica dell’Uganda dal nostro partner Friends of Mother Initiative, una raccolta di sole donne contadine, a Parma da Artcafé, in cui viene preparato e impacchettato, pronto per la distribuzione. In questo momento abbiamo creato caffè in grani, macinato 250 grammi, sia in lattina che in pacchetto sottovuoto. In futuro ci espanderemo con un’offerta più ampia che comprende capsule e pacchi da 1 kg pensato per bar”.
In cosa consiste la strategia di mercato?
“Se parliamo di caffè, la strategia è legata ad Artcafé. Non siamo un brand né desideriamo esserlo. Siamo coloro che portano una storia d’impatto sociale sulla protezione della biodiversità e sui cambiamenti climatici nell’ambito del caffè attraverso la parternship con Artcafé. La strategia di implementazione del mercato per mercato varia sempre. Ad esempio, in questo momento, tramite un nostro partenr negli Stati Uniti, siamo presenti su Wallmart, il più grande retailer al mondo con 4500 punti vendita solo negli USA”.