Maurizio Giuli, executive for corporate strategy Simonelli Group Spa, parla del mercato del caffè in Italia. In un lungo intervento, Giuli indagherà su come si posizione il caffè italiano nel mondo e come viene percepito. L’argomento è trattato in un estratto del libro CoffeExperts, il libro enciclopedia sul caffè di cui abbiamo parlato qui. Più avanti in queste pagine ci saranno ulteriori approfondimenti dei diversi autori esperti di caffè che hanno contribuito alla stesura di CoffeExperts.
Maurizio Giuli sul mercato del caffè in Italia
MILANO – “Come si posiziona e come è percepito il caffè italiano nel mondo? Nel corso degli anni, a vari incontri, fiere e manifestazioni sul caffè spesso è emerso questo tema, ma non sempre le risposte erano convergenti. C’era chi sosteneva che il caffè italiano fosse il più buono, perché “nessuno sa fare il caffè meglio di noi italiani”.
A questo proposito, posso testimoniare che, effettivamente, vent’anni fa, quando approcciavo i mercati esteri per vendere le nostre macchine da caffè espresso, spesso gli operatori non sapevano utilizzarle. Alcuni non conoscevano neanche la sequenza delle fasi per estrarre un espresso, figuriamoci saper fare il caffè per l’espresso. C’era anche chi sosteneva che “il vero caffè espresso è solo quello italiano”, una risposta questa che capita di sentire in alcuni contesti.
Oggi però il caffè espresso non esprime più un prodotto unico e standard, perché ha molte declinazioni. Per rispondere in modo più ponderato alla domanda, occorre tuttavia analizzare i dati, dai quali emerge che le esportazioni stanno crescendo, e questo è un primo indice che lascia supporre una buona salute del caffè italiano.”
Il caffè italiano all’interno del quadro internazionale
“Non soddisfatto pienamente da questa prima indicazione, mi sono però cimentato in un’analisi più profonda, per cercare di inquadrare meglio il caffè italiano all’interno della dinamica internazionale.
Il compito di un’analista è quello di andare oltre la superficie e cercare di individuare le dinamiche di fondo. Dal 2000 al 2010, l’export italiano di caffè tostato è cresciuto di quasi cinque volte. Nel frattempo, però, il mercato generale stava esplodendo e noi siamo riusciti ad intercettare solo in piccola parte questa crescita.
Osservando la quota dell’Italia nell’export mondiale del caffè tostato, si nota che nel 2002 avevamo raggiunto una quota a valore del 25%; quota molto elevata e diffi cile da mantenere nel lungo periodo. Da lì in poi, in sette anni, l’export italiano ha perso dieci punti di quota.
Questo segnale evidenzia che il nostro sistema non funziona più così bene e che non è più in sintonia con quello che sta avvenendo nel resto del mondo. Se andiamo a vedere chi ha beneficiato delle quote di mercato perse dall’Italia vediamo che è stata soprattutto la Svizzera. Questo è un dato interessante e per certi versi ancora più allarmante, perché emerge che noi italiani stiamo perdendo quote di mercato in un contesto che premia il valore più che il basso prezzo.”
Le dinamiche del mercato
“Quando sentiamo torrefattori lamentarsi del prezzo del caffè all’estero, significa che non hanno chiare le vere dinamiche del mercato. Il caffè italiano ha perso 10 punti di quota mentre la Svizzera ne ha guadagnati 15 e sappiamo che il prezzo al chilo del loro caffè è molto più elevato.
Occorre fare allora delle riflessioni: la curva dell’export mondiale si è impennata e noi eravamo troppo convinti di essere bravi per accorgercene. Ci siamo lasciati sfuggire delle belle opportunità.
Se osserviamo la dinamica storica del settore del caffè espresso nel corso degli anni, è possibile individuare almeno tre fasi a livello internazionale. Dall’inizio del Novecento fino agli anni Novanta, c’è stata la fase della semina.
Erano gli anni in cui gli italiani erano i primi produttori di macchine per caffè espresso e la comunità dei nostri emigrati ha cercato di spingere e di far conoscere il nostro caffè. Per loro era però difficile giustificare il valore della tazzina di espresso, anche perché all’estero erano abituati a bere maggiori quantità di caffè e a prezzi più modici.”
Il decennio d’oro
“Grazie al lavoro fatto da chi ci ha preceduto, si sono create le condizioni che hanno portato alla seconda fase, quella del decennio d’oro, dall’inizio degli anni Novanta fino alla prima metà degli anni Duemila. In questa fase, all’estero noi italiani eravamo considerati i guru del caffè, perché l’espresso era la novità del momento.
Ma non siamo riusciti a sfruttare al massimo questa opportunità. Gli altri Paesi si stavano aprendo al mondo dell’espresso partendo da una cultura bassa e noi non siamo riusciti ad interpretare il cambiamento delle loro esigenze.
Questo ci ha penalizzati in termini di business e di potenzialità per l’export. Nel 2005 è iniziata una nuova fase: nel mondo del caffè, e in particolare del caffè espresso, c’è stata una forte evoluzione e noi, che eravamo stati i leader, ci siamo ritrovati a rincorrere gli altri. Il rischio ora è che nell’ottica di riguadagnare il terreno perduto, si finisca per emulare gli altri, perdendo ogni forma di autenticità: nel tentativo di colmare un gap, spesso finiamo per riproporre le stesse bevande, gli stessi stili in voga in altri Paesi, snaturando l’identità italiana.”
Un nuovo percorso nel mercato
“Anziché proporre un nostro nuovo percorso, capace di rendere attraente e unico il caffè italiano, finiamo per essere dei gregari, degli imitatori di trend lanciati da altri, senza fornire un vero valore aggiunto. Ho difficoltà a credere che in questo modo riusciremo a recuperare lo spazio perduto, perché non forniamo risposte migliori rispetto a quelle fornite dagli altri players.
Per essere leader occorre essere innovatori. Dobbiamo riconoscere che qualità e innovazione non sempre sono stati centrali nella definizione dell’offerta del caffè italiano, perché spesso hanno prevalso altre logiche.
Sappiamo tutti che se oggi, in Italia, una torrefazione cerca di acquisire un nuovo cliente, raramente trova un barista attento alla qualità, perché i suoi interessi si concentrano su altri fattori. Questo ovviamente condiziona la risposta fornita dai torrefattori: se il barista non richiede qualità, le torrefazioni devono adeguarsi alle richieste del mercato, perché altrimenti non sarebbero competitive.
Quando mi sono cimentato nel lavoro di ricerca per il libro, ho avuto la possibilità di interpellare diverse aziende di torrefazione e alcune di esse avevano o stavano cercando di produrre caffè di qualità più elevata, ma molto spesso il mercato non ha recepito positivamente questi sforzi perché il barista spesso non era professionalmente pronto a tale passaggio e non aveva la competenza tecnica necessaria per valorizzare un prodotto di maggiore qualità.
Quello che si nota confrontando l’Italia con altri Paesi esteri è che all’estero, nel mondo del caffè, c’è un’energia positiva proveniente dai giovani, mentre in Italia il mondo del bar è meno vivace, a volte più conservativo e statico. Raramente si riscontra quella voglia di esplorare e di inventare tipica della mentalità giovanile.”
Un mondo statico
“Proprio noi che siamo i leader storici nell’espresso, ai campionati del WBC (il World Barista Championship della SCA, n.d.r.) non siamo mai riusciti a vincere, mentre siamo diventati campioni nel brewing o nel roasting, ovvero in discipline nuove che non fanno parte della nostra tradizione.
Questa è una lezione importante: occorre fare innovazione. Quando si entra in un campo nuovo si ha voglia di esplorare, mentre quando si sta fermi in un settore per tanti anni si perde energia, si fanno le cose per ripetizione “perché si è sempre fatto così”- Quante volte abbiamo sentito questa frase?
Questo modo di pensare ha penalizzato il settore del caffè espresso italiano. Se noi non torniamo a riprendere la leadership con l’innovazione, molto probabilmente continueremo a perdere posizioni a livello internazionale, di anno in anno. Le opinioni più rilevanti sul mondo del caffè espresso a livello internazionale raramente provengono da esperti italiani.
È raro trovare uno speaker italiano in convegni internazionali in questo settore, e vi garantisco che non è solo un problema di lingua, ma avviene perché in molti contesti l’espresso italiano non è più riconosciuto come un modello di riferimento. Vorrei prendessimo tutti atto di questa condizione.”
Un recupero del valore
“Siamo finiti nella cosiddetta “trappola a spirale”: ci troviamo in una fase involutiva, i consumi nel bar italiano sono in decrescita; cerchiamo uno sfogo nel mercato internazionale ma, nonostante questo, stiamo perdendo quote di mercato. Dobbiamo assolutamente recuperare posizioni. La prima conclusione che si deduce dal mio discorso è che l’espresso italiano ha perso appeal e valore.
È come se, tra qualche anno, il settore moda italiano venisse identificato con il low profile: sicuramente tutta l’industria della moda italiana ne pagherebbe le conseguenze e verrebbe penalizzata. Dobbiamo quindi riportare in alto il valore dell’espresso italiano. La seconda conclusione è che il caffè made in Italy ha buone potenzialità ma deve sapersi rinnovare.
Il rinnovamento spesso è traumatico. La storia economica ci insegna che chi è stato protagonista in una fase storica non necessariamente continua a esserlo in quella successiva. In rarissime occasioni c’è stata questa capacità di rinnovamento da parte degli stessi soggetti.
La Nestlé, ad esempio, stava perdendo mercato dopo la First Wave e, per tornare all’apice, ha creato Nespresso. Pur sempre Nestlé, ma con una struttura e un’organizzazione completamente nuove, perché probabilmente l’azienda, per come era organizzata, non sarebbe stata in grado di gestire l’evoluzione.
La terza conclusione è che l’innovazione passa per il consumatore. Questo è un elemento centrale, a mio avviso, perché noi del settore possiamo fare tutti i sacrifi ci che vogliamo, possiamo proporre caffè con la più alta qualità, ma, se il consumatore non l’apprezza, diventa tutto vano.”
Una maggiore cultura del consumatore
“Oggi il consumatore italiano non è in grado di riconoscere un caffè buono da uno cattivo. Se non partiamo da una maggiore cultura del consumatore, non riusciremo a risollevare la situazione italiana.
Può accadere solo se tutto il comparto si muove all’unisono verso l’obiettivo: creare un consumatore più competente e consapevole è il mezzo per ritornare in auge. In Italia abbiamo un altro prodotto di punta che è il vino, e noi del comparto caffeicolo stiamo un po’ scimmiottando quello che è accaduto nel settore vinicolo.
Fino a qualche decennio fa, quando si andava al ristorante, esistevano solo il vino rosso e bianco della casa, non si trovavano altre opzioni, tuttalpiù si poteva scegliere tra vino alla spina o in bottiglia. Oggi invece il consumatore di vino è molto più preparato, quando va al ristorante chiede e si informa sui vini della carta. Allo stesso modo, per il caffè dobbiamo creare un livello culturale altrettanto consapevole del consumatore.
Cerchiamo di studiare bene il caso del vino, visto che è successo proprio nel nostro mercato, e vediamo come poter alimentare la stessa dinamica nel mondo del caffè. In prospettiva, vedo una possibile nuova alba per il caffè italiano e, proprio facendo le ricerche per la stesura del libro, ho percepito un’evoluzione.”
Voglia di innovazione nel mercato
“Vi garantisco che all’inizio, quando facevo le interviste ai torrefattori, se utilizzavo dei termini un po’ critici nei confronti del loro caffè o del caffè italiano in generale, ricevevo solo disapprovazione. Nelle ultime fasi del lavoro invece ho ricevuto delle risposte molto più riflessive. A volte erano i torrefattori stessi a essere più provocatori di me, e questo è sintomo di una presa di coscienza. Quindi, mentre all’inizio ero preoccupato per la mancanza di visione e di lettura della realtà, ora vedo una reattività e una propensione al cambiamento.
Noto anche che c’è una maggiore voglia di esplorazione, alcuni consumatori sono più propensi ad acquistare miscele diverse, anche singole origini, e questi sono indizi che lasciano sperare nel futuro del caffè italiano.
Ricordiamoci che la vita è troppo breve per bere caffè amari, e il mondo non si aspetta dall’Italia un caffè mediocre ma, al contrario, un caffè eccellente. Non basta dire che in Italia mediamente il caffè è superiore in qualità rispetto al resto del mondo. Non dobbiamo rapportarci con la mediocrità ma con l’eccellenza. Dobbiamo certificare solo l’eccellenza e scartare la mediocrità. Questa è la via per ritornare a essere protagonisti.”