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mercoledì 18 Dicembre 2024
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Mauro Cipolla, Orlandi Passion: “L’agricoltura tradizionale nel caffè non è sinonimo di miscele di scarsa sostenibilità”

Cipolla: "Sarebbe bene non far passare l’idea che genericamente tutte le tradizioni sono una copertura per prodotti mal fatti, o al contrario che si necessita solo dell'innovazione e del diverso poiché questi sarebbero entrambi gravi errori. L'importanza dei processi agricoli non è, a mio avviso, solo socio-economica ma soprattutto etica, se teniamo presente l'impatto topologico, climatico e culturale. È quindi estremamente importante capire il senso della tracciabilità in un rapporto tra agricoltura, ambiente, il sociale, e la parte economica in rapporto ai mercati"

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Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, si espone sull’importanza del tema dell’agricoltura e la sua pratiche nelle miscele specialty differenziando tradizione e innovazione. Leggiamo di seguito la sua opinione.

L’agricoltura del caffè tra tradizione e innovazione

di Mauro Cipolla

MILANO – “L’agricoltura ha di certo un grande impatto sull’ambiente e sugli aspetti sociali ed economici dell’uomo. Facciamo però un passo indietro: molti affermano che la tradizione è solo una storiella atta a nascondere i prodotti fatti male, con processi e materie prime derivanti da lavorazioni agricole non adeguate. In molti casi ciò può essere vero, ma non è necessariamente sempre così: ci sono tradizioni nobili, ed altre che lo sono invece molto meno. È un mondo molto confuso e poco coerente, quello del caffè.

La medesima situazione si verifica però anche con gli specialty, i quali, al contrario dei caffè che non ci tengono affatto all’aspetto agricolo, puntano sulla tracciabilità dell’agricoltura, sui processi e sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

Eppure, anche le grandi industrie producono caffè specialty con processi e sistemi molto diversi da quelli messi in atto dai piccoli torrefattori.

L’incoerenza esiste, inoltre, anche perché da una parte si parla di filiera e di sostenibilità per i produttori, al contempo dall’altra parte si producono invece caffè sempre colmi di novità e con gusti esotici, risultanti da continue sperimentazioni i cui gusti finali non necessariamente rispecchiano la sostenibilità dell’ambiente o dei produttori, e nemmeno quella dei mercati locali.

Ebbene, anche qui la sostenibilità delle piantagioni va in conflitto con un discorso di innovazione: è una storiella anche questa?

Sarebbe bene non far passare l’idea che genericamente tutte le tradizioni sono una copertura per prodotti mal fatti, o al contrario che si necessita solo dell’innovazione e del diverso poiché questi sarebbero entrambi gravi errori.

L’importanza dei processi agricoli non è, a mio avviso, solo socio-economica ma soprattutto etica, se teniamo presente l’impatto topologico, climatico e culturale.

È quindi estremamente importante capire il senso della tracciabilità in un rapporto tra agricoltura, ambiente, il sociale, e la parte economica in rapporto ai mercati.

Certo è che la riduzione dei difetti e il miglioramento delle pratiche e dei processi agriculturali mirati a creare caffè eccelsi sono molto importanti. La riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici, la protezione degli ambienti rurali e forestali, sono una priorità per noi.

Alla fine però , nella realtà dei mercati, questi nobili obiettivi richiedono immensi risorse di know how e finanziarie.

In tutto questo, se siamo veri verso noi stessi come produttori e nei riguardi dei mercati, si dovrebbe mantenere un livello di competitività e di posizionamento di mercato anche differenziando le materie prime, le procedure, e i sistemi di lavorazione tra quelli delle micro torrefazioni e quelle delle grandi industrie.

Di fatto, la maggior parte delle grandi industrie, visti i loro volumi di affari, non potranno mai vendere, nella percentuale delle loro vendite, più prodotti di prima scelta o Specialty quando a confronto con prodotti più “lavorati/commerciali”.

Il rischio, mentre si pensa all’ambiente, alla tracciabilità, alle certificazioni, ai corsi e alle procedure delle associazioni, è quello di creare prodotti belli da raccontare e da leggere, ma di fatto si crea una confusione tra i prodotti dei grandi industriali e quelli dei piccoli torrefattori artigiani. Il punto è, inoltre, che i piccoli torrefattori artigiani non riescono a rimanere competitivi con le strutture finanziarie e con le strategie di comunicazione, di leverage, di net work e di branding congiunto offerti dai grandi industriali e dalle aziende multinazionali.

Ed è così che si cannibalizza il mercato dei prodotti finiti che erano stati creati per essere speciali in mano ai piccoli torrefattori artigiani. La confusione nel posizionamento di caffè speciali o specialty, proprio come nei caffè tradizionali, è oggi una realtà sia nell’offerta sia nella reale differenza esperienziale dei clienti finali.

Il pericolo è che si alzino le aspettative dell’esperienza tramite la comunicazione e le offerte, e che invece nella realtà i consumatori spesso non trovino queste loro esperienze all’altezza dell’aspettativa creata. Ed è così che il valore di ciò che ci si aspetta dalla natura al piatto, o in questo caso dalla natura alla tazza, arriva confuso e non coerente con le promesse fatte.

Alla fine dei conti le tradizioni, la comunicazione e la tracciabilità possono certamente coinvolgere. Le imprese agricole e alimentari sono coinvolte in processi che si intrecciano con il vissuto reale delle persone.

Sono sempre più convinto che il problema nel nostro lavoro da piccoli torrefattori artigiani è che con la non coerenza della comunicazione, oramai utilizzata in modo trasversale su alcune diciture e ideologie, stiamo aiutando le grandi industrie multinazionali e nazionali a fare uno shift di mercato nel loro posizionamento per appropriarsi del valore aggiunto dell’immagine di essere anch’esse aziende artigianali.

Non si tratta quindi solo di produrre beni di qualità con un buon livello di differenziazione sui diversi mercati, ma anche di fornire beni, o meglio nel caso del caffè nutrienti che facciano stare davvero bene le persone durane il consumo.

La cosa fondamentale diventa capire che il ruolo multifunzionale del settore primario deve certamente contribuire a migliorare gli equilibri sociali e ambientali, ma diversamente per ogni persona, e non dimenticarsi dei diversi obiettivi economici delle persone ai fini di creare prodotti di altissima qualità ma democratici e non elitari.

Se poniamo attenzione alle differenze e al piacere personale in ciò che chiamo “l’economia della felicità”, forse aiutiamo tutta la filiera. La qualità la metto quindi in discussione, non solo come la consideriamo abitualmente (marchi, origine, tracciabbilita’, difetti, ecc…), ma anche come un concetto ben più ampio basato sulla salute sia personale sia intesa come salute del pianeta e del mondo vegetale; da decenni mi riferisco a questo concetto con l’espressione “Caffè-gusto-salute”.

Credo sia fondamentale capire che l’integrazione del concetto di sostenibilità nella produzione e nel consumo di alimenti salubri e piacevoli che al contempo rispettano le culture antropologiche, possa andare a vantaggio di tutti gli attori della catena alimentare, in particolare degli agricoltori.

Questi non possono avere un ruolo passivo, in balia del mercato, dei clienti, della competizione confusa tra gli artigiani micro torrefattori e le grandi industrie, e neanche delle mutevoli scelte dei consumatori basate in gran parte sulla comunicazione vincente.
Un consumo consapevole e personale si fonda pur sempre su scelte autonome e indipendenti, e dunque il tutto andrebbe basato in primo luogo sul piacere del gusto e della digeribilità.

Probabilmente, non dovremmo dunque generalizzare, ma dovremmo piuttosto basare il tutto sull’esperienza che il cliente consapevole fa nei mercati, per creare una felicità del consumo consapevole dove la crescita avviene in modo verticale tra tutti i componenti dei mercati che lavorano bene nel micro artigianato”.

                                                                                                              Mauro Cipolla

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