MILANO – Con riferimento all’articolo apparso la settimana scorsa sul portale informativo wired.it a firma di Marta Musso intitolato “Il caffè decaffeinato è una minaccia per l’ozono” (che trovate sotto come documentazione) riceviamo la precisazione di Max Fabian (FOTO) – amministratore delegato di Demus S.p.A. Azienda leader in Italia nel settore della decaffeinizzazione.
Max Fabian e Nature Communication
I rilievi e le osservazioni di Fabian si concentrano in particolare sullo studio pubblicato in Nature Communication, cui l’articolo fa riferimento.
Dopo aver letto lo studio “The increasing threat to stratospheric ozone from dichloromethane” di Ryan Hossaini et al. pubblicato su Nature Communications il 27 giugno u.s., cui fa riferimento l’articolo di Wired del 30 giugno u.s., rileviamo quanto segue:
1. Il titolo dell’articolo apparso su Wired è allarmistico e fuorviante. Associa le tesi/previsioni descritte nello studio alla sola decaffeinizzazione (che non viene neppure citata nell’articolo originale).
In altre parole si è imputato ARBITRARIAMENTE alla decaffeinizzazione l’incremento della concentrazione del diclorometano (abbreviato in DCM) in atmosfera. Diversamente da quanto sostenuto nell’articolo. Infatti, è l’incremento delle concentrazioni a essere preoccupante e non il suo corretto utilizzo (vedi sotto paragrafo 2.3).
2. L’articolo fa riferimento a uno studio che sostiene che:
2.1. E’ stato rilevato un aumento del DCM in atmosfera. Causato dall’industria asiatica, specialmente nel subcontinente indiano. Dovuto principalmente all’utilizzo del DCM nell’industria chimica per la produzione di sostanze non impattanti sull’ozono in sostituzione dei clorofluorocarburi. (In India non ci risultano essere operative industrie di decaffeinizzazione. n.d.r.). Il DCM viene comunemente utilizzato (ed è specificato nell’articolo originale) per la pulizia dei metalli/sgrassatura, la sverniciatura, la preparazione dei principi attivi nell’industria farmaceutica e nella produzione della plastica.
2.2. Attualmente, l’impatto del DCM sull’ozono è definito nello studio MODESTO.
2.3. La crescita della concentrazione del DCM disperso nella stratosfera, se continuasse agli attuali andamenti, potrebbe (N.B.) diventare preoccupante. Rallentando il recupero del buco dell’ozono. Nell’articolo s’ipotizzano diversi scenari e i relativi tempi di recupero. Dalla figura 6 b si evince che se si eliminasse del tutto il DCM, il buco dell’ozono tornerebbe ai livelli precedenti il 1980 attorno al 2065; se si continuasse ad usare il DCM ma la crescita della concentrazione si arrestasse, si ritiene che il buco dell’ozono tornerebbe ai livelli precedenti il 1980 attorno il 2070; Nel momento in cui la crescita della concentrazione fosse quella rilevata dal 2004 al 2014, il buco dell’ozono tornerebbe ai livelli precedenti il 1980 attorno il 2095. Invece, se l’incremento proseguisse come quello rilevato dal 2012 al 2014, allora il buco dell’ozono non tornerebbe ai livelli precedenti il 1980 in questo secolo.
Max Fabian e Demus pro ambiente
3. Demus lavora nella decaffeinizzazione da oltre 50 anni. Ha focalizzato in modo ancora più incisivo la propria attività al rispetto ambientale. Investendo fortemente in nuove tecnologie di abbattimento e recupero nelle proprie emissioni e scarichi. Tali investimenti e i relativi risultati ottenuti hanno permesso all’azienda di conseguire le prestigiose certificazioni ISO 14001 (Sistema di Gestione Ambientale) e OHSAS 18001 (Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro). Garantite da un ente terzo (DNV – Det Norske Veritas), a dimostrazione del rigoroso rispetto per l’ambiente visto nella sua totalità.
4. La decaffeinizzazione avviene in impianti che lavorano a ciclo chiuso.
5. La normativa italiana ed europea, impongono dei limiti estremamente stringenti sulle concentrazioni di DCM residuo ammesso negli scarichi idrici e nelle emissioni gassose.
6. Le schede di sicurezza del DCM evidenziano la sua scarsa pericolosità ambientale in base ai dati disponibili. Vista la sua bassa persistenza, tossicità e bioaccumulo. Il prodotto è facilmente biodegradabile. (Fonte: Scheda di Dati di Sicurezza – Blue Cube Germany Assets GMBH & CO.KG revisione 11.0 di data 03.05.2016).
7. Si rileva infine che, per quanto di nostra conoscenza, la decaffeinizzazione a DCM è rimasta stabile. Non registrando nuovi impianti o grossi aumenti di produzione.
In conclusione, ribadiamo che l’articolo originario di Nature Communications non identifica il problema della ricostituzione dello strato d’ozono nella stratosfera con la decaffeinizzazione a diclorometano. Ma con un suo evidentemente improprio utilizzo in diversa (!) industria asiatica. Dove si potrebbe dedurre che le norme e l’implementazione delle stesse non siano così rigorose come nell’Unione Europea. Si evince anche chiaramente, da quanto sopra, che il DCM non comporta di per se particolari rischi per l’ambiente. Se ne viene evitato l’eccessivo accumulo nella stratosfera, derivante da un utilizzo non rigoroso.
Massimiliano Fabian
Amministratore delegato Demus S.p.A.
Max Fabian ha commentato questo articolo. Pubblicato da Wired.it e intitolato
Il caffè decaffeinato è una minaccia per l’ozono
MILANO – Si chiama diclorometano, ed è la nuova minaccia per lo strato dell’ozono. A riferirlo su Nature Communications, è stato il team di ricercatori delle università inglesi di Lancaster, Cambridge e Leeds.
A detta di questi scienziati, l’aumento delle emissioni registrato negli ultimi anni di diclorometano (o cloruro di metilene) – una sostanza chimica comunemente usata nell’industria alimentare, per la rimozione di caffeina dal caffè e per la preparazione di estratti di luppolo ed altri aromi – potrebbe rallentare fino a un massimo di 30 anni il lento recupero dello strato protettivo di ozono.
Come sottolineano i ricercatori inglesi, le fonti naturali di questa sostanza sono poche. Quindi, l’aumento delle emissioni registrato negli ultimi anni è probabilmente causato da fonti umane.
Le concentrazioni nell’atmosfera
Infatti, tra il 2000 e il 2012, le concentrazioni di vapore di diclorometano nell’atmosfera sono aumentate. In media, di circa l’8% all’anno, mentre tra il 2004 e il 2014 sono addirittura raddoppiate.
E ora, in seguito alle osservazioni che hanno indicato un rapido aumento delle concentrazioni atmosferiche di diclorometano, il team di ricercatori ha sviluppato un nuovo modello di trasporto atmosferico del composto volatile per valutarne l’effetto sull’ozono.
Parlano gli esperti
“A differenza dei clorofluorocarburi (Cfc), che sono i maggiori responsabili del rapido assottigliamento dello strato dell’ozono”, spiega Ryan Hossaini, dell’Università di Lancaster, “il diclorometano ha una vita di breve durata atmosferica. Quindi non è stato inserito nella lista delle sostanze sottoposte al Protocollo di Montreal”. L’accordo internazionale del 1987 che portò al divieto di produzione e utilizzo dei Cfc e di molti altri composti.
Per misurare l’effettiva minaccia attuale e futura dell’ozono da parte del diclorometano, Hossaini e il suo team si sono serviti di simulazioni al computer. Ssecondo i risultati delle loro analisi, nel 2016 circa il 3% della perdita d’ozono estiva in Antartide potrebbe essere stata causata dal diclorometano.
Una percentuale che, per quanto possa sembrare irrisoria, è in crescita. Nel 2010, infatti, la sostanza era responsabile solo dell’1,5% della perdita di ozono, sempre nella stessa regione.
Secondo il team di ricercatori, se le emissioni del composto continuano a salire con il tasso osservato dal 2004-2014, il recupero dell’ozono sull’Antartide sarebbe rallentato di circa 30 anni.
Se le emissioni restassero ai livelli attuali, invece, il ritardo sarebbe invece di soli 5 anni.
Marta Musso