giovedì 26 Dicembre 2024
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Mauro Cipolla torna a scrivere sullo specialty in Italia: “Serve una maggiore coerenza nella loro comunicazione ai clienti”

L'esperto: "Dove finisce la comunicazione e inizia il pensiero personale e consapevole del piacere? Alcuni scrivono che la comunicazione salverà i buoni caffè e gli specialty. Io credo che la comunicazione possa essere un’arma potente a doppio taglio e un boomerang: dipende chi la utilizza e dal  messaggio percepito e l’esperienza vissuta per davvero dal cliente in tazza"

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Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, espone il suo punto di vista sulla situazione del caffè specialty in Italia. Cipolla si spinge oltre aggiungendo che serve una maggiore coerenza nella comunicazione dello specialty coffee e una trasparenza cristallina riguardo la sua diffusione nel Bel Paese anche nelle testate giornalistiche di settore. Leggiamo di seguito la sua opinione.

Il caffè specialty in Italia

di Mauro Cipolla

MILANO – “Per andare avanti bene ci vuole chiarezza, trasparenza e coerenza. Leggo su testate anche di settore opinioni contrastanti sul mondo del caffè specialty e sono interessato a capire meglio quale sia il sentore reale dei mercati, soprattutto negli Usa e in Italia dove ho le mie torrefazioni.

Negli Usa il mondo dei caffè specialty è abbastanza affermato con le estrazioni a filtro ma non nell’espresso con cui gli specialty, in particolar modo come Single Varietal, sono in flessione.

Ovviamente, ci sono quelle nicchie che fanno grandi numeri nello specialty anche nell’espresso in single origin negli Usa. Solitamente sono grandi realtà in termini di fatturato e si trovano in centri abitati di grande densità e presso poli universitari di forte rilevanza.

In Italia leggo invece posizioni diverse riguardo alla materia, a volte contrastanti tra di loro e nelle medesime testate. Da una parte leggo che di “specialty, in Italia non se ne parla, che il caffè non ha appeal come il vino” al contempo però nello stesso articolo leggo che “lo sviluppo in Italia è oramai più di una nicchia”.

Mauro Cipolla
Mauro Cipolla al Gambero Rosso (immagine concessa)

Sempre in Italia leggo inoltre che lo specialty è “nato nei primi anni 2000 ed è arrivato oramai alla fine soprattutto all’estero” e su altre testate leggo invece il contrario: “Il trionfo dello specialty…il mercato europeo cresce…in Lombardia 20 torrefazioni specialty…”.

Una maggiore coerenza sullo specialty

Insomma, mettetevi d’accordo perché così rimane difficile comprendere lo stato dei mercati inerenti allo specialty.

Per quanto mi riguarda, in Italia, la diffusione dello specialty estratto in forma espresso e a filtro per ora rimane molto difficile e credo ci siano molteplici ragioni tra cui:

  • La maggior parte dei bar in Italia serve ormai caffè espressi scadenti dovuto alla scarsissima materia prima, (caffè crudo), e alle pessime procedure di lavorazioni della miscela, dalla fattoria, alla torrefazione al barista.
  • Alcuni bar (pochissimi) hanno dei decenti caffè commerciali con buone materie prime, non di fresca raccolta e non di fresca tostatura e lavorati con procedure basilari e non ottimali.
  • Diverse caffetterie hanno sia ottimi caffè espressi non classificati come specialty ma lavorati con le medesime procedure (fatevi una domanda) e caffè espresso denominati come specialty che spesso al gusto italiano risultano poco gradevoli come espresso.

Lo specialty in Italia: i problemi secondo Mauro Cipolla

Il problema, forse più importante per il futuro delle specialty oggi in Italia, è che purtroppo molti torrefattori commerciali industriali hanno anche una linea specialty o perlomeno indicata come tale. Quindi si sta facendo molta confusione sul mercato perché per valorizzare davvero lo specialty, dovrebbe essere utilizzato solo da piccoli micro torrefattori artigiani: perlomeno così è nato come movimento e cult ad origine.

Il prezzo dell’espresso è il secondo problema in Italia. Il terzo problema dello specialty in Italia è che è lavorato in espresso con una filosofia ed estrazione ibrida nella scelta della materia prima come profilo organolettico, nella tostatura e nei parametri dell’estrazione non adatti al caffè espresso dal gusto italiano.

Così facendo il tutto risulta troppo acidulo, leggero, fruttato, astringente e di poca persistenza, come espresso, per il gusto italiano.

L’esperienza personale

Infine, in Italia, purtroppo molte persone non ci tengono a capire davvero la filiera del caffè e innovarsi nel gusto: semmai, ahi noi, prendono precedenza le mode e il marketing declassando, riducendo tutte le informazioni della filiera ad un momento di immagine e di percezione di identità, piuttosto che il voler migliorare l’esperienza personale per sé stessi nella degustazione.

Ora vi chiedo di fare tre riflessioni e cioè, quanto vero caffè specialty esiste e chi e perché lo indica come tale e in quali quantità per le industrie?

Chiedetevi perché la miscela è stata distrutta in Italia e come mai ha una reputazione così orrenda.

Cosa hanno messo nelle miscele in Italia negli ultimi decenni? Sarebbe carino iniziare a difendere la miscela poiché non tutte sono cattive.

Esistono miscele assemblate anche con single origin favolosi e sono complesse, equilibrate e eleganti.

Sarebbe sempre preferibile bere l’espresso in miscela creata da e con ottima materia prima fresca di raccolta e esente da difetti, tostata fresca, piuttosto che bere il caffè espresso in single origin. Quando si beve l’espresso e non invece i caffè a filtro, viste le estrazioni così diverse tra i filtri e l’espresso. Diciamo una volta per tutte che sin dall’orgine gli specialty single origin sono nati per i filtri e non per l’estrazione in espresso.

Infine, chiedetevi, se è è davvero un bene per i caffè specialty che siano in mano alle grandi industrie

Quando si è in mano alle grandi industrie ci si muove in un mondo diverso da quello degli artigiani. E se gli specialty non sono venduti su scala industriale, allora rappresentano un progetto fallito alla grande visti i numeri.

Al contrario, se trovassero un mercato più ampio, nelle quantità che queste aziende solitamente trattano, allora sarebbe un movimento che potrebbe funzionare anche per le imprese maggiori, soprattutto a livello di immagine percepita.

A questo punto, per i grandi numeri industriali non c’è speciality a sufficienza. E così sarebbe un fallimento a livello esperienziale per i consumatori, a confronto con le aspettative. Ripeto: di veri specialty ce ne sono pochi, così come le procedure nella filiera capaci di creare un’esperienza autentica.

Dobbiamo ricordarci che mantenere la fazenda aperta, coprire i costi della produzione del caffè crudo lavorato bene, far continuare a vivere le loro famiglie vicino, mandare i figli a scuola ha un costo economico e sociale e, purtroppo, il prezzo di produzione dello specialty non potrà mai essere coperto a 1,30/1.50 euro nei bar o nelle caffetterie e non soltanto.

Un gusto, un piacere universale, non contempla le differenze umane e culturali antropologiche del vissuto con l’espresso, il quale è ben diverso da quelli a filtro (molto più aromatico e pronto ad essere più ruffiano nelle diverse culture), se solo fosse per impatto strutturale sensoriale di memorie storiche soprattutto in Italia.

La definizione dello specialty secondo Mauro Cipolla

Bene mi ricordo quando, durante una conversazione con Erna Knutsen, l’inventrice della denominazione specialty coffee, le dissi: “Vedi Erna, forse stiamo sbagliando. Forse sarebbe stato meglio chiamare gli specialty solo caffè speciali, perché se davvero lo sono lo saranno in tazza in modo personale e non invece per la denominazione o per un brand inteso come marchio, quale semmai dovesse divenire famoso, potrebbe sviare la percezione della realtà vissuta in tazza“.

Dove finisce la comunicazione e inizia il pensiero personale e consapevole del piacere?

Alcuni scrivono che la comunicazione salverà i buoni caffè e gli specialty. Io credo che questa possa essere un’arma potente e a doppio taglio, come un boomerang: dipende da chi la utilizza, dal messaggio percepito e dall’esperienza vissuta per davvero dal cliente in tazza.

Anche lo stesso contenitore, bianco, senza emblemi e senza storytelling ma solo ed esclusivamente con il suo contenuto comunica molto, forse meglio di ciò che potremmo mai scrivere o spiegare”.

Mauro Cipolla

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