MILANO – Integastra è sempre una fiera fondamentale per il caffè e la sua cultura. Sia per le tendenze che emergono sia per il livello altissimo dei convegni che ogni volta si svolgono a Stoccarda. Questa volta, con Max Fabian due volte sul podio dei relatori, si è trattato del decisivo Coffee Symposium. Nel corso del quale, e per due giorni consecutivi, sono stati affrontati i temi caldi del caffè a livello mondiale.
Il tutto organizzato dal deus ex machina della rassegna Intergastra, Stefan Swartz, uno dei massimi conoscitori del caffè e delle sue problematiche. Dopo Milano Intergastra è il maggiore appuntamento in Europa per il caffè.
Come torrefattori e operatori erano presenti soprattutto tedeschi e italiani, ma non soltanto. E alla chiusura dei cancelli i visitatori hanno superato i 100 addetti ai lavori passati per la fiera.
Al Coffee Symposium Max Fabian è intervenuto ben due volte. Sia sulle tecniche di torrefazione del caffè decaffeinato sia sull’altro suo cavallo di battaglia che è la genetica del caffè. Sostituendo in questo secondo caso il professor Giorgio Graziosi, impossibilitato a intervenire.
Prima di entrare nel dettaglio del suo intervento principale Fabian ci ha informato che gli argomenti sui quali si è dibattuto sono stati il futuro del caffè, dove va la tazzina nel mondo, le prospettive dei coltivatori della specie Liberica che rappresenta il 5% del totale ma che ora suscita un certo interesse.
Perché, come ha indicato proprio la relazione di Graziosi, la stragrande maggioranza delle qualità della specie arabica non sono utilizzate commercialmente e le specie di caffè sono oltre un centinaio. Ma quelle utilizzate commercialmente sono due, arabica e robusta.
E adesso comincia ad essercene una terza. Quindi siamo in un mondo ancora relativamente da scoprire perché c’è una ragione se vengono usate delle specie e non altre. Però la tecnologia evolve e mai dire mai.
Altri temi discussi a Stoccarda: una presentazione sui differenti tipi di caffè, sui sistemi di torrefazione, una sul consumo nei Paesi di origine che è crescente. Si è poi parlato anche delle caffetterie e delle rivendite di caffè, sul cappuccino, sull’innovazione, ecc.
Ma entriamo nel dettaglio delle 24 diapositive che hanno permesso a Fabian di articolare il suo discorso.
Abbiamo diviso il corposo e complesso materiale in 4 puntate. Qui trovate la prima con le relative immagini.
Dice Fabian: «La prima diapositiva, la copertina della presentazione, mostra il consumo del caffè così come è distribuito nel mondo. Sulla diffusione del decaffeinato invece ci sono pochi dati. Si può dire che sia a macchia di leopardo. Stimo un consumo mondiale un po’ al di sotto del 10 per cento del totale, forse attorno all’8. A macchia di leopardo nel senso che è una diffusione molto variegata. Per esempio negli Stati Uniti dell’Ovest c’è un consumo enorme, del 30 per cento addirittura sul totale. Idem in Spagna dove c’è un consumo del 20 per cento. In Italia siamo invece al 7% circa. Poi ci sono i Paesi scandinavi dove il consumo è addirittura sotto l’1 per cento».
Come si spiegano differenze così importanti anche tra Paesi molto simili a livello di consumo generale come Italia e Spagna?
«Il forte consumo in Spagna si spiega in almeno due modi. Il primo che c’è stata una fortissima promozione del decaffeinato in particolare da parte di Nestlé che ha trascinato tutti gli altri. Il secondo motivo è che in Spagna il caffè che si beveva era di qualità medio bassa. E il decaffeinato di un caffè cattivo o soltanto mediocre lo migliora. Un caffè buono resta buono. Questo perché con la decaffeinizzazione il caffè migliora. Lo si pulisce, e a fondo.»
Questo significa che in Italia si beve bene?
«Se guardiamo indietro sì. E adesso in Spagna sono migliorati, ci sono anche caffè di qualità alta. Ma nel Paese iberico siamo pur sempre in un mercato che guarda molto al prezzo, al prezzo prima della qualità. Non sempre, ci sono le eccezioni. Dall’altra parte la promozione fatta da Nestlé è stata vincente. Noi non abbiamo mai avuto una campagna promozionale così forte sul decaffeinato.»
«Quando la faceva Hag trascinava anche noi un pochino. Quando Hag è decaduto non s’è fatto più nulla. Quindi il decaffeinato è un prodotto abbastanza negletto. Ciò nonostante se la cava con un 7% di consumi perché mediamente ha raggiunto una qualità assolutamente interessante.»
«C’è poi un’altra cosa fondamentale. A chi beve deka piace il caffè: non cerca la caffeina e i suoi picchi di energia. Vuole proprio il gusto del caffè. Certo l’espresso non è soltanto caffeina siamo d’accordo, ma quello che va a cercare il consumatore del decaffeinato è proprio il gusto del caffè senza eccedere in caffeina. Il fatto è che anche sul decaffeinato bisogna puntare sulla qualità.»
«Ci sono aziende che lo fanno ma che poi non lo promuovono più di tanto perché per loro si tratta di un prodotto relativamente marginale. E io, con un po’ di frustrazione, dico che è un peccato perché è un prodotto che dà alle aziende di caffè la possibilità di incrementare il proprio mercato. È vero che si può trovare un mercato nuovo, ma se si resta nel mercato casalingo si può crescere soltanto un pochino, in una realtà abbastanza statica come è l’Italia.»
«Per crescere davvero si dovrebbe convincere i consumatori a bere un po’ di più e si può pensare al deka. Sì perché il caffè ha la caffeina e magari l’utente non la gradisce più di tanto. La caffeina ha anche un aspetto di dipendenza che, all’estremo, può portare anche alla morte. In condizioni impossibili da ripetere, sia chiaro. È impossibile suicidarsi con il caffè. Però per convertire i consumatori a bere caffè, a bere più caffè si dovrebbe puntare sul deka. Invece questo viene fatto poco e soltanto in parte.»
Eppure se tutti i torrefattori hanno in gamma in deka nessuno ne parla mai, se non di sfuggita. Perché?
«Perché quando si deve decidere dove investire in comunicazione si investe in quello che rappresenta più del 90% del business. Il deka vale mediamente meno del 10% del totale e quindi è ovvio che viene in secondo piano negli investimenti promozionali. Così il consumatore perde un occasione di sapere. Quello che è un peccato è che le aziende non modificano la situazione. Quindi o c’è la decisione di una grande azienda di cambiare oppure resta tutto fermo. In Spagna o negli Usa Ovest un caffè su 5 o addirittura un caffè su 3 è deka. È bastata la promozione.»
«Ed è un peccato perché ci si trova con una situazione di mercato che è statica. Per crescere il deka ha bisogno di promozione anche in Italia. Ma non basta. L’altro elemento fondamentale è di fare un prodotto buono perché si convince il consumatore a bere il caffè in più soltanto se gli si dà un buon prodotto. Perché se il caffè è una priorità per restare svegli, anche una schifezza va bene. Ma se il caffè deve essere quello in più, bevo un deka perché ho voglia. Se non è buono allora perché devo berlo. Ci sono due elementi fondamentali. Devo dare al consumatore un prodotto che soddisfi il suo gusto e dall’altra parte si deve promuoverlo. Così il deka potrebbe schizzare verso il 20%, raddoppiare i suoi consumi anche in Italia.»