MILANO – Maurizio Giuli, direttore marketing e comunicazione Simonelli Group, è stato per un giorno professore per gli studenti dell’Università Cattolica di Milano. Corso di marketing internazionale. Giuli, che non si è seduto in cattedra, ha raccontato l’azienda per la quale lavora, uno dei principali produttori di macchine per caffè professionali in Italia. Assieme a lui, il pubblico ha potuto esplorare nello specifico il tema del marketing nel B2B. Oltre che delle differenze tra il mercato del caffè espresso in Italia e in Europa. Ma sentiamo che cosa ha detto esattamente il professor Giuli
“Maurizio Giuli, uno dei pochi manager che ha anche un Dottorato di ricerca”
Ha introdotto la lezione la titolare del corso, la professoressa di Marketing Internazionale Elena Cedrola che ha sottolineato agli studenti, l’aula era ben oltre il limite della capienza, molti seduti per terra, che Maurizio Giuli è uno dei pochi manager che ha anche un dottorato di ricerca. Un invito a studiare e con rigore.
La lezione del professor Giuli
Il settore delle macchine del caffè immagino sia un mondo per voi inesplorato, così come per la maggior parte delle persone. La macchina per caffè da bar è un prodotto che normalmente si ignora, a differenza di altri prodotti che usiamo tutti i giorni, come gli smartphone, o prodotti di abbigliamento ad esempio, ma c’è un mercato anche per questo genere di prodotti.
L’intervento è strutturato su tre punti
“Innanzitutto parlerò di chi siamo e poi di cosa facciamo. Infine, come operiamo nel mondo. Simonelli Group infatti lavora molto a livello internazionale. Il suo fatturato in effetti per il 95% è dato dal mercato estero. Come Gruppo, ci confrontiamo costantemente con le realtà più diverse nel globo.”
Qualche informazione sull’azienda
“Copriamo il mercato con due brands: Nuova Simonelli è un quello storico dell’azienda, al quale poi si è aggiunto nel 2001 Victoria Arduino che è diventato con il tempo il Premium Brand.”
I clienti di Simonelli Group nel mondo
Fra la clientela di Nuova Simonelli abbiamo grandi aziende, come Mc Donald’s ad esempio, ma anche aziende meno blasonate come potrebbero essere le aziende di distribuzione o alcuni torrefattori. Quando parliamo di Victoria Arduino, qui a Milano abbiamo avuto l’onore di collaborare con Starbucks. All’interno della Reserve Roastery di Piazza Cordusio, ma anche dei core stores che stanno aprendo in questi giorni, come quello in Corso Garibaldi, Malpensa e San Babila oltre che nei negozi di Princi.”
Focus nel B2B
“Chi si occupa di marketing deve innanzitutto ideare un progetto di comunicazione. Nel nostro caso specifico, il target è più orientato verso le catene, i manager, gli operatori e i tecnici. Questo fatto cambia tutto a livello operativo. Prima di tutto in termini di numeri.
Se infatti dovessi comunicare in Italia direttamente con i consumatori, mi dovrei confrontare con un audience di circa 60 milioni di utenti. Utilizzerei perciò principalmente canali come, i social, ma forse anche altri media come la stampa o la TV.
Quando si opera nel B2B invece, l’audience è diverso, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Il processo di acquisto è più strutturato e spesso anche più complesso. Cambiano quindi anche le modalità di comunicazione. In termini quantitativi gli utenti sono dispersi. Quindi, quando pensiamo a campagne marketing, dobbiamo individuare bene i nostri interlocutori, in modo da raggiungerli in maniera più efficace possibile.”
L’happening di Starbucks Italia
“Per l’Italia è stato ed è tutt’ora un grande evento. Ma non solo per questo Paese. A settembre, prima dell’inaugurazione, ero a Portland. Ho fatto colazione in un classico Starbucks. All’interno dello store, ciò che mi ha colpito, è che nei porta bicchieri c’era scritto: Seattle 1971-Milan 2018. Per cui, anche in America, stavano comunicando la prossima apertura in Italia. Un fatto mai avvenuto prima per le altre inaugurazioni.
A livello internazionale, è stato dunque sottolineato l’arrivo a Milano. Un’inaugurazione molto diversa dalle altre, in quanto ha significato il concretizzarsi del sogno originario di Howard Schultz. In questo caso, non è stato solo uno slogan dell’ex Ceo. Probabilmente spiega il perché abbia atteso così tanto ad arrivare nel nostro Paese.”
Nuova Simonelli parte nel 1936
“A quel tempo, la macchina per espresso professionale non era così popolare. Il caffè era una bevanda quasi per le élite, che veniva offerta solo da pochi locali di lusso. Il bar come lo conosciamo, arriva solo nel dopo guerra. La nostra azienda inizia già allora. L’ innovazione è l’aspetto che ha caratterizzato l’evoluzione della nostra impresa. Oggi è in voga il termine ‘disruptive’ per delineare il profilo delle aziende che innovano e che introducono nuove tecnologie sul mercato, proprio come ha fatto la Simonelli.”
Le macchine verticali
“Erano strumenti espresso che sfruttavano la pressione, esattamente come il sistema di funzionamento delle locomotive. Nella caldaia, la forza del vapore serviva a estrarre l’acqua. Questo stesso aspetto è stato applicato alle macchine espresso.
La macchina per espresso è stata inventata per velocizzare il servizio. La velocità per il cliente è stata l’esigenza che ha spinto alla produzione di questo genere di macchine. Pensate ed ideate soprattutto per i locali pubblici, per permettere cioè di servire una bevanda preparata all’istante.”
La seconda generazione di macchina per caffè usava la pompa
“Questo ha cambiato completamente la qualità in tazza. Perché con la prima modalità, l’acqua raggiungeva temperature elevatissime, dando un sapore di bruciato al caffè. Invece, con la scissione tra sistema di temperatura da quello di pressione, attraverso un sistema alternativo, si è potuto lavorare con un range di temperature più basso, intorno ai 93 gradi. Questo ha determinato un risultato in tazza più aromatica.” La tecnologia che ha determinato questo passaggio è stata la macchina a leva. Introdotta nel mercato da Gaggia nel 1948, fino a metà anni ’60, è stata la tecnologia dominante.
L’innovazione della pompa
“E’ stata portata proprio da Simonelli. Verso fine anni ’50, quando era in voga il sistema a leva, Simonelli introdusse sul mercato una macchina con una pompa oleodinamica, che ha dato il via alla nuova generazione di macchine per caffè espresso. ”
Nel 1975, l’elettronica era fantascienza
“Era un tipo di tecnologia non molto diffusa tra le aziende. In quegli anni, Nuova Simonelli ha capito l’importanza di questo settore, applicandolo anche alle macchine per espresso. Oggi siamo abituati a questo tipo di utilizzo, ma all’epoca era una cosa rivoluzionaria. A conferma che, l’innovazione, è sempre stata un driver per l’azienda.”
Performance
“L’azienda sta ancora crescendo. Una crescita che l’ha sempre contraddistinta negli anni. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, abbiamo conosciuto una certa accelerazione. Per una serie di ragioni.
In particolare perché il mercato ha riconosciuto un valore aggiunto all’offerta proposta dall’azienda. Il fatto che l’impresa sia cresciuta, è stata la conferma di un riconoscimento della qualità del prodotto, corrisposto a un costo adeguato. Negli ultimi 7 anni, Simonelli Group ha vinto ben 4 volte il Premio Cerved come migliore azienda del settore a livello nazionale. ”
Oggi si parla di internazionalizzazione
“Perché per noi, l’Italia rappresenta un mercato particolare. All’interno dell’azienda infatti, quando facciamo il punto della situazione, ci riferiamo al mercato globale e non più solo a quello italiano. La lingua che utilizziamo a lavoro per lo più, è l’inglese e non l’italiano.”
I mercati in cui l’azienda opera
“Quando sono entrato in azienda, la mappa era diversa. Nuova Simonelli era più piccola e così lo era il mercato, perché l’espresso era meno diffuso. In alcuni mercati operiamo attraverso filiale diretta. Gli Usa sono stati i primi, poi c’è stato Singapore e ancora la Francia. Negli altri tramite dei distributori. ”
Per noi vendere è un processo molto complesso
“Se vendessimo acqua oppure capi di abbigliamento, insomma, prodotti più quotidiani, la complessità della vendita è prevalentemente concentrata sull’aspetto commerciale, perché il prodotto ha una vita relativamente breve. Quando si parla di macchine per caffè, agli aspetti commerciali si aggiungono quelli del post vendita, dell’assistenza. Anzi prima si deve pensare all’assistenza e poi alla vendita. Nessuno sarebbe disposto a comprare qualsiasi bene strumentale, senza poter contare su un servizio di supporto adeguato.
Nel momento dell’acquisto, si dà già per assodato che, a fronte a un guasto, il cliente potrà rivolgersi all’azienda produttrice. Quindi per noi significa avere già attivi i centri di assistenza tecnica.
Dobbiamo perciò garantire la presenza di tecnici in loco. Disponibili sia in fase di installazione, che nel momento in cui si manifestano problemi. Se il cliente riscontra un malfunzionamento, sarà frustrato. Attendere tempi lunghi per rimediare al problema, non è una buona pubblicità per il marchio.
La macchina del caffè, quando si ferma, non è solo un disturbo psicologico. E’ soprattutto un danno economico. Quindi l’assistenza tecnica, deve agire in tempi piuttosto brevi. Simonelli Group deve perciò occuparsi di tutta quella parte che riguarda il post-vendita.”
Come si opera in ambito internazionale?
“Uno dei fattori che cambia è sicuramente la lingua. Per chi non si è mai confrontato sul mercato internazionale, può essere un problema. Potrebbe costituire una barriera. Il linguaggio è una delle criticità quando ci si affaccia sul mercato globale. L’inglese non sempre è sufficiente. In alcuni mercati, come la stessa Germania, non tutti conoscono l’inglese. A volte il cliente è un tecnico, come ad esempio un idraulico, e difficilmente ha competenza di inglese. La stessa cosa vale per la Francia, dove c’è un forte senso della nazione.”
Un’unica lingua non basta più
“Quando sono entrato in azienda, la selezione veniva effettuata prevalentemente sulla conoscenza delle lingue estere. Perché era la prima barriera. Oggi la conoscenza della lingua è quasi data per scontata. Si cercano altri tipi di competenze, come la conoscenza tecnica. Oggi i nostri ingegneri conoscono almeno tre lingue diverse.
Pensiamo a Paesi come la Cina e la Russia o il Medio Oriente, Paesi in cui la lingua è proprio indecifrabile anche dal punto di vista grafico. Quando non c’era internet, spostarsi in queste zone era davvero disorientante. Oggi un po’ la tecnologia ci aiuta, ma comunque restano grosse difficoltà.”
Cultura
“Quando parliamo di caffè, coinvolgiamo tanti modi di consumarlo. Noi produciamo macchine per espresso. Prima, questa modalità era apprezzata in pochi mercati, dove c’era stata una contaminazione della comunità italiana. Il caffè espresso, fino alla fine degli anni’90, era un prodotto “etnico”. Ovvero consumato prevalentemente dagli immigrati italiani. Non era quindi un prodotto tipico delle culture fuori dall’Italia, nonostante tutti gli sforzi delle aziende.
La barriera culturale in molte aree, come in America o nella Scandinavia, era molto forte. Tutto è cambiato quando è arrivato Howard Schultz. Il quale, con Starbucks, ha sdoganato il concetto di espresso che da prodotto etnico è diventato globale. Attraverso questa catena, gli americani hanno considerato questa bevanda come una cosa cool. Aprendo le porte a tutti gli operatori del settore.
La cultura è legata alla domanda. A livello internazionale, ciò comporta la profonda conoscenza delle tradizioni locali. Per proporre e convincere il consumatore. Se si sottovaluta questo aspetto, il dialogo con gli utenti sarà molto difficile.”
Tempistiche
“Lavorare a livello internazionale cambia lo stesso concetto di tempo. Si pensi solo al jet lag. Vendendo una macchina in Australia, ad esempio, bisogna considerare gli orari di apertura degli uffici in entrambi i Paesi. In Italia e in Australia, non coincidono.
Il jet lag significa che i colleghi che lavorano in Asia, arrivano in ufficio nelle prime ore di mattina. Per poter sfruttare quelle poche ore che si sovrappongono fra la nostra mattinata ed il tardo pomeriggio delle aree asiatiche. Devono perciò arrivare prima degli altri, per avere una possibilità di scambio. Viceversa fanno i colleghi che si occupano dell’America.”
Il tempo decisionale
“A livello culturale, noi italiani, soprattutto del Centro Sud, quando fissiamo un appuntamento siamo piuttosto vaghi sull’orario. Questo è un grande problema quando ci si confronta con altre popolazioni.
Lo stesso vale per il concetto di puntualità. Nel Centro America, il ritardo è un fattore piuttosto comune. Quindi, se un cliente non si presenta in orario, non è opportuno arrabbiarsi.”
Per essere importatori competitivi
“Bisogna possedere una rete di aziende che acquistano dalla mia e poi rivendono a livello locale. A volta il dealer vende al torrefattore, una situazione piuttosto diffusa in Italia. Quindi, invece di confrontarsi direttamente con l’operatore, prima, si inserisce il passaggio del torrefattore. E’ un classico. Si tratta di un canale indiretto a due livelli. Non c’è un rapporto diretto tra produttore e cliente finale.”
Cosa cambia dal punto di vista del marketing
“Se si vende la macchina a un’azienda commerciale, si pensa poi che questa verrà venduta in un secondo momento a un consumatore. La logica d’acquisto pertanto, cambia. Chi fa marketing non deve insistere su aspetti marginali, nel momento in cui il cliente è un torrefattore. Gli elementi su cui focalizzarsi non sono ad esempio il colore, ma altre caratteristiche interessanti per un professionista diverso dal barista.”
Il torrefattore
“Può giocare un ruolo di dealer come quello di diretto acquirente. In genere il torrefattore cerca di ottimizzare i costi, anche in virtù di un volume quantitativamente più grande. Il suo acquisto è spesso orientato a fidelizzare i propri clienti, offrendo loro dei benefit. Per i bar l’acquisto di una macchina è un investimento importante. Un barista, quando si rivolge a un torrefattore, sceglie di collaborare con quello che gli fornisce la maggior strumentazione. Quindi il torrefattore diventa non solo acquirente di caffè verde, ma anche di attrezzature. ”
Le catene
“Quando una catena opera la scelta di una macchina, non pensa soltanto alle caratteristiche tecniche. Le seleziona anche in base all’assistenza. La capacità di intervento deve esser adeguata. Le logiche di collaborazione si basano soprattutto sulla semplicità d’uso e sull’affidabilità.
A differenza di altre categorie, la catena pensa anche alla possibilità di infortunio del barista, che deve essere minimizzato per evitare contraccolpi negativi alla sua reputazione e ad incorrere in elevati costi di risarcimento. Per cui, anche quando si sceglie una determinata attrezzatura, la sensibilità è elevata.”
La struttura commerciale
“C’è un direttore commerciale e poi i senior manager. Sotto di loro si trovano gli area manager ed i corrispondenti commerciali. Questo cosa significa?
I sales manager non hanno solo il compito di vendere, ma anche di monitorare i mercati e le evoluzioni possibili. E’ necessario di avere il controllo continuo dei cambiamenti del mercato per capire chi sta crescendo e chi no. Oppure quali possono essere le nuove esigenze.
Gli account manager invece, tiene relazioni con le principali catene. Perché queste non hanno una competenza territoriale. Gli account manager operano seguendo una logica di canale.
Poi esistono i corrispondenti commerciali, che si occupano del contatto diretto col cliente e lo segue quotidianamente e che si occupa di parlare con il cliente seguendolo nel processo dell’ordine.
Ci sono poi i ragazzi del SAT, una struttura di ingegneri che gestisce l’assistenza tecnica. Essi si recano dai tecnici nelle varie parti del mondo, per formarli e aiutarli di fronte ad altre criticità.
Il supporto marketing: la comunicazione procede attraverso fiere, presentazioni.”
I metodi
“La scelta delle metodologie dipendono dagli altri elementi affrontati. Con alcune culture bisogna esser molto precisi. Con altre invece, è necessario sapere come si tratta.
E’ obbligatorio poi conoscere le diverse normative a seconda del Paese di riferimento. Altrimenti si corrono numerosi rischi. Per un’azienda, il rispetto delle norme è sinonimo anche di grande flessibilità attraverso differenti mercati.”
I diversi formati
“Il caffè non si beve all’interno del medesimo contenitore ovunque. In Italia l’espresso è consumato dalla tazzina. Ma in America ad esempio, la macchina del caffè dovrà esser strutturata pensando a dei bicchieri più grandi. Le norme influiscono anche su questo aspetto. Operativamente, si deve tener conto di tanti elementi, per limitare o evitare i danni economici all’azienda.”
Chi è il nostro cliente
“Il dealer. Chi è? E’ un po’ l’equivalente del concessionario d’auto. Un’azienda che acquista da noi e che poi rivende a un cliente finale. Di solito, nel nostro caso, il barista. A volte però, il percorso è un po’ più articolato.
Questo perché, in alcuni mercati, noi abbiamo un importatore. Quindi la nostra compagnia si confronta con un’azienda locale non di grande dimensione.”
L’effetto Starbucks
“Spesso si sceglie di entrare negli Starbucks per una questione di atmosfera. Di solito anche perché è collegata a un’idea di vacanza all’estero. Tuttavia, mi chiedo come questa sensazione emotiva, possa vincere la questione dello scontrino. Mi domando come mai un cliente italiano possa accettare di fare la fila e spendere tre volte di più rispetto a un locale tradizionale, per un prodotto di livello simile.
Io capisco la fascinazione che ha subito Schultz nel momento in cui è entrato nei bar italiani. L’esperienza Starbucks nasce da qui. Dei luoghi in cui Schultz si è sentito inserito in un contesto amichevole, intimo, dove il caffè servito era molto lontano da quello americano. Quindi, tutto nasce dall’esperienza italiana. Trasportata in America e poi rivenduta in Italia. E noi la viviamo come qualcosa di particolare.”
Victoria Arduino da Starbucks
“La scelta di questo marchio è stato importante a livello marketing. Starbucks nasce inizialmente come un fenomeno alternativo. Voleva esser diverso nell’offerta e nei prezzi. Per questo ha successo, soddisfacendo l’esigenza americana di poter usufruire di un “third place”, un terzo luogo tra casa e lavoro. Hanno creato quasi un nuovo ufficio.
Poi è diventata una grande multinazionale, perdendo un po’ in termini di personalità. In alcuni mercati, Starbucks era associata a Mc Donald’s, senza più un’anima. Ingrandendosi, è difficile mantenere l’immagine di nicchia. Per rilanciarsi viene creato il Reserve, un format diverso al classico store. Qui l’esperienza è tutta diversa e allora la macchina non è più quella automatica. Ma una tradizionale, stile italiano.
In questo concept, viene riproposta la macchina tradizionale italian style. Perché rappresenta un po’ il massimo sul mercato, per passare a una clientela più d’élite. In Italia però, anche nei ‘core’ non hanno utilizzato le super-automatiche, perché dal cliente italiano sono associate ad un caffè di più bassa qualità. Noi italiani vogliamo che il barista ci prepari l’espresso. La macchina scelta è stata la macchina top di gamma, usata nei campionati mondiali barista.”
La forza di Starbucks
“Questa catena ha la forza di cambiare le vostre menti. Ciò che più mi ha colpito, visitando la Reserve Roastery di Piazza Cordusio a Milano alle sei e mezza, orario morto di solito per i bar che vendono aperitivi e non caffè, è che lì c’era ancora la fila. Questa dinamica mi ha colpito. La fila là fuori è sempre ben nutrita. Una cosa che in altri luoghi, non saremmo disposti a fare.”
Perché questo cambio di approccio?
La risposta arriva dagli studenti:” per via della diversa esperienza. L’idea di bere una bevanda take away è un valore in più.”
Parliamo di cultura
“Normalmente gli italiani mal sopportano la fila. Al contrario di altre popolazioni. In Italia, di fronte a una fila, di solito si scappa. Questo non accade con Starbucks. Anzi. Ci mettiamo volontariamente in coda.”
Perché?
“Per l’esperienza e per il prodotto. In un bar normale la disponibilità per fare la fila non esiste.” La risposta degli studenti “Da Starbucks l’offerta è ben più ampia e diversa. Persino l’atmosfera è diversa. E’ importante anche la presenza di stranieri, che ti fa respirare un ambiente più di scambio internazionale. E poi, è uno spazio particolarmente instagrammabile. Un giovane ci entra almeno una volta, proprio per condividere con la comunità social il suo status sociale.”