MILANO – La chiave per sfondare nell’immenso mercato cinese del caffè? Puntare sul fuori casa, perché è in questo canale che si forma l’identità di marca. Così Antonio Baravalle, Ad del gruppo Lavazza, parlando a margine del Retail Summit organizzato da Confimprese, lo scorso mese di settembre.
Le dinamiche, nel paese del dragone, sono infatti molto diverse da quelle di qualsiasi altro mercato. Per costruire il brand, bisogna innanzitutto creare una rete di caffetterie: il foodservice classico, come lo intendiamo noi, non esiste.
Serve per questo trovare partner locali “estremamente forti, importanti, con capacità di operation. Ma capaci anche di capire i valori di un marchio storico come Lavazza”.
Questo partner, il gruppo piemontese lo ha trovato nel gigante Yum China, una società Fortune 500, che ha sede a Shanghai, il cui fatturato ha superato, nel 2022, i 9,5 miliardi di dollari. E che detiene i diritti, in terra cinese, di marchi del calibro di Kfc e Pizza Hut.
Il sodalizio ha avuto un inizio difficile: il flagship di Shanghai , il primo di Lavazza al di fuori dei confini italiani, ha tagliato il nastro nell’aprile 2020: non propriamente il momento migliore per lanciare una catena di caffetterie.
In circa 3 anni e mezzo, il brand italiano ha aperto oltre un centinaio di locali, in una decina di metropoli. La roadmap prevede di accendere un migliaio di insegne entro tre anni. E una crescita parallela nel B2B e B2C.
Intanto, il settore delle caffetterie a marchio ha ripreso a correre nel mercato cinese da un anno a questa parte, dopo il cambio di politica Covid deciso da Pechino a fine 2022.
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