MILANO – È un caffè dal gusto amaro, quello che JM Smucker ha servito ai suoi azionisti durante la conference call di mercoledì scorso.
Il colosso americano ha pubblicato, a metà settimana, una trimestrale deludente, con vendite nette in calo del 5% nelle 13 settimane al 31 ottobre (secondo trimestre 2015) e un reddito operativo inferiore del 4% rispetto al pari periodo dello scorso anno. Principale responsabile di questa performance negativa, il ramo caffè.
Le vendite hanno subito una flessione a volume del 18% rispetto allo stesso trimestre dell’esercizio 2014, dovuta principalmente al pessimo andamento di Folgers (-20%), marchio leader nel mercato americano del torrefatto macinato, con una share stimata attorno al 50%.
Forti arretramenti anche per il marchio “etnico” Café Bustelo (-12%), mentre la gamma Dunkin’ Donuts limita i danni (-3%) e il porzionato (K-Cup) cresce addirittura del 15% a volume e del 12% in termini di valore netto.
Complessivamente, le vendite nette del business caffè segnano un arretramento del 10% rispetto al secondo trimestre 2014, mentre gli utili subiscono una contrazione del 16%.
Una pesante batosta che il management imputa innanzitutto agli errori commessi nella politica dei prezzi al dettaglio.
A giugno, JM Smucker ha deciso, per la prima volta in tre anni, un ritocco dei listini, con rincari medi del 9% sui prezzi dei prodotti più popolari, in risposta all’impennata dei costi del caffè verde causata dalla siccità brasiliana.
Le politiche di acquisto e di gestione delle scorte attuate dai torrefattori americani fanno sì che essi siano molto più reattivi nell’adeguare i prezzi agli incrementi (come ai decrementi) di costo rispetto, ad esempio, ai loro colleghi italiani.
Come sempre accade, la mossa è stata imitata nelle settimane successive dagli altri principali competitor della scena statunitense, a cominciare da Kraft (Maxwell House e Yuban).
L’impatto dei rincari è stato amplificato dalle promozioni aggressive dei trimestri precedenti, favorite dai minori costi della materia prima durante l’anno solare 2013.
È accaduto così che i prezzi sugli scaffali abbiano subito maggiorazioni improvvise anche nell’ordine dei 2 dollari per barattolo. Ciò ha traumatizzato i consumatori spingendoli a rinviare gli acquisti o a ripiegare su private label più economiche.
A fare il mea culpa e riconoscere gli errori commessi nelle tempistiche e nelle modalità di attuazione delle modifiche ai listini è stato lo stesso Mark Smucker, responsabile per il canale alimentare del business caffè di JM Smucker.
“Guardando all’evoluzione dei prezzi promozionali tra agosto e settembre c’è stato un salto di prezzo senza precedenti, che ha causato una specie di sticker shock (“shock da etichetta”)” ha dichiarato Smucker durante la conference call ricordando che il marchio Folgers aveva registrato risultati positivi in otto dei nove trimestri precedenti, consolidando la sua leadership sul mercato americano.
Il passo falso non ha ridimensionato gli obiettivi di JM Smucker, che si dichiara convinta di poter superare questo momento difficile facendo leva sulla forza del suo apparato commerciale e sfruttando le marginalità offerte dall’alta gamma e dal porzionato.
Rimane il fatto che i dati IRI (provvisori e da verificare) citati dal presidente e COO Vince Byrd evidenzierebbero, per il periodo di riferimento, una flessione generale del mercato Usa pari al 9% nel segmento mainstream, compensato solo in parte dall’avanzata delle private label (+3%).
Un segnale da non sottovalutare, anche perché il deficit di offerta previsto per questa annata caffearia prefigura il permanere di prezzi elevati sui mercati del caffè verde.
Intanto, i futures sui caffè arabica sono precipitati ieri a 187,70 centesimi, perdendo oltre 1.000 punti dopo l’impennata di mercoledì.
Sui ribassi ha probabilmente influito anche il nuovo report Usda sulla produzione brasiliana, che ha corretto al rialzo di 1,7 milioni di sacchi la stima per il raccolto 2014/15. I dettagli del report nel numero di lunedì.