MILANO – Dal supplemento settimanale Affari&Finanza di La Repubblica ecco un’analisi accurata che riguarda il mercato della tazzina. Molti dati che abbiamo fornito in dettaglio in articoli successivi ma che qui sono stati riportati globalmente. Anche con i dati relativi al 2017, che mostrano un calo delle importazioni di caffè crudo. Un fenomeno determinato dalla diffusione di capsule e cialde. Prodotti che hanno sostituito la classica moka. E che riducono, e di molto, gli sprechi di polvere di caffè. Quindi un minor consumo.
Inoltre, le aziende italiane vendono sempre più oltre confine il caffè torrefatto in Italia, dall’Europa alla Cina. Nel settore è partita poi una corsa per crescere nelle acquisizioni.
Mercato della tazzina, come si sta evolvendo
Sono due dati da cui si può partire per capire come sta cambiando l’industria italiana del caffè. Il primo riguarda le importazioni di “caffè verde“, come si chiama quello crudo, non ancora torrefatto.
Nel 2017 sono diminuite dell’ 1,76 per cento, se si mettono insieme i numeri di quello normale e del decaffeinato. Il secondo dato riguarda le esportazioni di caffè torrefatto, sempre di entrambe le tipologie.
Ebbene: l’anno scorso sono aumentate del 5,05 per cento, confermando una tendenza che va avanti ormai da molto tempo. Rispetto a dieci anni fa, ad esempio, il volume di caffè torrefatto esportato dai produttori italiani è quasi raddoppiato;
passando così dai 2,1 milioni di sacchi equivalenti di caffè verde (è l’ unità di misura utilizzata per questi scambi e corrisponde a 60 chilogrammi) del 2008 ai 4,1 milioni del 2017.
Meno importazioni di caffè crudo, la materia prima, più esportazioni di caffè torrefatto
Non ci vuole un genio matematico per intuire che l’anno scorso in Italia i “consumi apparenti” come li definisce l’istituto nazionale di statistica Istat, che elabora questi dati – sono diminuiti, ma che allo stesso tempo l’ industria domestica dei torrefattori sta facendo ottimi affari vendendo di più all’ estero.
Il motivo lo spiega Patrick Hoffer
Portavoce del Comitato italiano del Caffè, l’ associazione che rappresenta gli operatori del settore: «Le abitudini dei consumatori stanno cambiando; si sta diffondendo l’ uso del caffè che noi chiamiamo “porzionato”, in capsule, in cialde, che ha raggiunto ormai il 30 per cento del mercato.» Dice.
L’esempio che fa Hoffer è piuttosto calzante
Un tempo una coppia prima di uscire di casa la mattina metteva sul fornello una moka da tre tazze, mentre oggi prepara due tazzine. Si consuma dunque meno materia prima.
Forse si spende di più per ogni tazzina (perchè il caffè in una capusla o in una cialda a parità di peso costa di più rispetto alla moka) ma si spreca anche meno.
Detto del cambiamento di abitudini, rimane il momento favorevole dell’ industria del settore. Dominato dai big come Lavazza, Segafredo- Zanetti, Kimbo, Vergnano, Illy, Pellini, oltre che da multinazionali come Nestlé. Ma comunque molto ricco di aziende anche più piccole.
I numeri del Comitato italiano del Caffè
Dicono che in Italia operano 800 torrefazioni con circa settemila addetti, che il fatturato delle vendite nel 2017 è stato di 3,9 miliardi di euro. Dei quali 1,35 miliardi relativi all’export (il 3,3 per cento in più rispetto a un anno prima).
Gli sbocchi più importanti sono la Francia, la Germania e l’Austria; ma stanno andando bene anche mercati emergenti come la Russia o la Cina.
Perché il mercato del caffè italiano sta maturando
«I motivi di questa crescita sono il riconoscimento, anche all’estero, della capacità di fattura e della qualità che le aziende italiane riescono a garantire- Assieme all’allure che il nostro cibo e la nostra alimentazione si portano dietro.
Basta pensare che in qualsiasi coffee shop si vada, all’estero, le parole utilizzate sono italiane: cappuccino, espresso, latte», dice Hoffer. Nato a Milano da una famiglia di origini inglesi, trapiantato ad Arezzo dove guida la sua azienda, la Caffè Corsini.
Il momento favorevole del settore
Allo stesso tempo, la presenza di numerosi marchi fa prevedere che possano esserci concentrazioni o acquisizioni, dopo quella effettuata da Italmobliare, che a inizio anno ha comprato per 140 milioni di euro il 60 per cento di Aromatika, società napoletana conosciuta con il brand Caffè Borbone. Il fenomeno, peraltro, è in atto in tutto il mondo.
Nel maggio 2017 Lavazza ha acquisito l’80 per cento della canadese Kicking Horse. Leader nel segmento del caffè organico e “fair trade”, mentre due mesi più tardi si è aggiudicata il 100 per cento del distributore australiano di macchine e capsule Blue Pod.
Una duplice operazione che segue le mosse già effettuate dal gruppo in Francia (Carte Noire), in Danimarca (Merrild) e anche in Italia. Dove ha comprato la padovana Nims, specializzata anch’essa nella vendita di macchine e capsule.
Tra i gruppi stranieri, si seguono due direzioni
Quella delle torrefazioni e dei locali dove il caffè viene consumato. Nestlé ha annunciato nello scorso settembre dui aver acquistato per 500 milioni di dollari l’ acquisizone del 68 per cento della catena di caffetterie Blue Bottle.
Partita nel 2000 da un bar di Oakland, in California, e capace di raggiungere ormai i 55 punti vendita. A fine anno, poi, il colosso svizzero si è mosso nuovamente negli Stati Uniti, comprando il produttore di caffè organico Chameleon.
Nel maggio scorso uno dei grandi concorrenti di Nestlé, la Jab Holdings della famiglia tedesca Reimann, proprietaria fra l’ altro di Keurig Green Mountain e Peet’ s Coffee, ha acquistato anche la catena di locali Pret a Manger. (lu.p.)