Mauro Illiano, tra l’altro curatore della Guida dei caffè e delle Torrefazioni d’Italia, ha scritto un articolo sulla percezione del gusto amaro nel caffè insieme a al professor Michele Armano, trainer analyst di grande esperienza. I due esperti hanno esaminato l’argomento sotto diversi punti di vista: dallo spettro gustativo della bevanda allo stile di tostatura del chicco. Riportiamo di seguito le loro considerazioni.
Il gusto amaro nel caffè
di Mauro Illiano e Michele Armano
“Buono questo caffè, è amaro come piace a me!”. Quante volte abbiamo sentito queste parole entrando in un bar, parlando con un collega d’ufficio o semplicemente dopo aver bevuto un caffè insieme a qualcuno che conosciamo. Chi ha seguito almeno un corso base sull’assaggio del caffè sa bene che, in realtà, l’amaro è considerato dagli esperti un difetto del caffè e non un pregio. Ma perché?
Iniziamo a specificare una cosa importante, ovvero che l’amarezza nel caffè dipende da una molteplicità di fattori, diversamente incidenti sulla quantità e sulla qualità dell’amaro.”
La percezione del gusto
“Or bene, prescindendo dalla naturale ostilità dell’uomo verso tutto ciò che è amaro, in conseguenza ad una protezione fisiologica composta da circa 25 recettori (Taste Receptor) funzionali al riconoscimento di sostanze potenzialmente tossiche o addirittura velenose, compresi i prodotti batterici.
La percezione dell’amaro è un carattere genetico che si trasmette de genitori a figli, nei bambini infatti è elevata, in particolare nelle bambine, ma crescendo, con l’avanzamento dell’età ed il cambiamento delle abitudini alimentari, si iniziano a gradire i cibi amari. Occorre adesso iniziare ad indagare sulla permanente convinzione che un caffè amaro sia un caffè di bassa qualità.
Ma l’amaro nel caffè è veramente sintomo di scarsa qualità della bevanda? Dipende, e vi diremo perché, non prima di avervi spiegato la sensibilità verso il gusto amaro. La capacità di avvertire l’amaro non è uguale per tutti (anche a seconda delle etnie) e genera la differenza tra due categorie di assaggiatori, i taster ed i non taster.
Tutti coloro che hanno una particolare sensibilità verso questo gusto (i taster o addirittura super taster), che rappresentano circa il 25% della popolazione (con circa 165 papille fungiformi a centimetro quadrato di lingua), hanno bisogno di meno grassi e zuccheri per provare lo stesso grado di soddisfazione delle altre persone (non taster) sul cibo.”
I dati da considerare
“Però purtroppo risultano consumatori di cibi salati in quanto solo così si riesce a bilanciare la forza dell’amaro. Adesso è un dato di fatto che alcuni difetti del chicco, quando ancora non tostato, come ad esempio i cosiddetti quaker (chicchi immaturi) possano tradursi in una sensazione amara all’atto dell’assaggio.
È vero anche che un caffè tostato molto a lungo ad alte temperature (a partire da una condizione termica del chicco superiore a 210 – 220°C) risulta molto amaro. Questo a causa della degradazione degli acidi clorogenici e dei lattoni e della formazione dei cosiddetti fenilindani. Questi ultimi sono un gruppo di composti gusto-attivi dal sapore amaro molto potente, di qualità amara metallica e di lunga durata.
Anche la sovra estrazione del caffè (esempio: troppo dosaggio di caffè, temperature troppo alte in estrazione, sovra pressione, granulometria troppo fine, e così via) genera normalmente l’accentuarsi del gusto amaro al palato. Tutte queste constatazioni sembrerebbero lasciare poco spazio alla possibilità che l’amarezza possa essere considerata come una qualità positiva del nostro caffè, ma la questione è un po’ più complessa.
L’amarezza, ad esempio, è presente naturalmente in tutti i caffè a causa della presenza di caffeina, che per antonomasia è una sostanza amara.
L’amarezza è più percepibile in caffè con percentuali di Robusta, (che per inciso contiene più caffeina dell’arabica) anche a causa della minore possibilità di percepire in essi l’acidità e la dolcezza. L’amarezza è naturalmente percepibile nel caffè anche a causa della presenza di alcuni acidi (es. acidi clorogenici).
Ecco che, dunque, si inizia a delineare una prima lista di sostanze o eventi responsabili dell’amarezza nel caffè, alcuni inevitabili, altri sì.”
Facendo un po’ d’ordine, quindi, l’amaro nel caffè può dipendere da:
– Specie e varietà botanica: normalmente la Robusta è più amara dell’Arabica ed alcune varietà hanno tenori di caffeina inferiori e dunque sono potenzialmente meno amare.
– Difetti del chicco.
– Stile di tostatura: la tostatura spinta accentua il sapore amaro del caffè.
– Dosaggio del caffè e dell’acqua: dosaggi eccessivi di caffè o sotto dosaggi di acqua facilitano la percezione dell’amaro.
– Granulometria adottata: quella troppo fine accentua la percezione dell’amaro.
– Temperatura dell’acqua: quelle troppo alte accentuano l’amarezza.
– Tempo di estrazione: quelli più lunghi generano solitamente caffè più amari.
– Pressione adoperata in estrazione: valori elevati accentuano l’amarezza.
– Metodo di estrazione: in considerazione delle variabili di granulometria, pressione, temperatura e ricetta, producono solitamente bevande più amare, es. l’espresso.
– Maggiore o minore percettibilità degli altri gusti: in particolare maggiore o minore tendenza del caffè ad essere anche acido e dolce incidono sulla percepibilità dell’amaro in tazza.
– Altro: per esempio la qualità dell’acqua, personale sensibilità al gusto amaro, eccetera.
La qualità dell’amaro nel caffè
“Diventa importante, a questo punto, introdurre il tema della qualità dell’amaro in quanto esistono più di 550 componenti diversi e, pur non essendo molto amati, hanno qualità salutistiche con effetti antiossidanti, proprietà antinfiammatorie e disintossicanti, come apparente paradosso.
Hanno la capacità di far comunicare le cellule con il loro dna riducendo il rischio di sviluppo di malattie cardiovascolari e tumorali ma più semplicemente aiutano le attività digestive, carminative (il gonfiore di stomaco), epatiche, depurative e diuretiche.
L’amaro tacita lo stimolo dell’appetito (provate a bere un caffè prima di mangiare…) ma è anche un indicatore di qualità per alcuni prodotti (ad esempio la birra codificata con l’IBU), in cucina aiuta a far emergere la nota meno scontata e porta alla percezione ad un livello più profondo.”
Le differenze
“Gli elementi amaricanti contenuti nei cibi (polifenoli) sono in concentrazione variabile in funzione della materia prima e del relativo trattamento, devono essere vissuti e non rifiutati preconcettualmente e mai lasciarsi prendere, nel bene o nel male, come fosse un indicatore di piacevolezza esclusivamente legato alle abitudini, vedi il caffè.
Le differenze tra i tanti tipi di amaro risiedono evidentemente dalle molecole proprie ad esempio nelle brassicaceae (le verure amare) i composti sulfurei amari sono dati dai glucosinolati che però vengono convertiti in composti piccanti quando vengono tagliate.
Alcuni ortaggi (carciofo, radicchio, scarola etc) sono ricchi invece di composti fenolici e polifenolici derivati dall’acido caffeico. Gli agrumi da un’altra categoria di flavonoidi, le olive sono ricche di glicosidi come composti fenolici, il tè da un polifenolo tanninico chiamato ECGC, infine il caffè con i quinolattoni, fenilindani e le melanoidine che si formano durante la tostatura.
Il mondo dell’amaro si potrebbe in sintesi tradurre in: “bitter is better”. Ebbene, essendo entrati in maniera più tridimensionale nella comprensione del significato di amaro, vale la pena citare che il palato dell’uomo da sempre premia diverse espressioni di cibo dal sapore prevalentemente o in maniera concorrente amaro.
Basti pensare alla liquirizia, al cacao, al pompelmo oppure alla noce, fino ad arrivare al carciofo. Anche alcune bevande amare sono da sempre apprezzate dall’uomo. Si pensi al chinotto (l’amaro della china è di qualità pregiata) oppure al distillato di assenzio. Giusto per sottolineare l’ulteriore differenza tra amaro e amaricante.”
Lo spettro gustativo della bevanda
“Nel caso del caffè, dunque, l’amaro, oltre che non significare necessariamente od esclusivamente che la bevanda posta all’assaggio è di bassa qualità, talvolta può diventare persino un elemento gradito e addirittura indicato. Evidentemente stiamo discriminando la differenza tra amaro e bruciato. Dove, nel primo caso, ci saranno tutti i vantaggi sensoriali del buon tostato a differenza del secondo caso dove oltre ad una repulsione gustativa corrisponde anche un’assunzione contro salute.
Resta, chiaramente, valido tutto ciò che è stato sin ora descritto, ovvero che l’amaro da un lato non deve dipendere da evenienze patologiche riferibili al frutto ed al processo di trasformazione in prodotto finito e dall’altro deve corrispondere ad una qualità gradevole e dello stesso.
L’amarezza, in un caffè, può essere elemento di completamento dello spettro gustativo della bevanda, un gusto in grado di arricchire il bilanciamento del caffè, che quindi nella sua massima espressione potrà racchiudere in sé acidità, dolcezza ed amarezza. Da non sottovalutare è, poi, la particolare attitudine di un caffè con delle note amare di qualità ad essere abbinato alla bevanda latte.
Le note gustative derivanti dall’unione di questi due elementi liquidi, risultano particolarmente gradite e bilanciate in presenza di caffè dotati di una tostatura abbastanza spinta e quindi di un’amarezza ben percepibile in origine.
Per quanto gli antiossidanti naturali del caffè vengono contrastati dalla caseina presente nel latte e dall’unione dei rispettivi composti (l’albumina del latte con i tannini del caffè), si forma tannato di albumina che rende più difficilmente digeribile la bevanda, bisogna dire che, un caffè latte o un cappuccino ben eseguito e con le materie prime di qualità, è il piacere del palato. Il carattere dolce del lattosio, lo zucchero del latte, ed il carattere brusco dei tannini, la componente amara ed astringente del caffè, garantiscono il matrimonio perfetto per contrasto.”
Le analisi sensoriali e i cambiamenti delle proprietà nel tempo
“L’analisi sensoriale ci certifica la valenza dell’abbinamento in quanto dal punto di vista olfattivo le note lattose virano dalla dolcezza ai sentori del cotto (pirazine) tostato del caffè e dal punto di vista gustativo il palato si diverte con dominanze e sequenze (TDS) percepite durante l’assaggio con l’iniziale avvolgenza delle dolcezze del lattosio per poi lasciare spazio al carattere del caffè che si esprimerà in funzione della scelta della miscela o del monorigine utilizzato.
Registrare i cambiamenti delle proprietà nel tempo, l’evoluzione durante il consumo del rilascio della percezione dell’aroma e della texture, ci racconterà la qualità del prodotto consumato.
Siamo dunque giunti a quella che sembrerebbe essere “un’amara verità” tutt’altro che sgradita ma anzi in grado di restituire a questo gusto tanto esiliato una posizione da comprimario nel meraviglioso mondo che vive in una tazza di caffè. E ricordiamoci che se una bocca amara sputa fiele, non esiste sorriso che non abbia conosciuto amarezza.”