MILANO – Panico sui mercati del caffè: ieri, mercoledì 17 novembre, New York ha visto una nuova esplosione dei prezzi, con rincari giornalieri senza precedenti dallo scorso decennio e chiusure mai raggiunte da quasi 10 anni a questa parte. Il contratto per scadenza dicembre dell’Ice Arabica ha guadagnato 1.055 punti rivalutandosi di quasi il 5% in un giorno. E volando così a 232,60 centesimi, massimo per la prima posizione dal gennaio del 2012.
Il contratto per scadenza marzo – sul quale si concentrano sin d’ora i volumi di contrattazione maggiori e destinato a diventare scadenza principale tra pochi giorni – guadagna a sua volta 1.025 punti chiudendo a 234,75 centesimi.
La frenesia rialzista non contagia il mercato londinese, che cresce solo marginalmente (+19 dollari) terminando la giornata a 2.256 dollari. Ben al di sotto dei massimi storici della scorsa settimana.
Cosa spiega questa nuova impennata?
I fondamentali di domanda e offerta, per quanto bullish, non bastano per rendere conto di quanto sta accadendo. Indubbiamente pesano i problemi del Brasile: il raccolto 2021/22 è in calo, per motivi climatici e ciclici.
E rimane l’incertezza sullo sviluppo del prossimo raccolto. Le notizie sull’andamento della fioritura rimangono contraddittorie e le prime stime attendibili non arriveranno prima di gennaio.
Si va intanto incontro alla stagione più calda, con il rischio di ulteriori anomalie meteorologiche, alle quali potrebbe contribuire il ritorno della Niña.
Questo fenomeno climatico si starebbe ripercuotendo sulla stagione di raccolto in Colombia, dove già la Federazione nazionale dei produttori ha tagliato la stima per il 2021/22 di mezzo milione di sacchi portandola a 13 milioni.
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