MILANO – Le abitudini di consumo si rispecchiano nei numeri, commentati bene dall’amministratore delegato della Filiale italiana di Mc Donald’s, Mario Federico in un articolo della sezione economia del quotidiano La Repubblica. Le aspettative e la sensibilità verso la qualità della proposta nel menù, colpisce su tutti i fronti: dalla carne utilizzata negli hamburger, sino al caffè espresso servito nei McCafé con materia prima torrefatta in Italia, a Milano e macchine professionali made in Italy.
McCafé e McDonald’s scelgono la materia locale
Mario Federico rilascia un commento eloquente: “Non basta più il sogno americano. I clienti vogliono chef e riscoprono le produzioni del territorio: la nostra carne viene da 15 mila allevatori locali“.
A questo si aggiunge Vito de Ceglia Milano «L’ Italia è oggi tra i nostri primi 5 mercati “emergenti”al mondo con il più alto tasso di crescita.
In assoluto è uno di quelli da cui ci si aspetta di più nei prossimi anni insieme a colossi quali Cina, Russia, Corea e Spagna».
Qual è il valore della posta in gioco per il nostro Paese
Un passato nella grande ristorazione di lusso, Federico è da venti anni che lavora per la multinazionale americana dove ha ricoperto diversi ruoli apicali in giro per il mondo.
Ma solo da due è ritornato in patria: perché è a lui che Steve Easterbrook, il numero uno di McDonald’s, ha affidato il compito di portare l’Italia nell’olimpo dei paesi “maturi” in compagnia di Canada, Australia, Francia, Germania e Gran Bretagna.
Paesi dove l’espansione è già avvenuta e dove i margini di crescita sono oggi stabili.
I numeri
Vendite e visite nei 557 ristoranti sono aumentate del +10,6% e del +8,8% sul 2016. Un giro di affari stimato di 1,2 miliardi di euro. Sono i numeri del 2017.
Cifre grazie alle quali «l’Italia è diventato un mercato talmente importante per il gruppo che ogni decisione viene presa in modo molto più veloce rispetto agli altri paesi », dice Federico.
Che puntualizza: «L’anno scorso il mercato di riferimento – 290 mila esercizi tra pizzerie, fast food, bar e tavole calde – è cresciuto dell’1,5%».
La sfida
E’ ora quella di aumentare la forbice con un piano di investimenti immobiliare del valore complessivo di 300 milioni di euro che prevede da qui al 2020 ogni anno venti nuove aperture e il restyling di 150 ristoranti.
Tutti concepiti con l’innovativo format chiamato “experience of the future” (Eotf). La nuova idea di ristorazione, lo dice la parola stessa, che proietta la grande M gialla verso una “storica” svolta.
Ogni punto vendita sarà diverso dall’altro, con design rinnovati rispetto al passato. Ma tutti realizzati con spazi più ampi, angolo McCafè e chioschi touch screen per facilitare l’ordine.
Per personalizzare il panino e abbattere le lunghe code alla cassa, rendendo così l’esperienza del consumatore più rilassata come in un vero ristorante.
Il piano futuro
«Fino al 2017 erano 76 i ristoranti Eotf, nel 2018 ne aggiungeremo altri 140, entro il 2020 saranno tutti così», anticipa l’ad.
Il piano, inoltre, avrà ripercussioni positive sulla forza lavoro che crescerà di 1000 unità all’anno fino al 2020. Così com’è accaduto negli ultimi 5 anni, anche in vista dello sviluppo del servizio a domicilio (da 84 ristoranti si passerà a 253).
Unità che si aggiungeranno agli oltre 20 mila dipendenti che oggi già lavorano nei ristoranti McDonald’s e che servono ogni giorno più di 700.000 clienti.
Con alle spalle 800 ore di formazione l’anno, il 94% è assunto con una forma contrattuale stabile. Mentre l’81% ha meno di 35 anni, il 60% è rappresentato da donne e il 32% da lavoratori studenti.
La strategia commerciale di McDonald’s si allontana sempre di più dal suo tradizionale modello di business
Quello con cui è diventato un gigante del fast food nel mondo: servire al banco, in poco tempo, ad un prezzo basso, lo stesso panino. Con gli stessi ingredienti, con lo stesso servizio, nello stesso locale.
Un modello che l’azienda ha esportato con successo anche nel nostro Paese alla fine degli anni Ottanta. Quando decise di aprire il primo punto vendita della catena in Piazza di Spagna, a Roma. All’epoca, era il sogno americano che sbarcava in Italia.
Poi, nel corso degli anni, qualcosa si è rotto
«Ad un certo punto, abbiamo capito che quel modello non andava più bene, perché il consumatore era cambiato», osserva Federico. E’ qui che la rivoluzione di McDonald’s prende corpo.
L’intuizione è stata quella di aprire alle colazioni, servendole all’italiana, col caffè al banco. Ed ecco il Mccafé. Si decide di puntare su ingredienti e produttori locali, su chef stellati come testimonial.
«All’inizio non è stato facile, venivamo visti con diffidenza – ricorda l’ad. – Ora è da anni che collaboriamo stabilmente con il ministero. Diamo il nostro contributo ad intere filiere del Paese: solo per la carne, a più di 15 mila allevatori», ricorda l’ad.
Il punto di partenza è stato quando il Parmigiano Reggiano Dop è entrato nei panini, era il 1997
Da lì a cascata tanti altri prodotti made in Italy vengono introdotti nel menu tra cui pane, pomodori per fare il ketchup, uova, olio extra vergine IGreco; Speck Alto Adige Icp, caffè Ottolina, prosciutto cotto Beretta.
A cui si aggiungono i brand storici di Inalca e Amadori per la carne bovina e pollo. Oggi, l’azienda usa per l’80% materie prime acquistate da fornitori italiani pari a 82 mila tonnellate di prodotti agroalimentari ogni anno, alcuni dei quali esportati oltre confine, per un valore totale di 200 milioni di euro.
Valore che quest’anno è cresciuto di altri 10 milioni di euro grazie alla collaborazione che McDonald’s ha stretto con Joe Bastianich, con cui ha lanciato a gennaio – solo per il mercato italiano – la linea “My Selection” dei burger premium.
Selezionati dal noto ristoratore americano e realizzati con prodotti tipici come la cipolla rossa di Tropea Igp, l’aceto balsamico di Modena Igp e il provolone Valpadana Dop
«In questo momento, questi panini sono venduti solo in 140 ristoranti, quelli dotati di cucine moderne; entro fine anno in oltre 200 nel 2020 in tutti», conclude l’ad.