MILANO – Matteo Severgnini vive sul lago d’Orta, a Omegna. Non è un nome nuovo per i lettori, che lo hanno già conosciuto quando si è parlato del suo lavoro documentario sul polo industriale di Omegna, che tra i protagonisti ha visto nominare anche Bialetti e Alessi. Collabora come autore a diverse trasmissioni culturali radiofoniche per ReteDue, Radio Televisione Svizzera Italiana. Il suo ultimo romanzo giallo è ‘La donna della luna – La prima indagine dell’investigatore privato Marco Tobia’, edito da Meridiano Zero. Con questo autore, abbiamo raccontato la storia di un’intera comunità.
Severgnini, come mai ha deciso di raccontare la nascita e il declino del polo industriale del Distretto del casalingo di Omegna?
“Vivo a Omegna e di professione scrivo le mie storie (romanzi gialli n.d.r.) e allo stesso tempo scovo storie di altri da raccontare attraverso i documentari radiofonici che realizzo per ReteDue, Radio Svizzera Italiana. Da diverso tempo volevo raccontare quanto è accaduto al territorio a cui appartengo. Avevo una storia in casa. Ma ho anche pensato che la mia vicinanza culturale e sociale non mi dava l’opportunità di raccontare al meglio il passato e il presente del Distretto del casalingo, perché ne sono troppo immerso.
Ho sentito quindi il bisogno di confrontarmi con occhi e orecchie vergini su quanto volevo raccontare. Anni fa ho visto il film Sinestesia, del regista svizzero ticinese Erik Bernasconi. Mi è piaciuto molto. Trascorse alcune settimane, l’ho incontrato per proporgli il progetto del film. Lui ha accettato e abbiamo fatto le ricerche, incontrando un centinaio di persone, e poi abbiamo scritto insieme il soggetto e la sceneggiatura.
La storia che raccontiamo nel film ‘Moka noir’, non è solo la narrazione di un territorio e della sua gente, ma è anche un pezzo di storia industriale, sociale ed economica dell’Italia in questi ultimi decenni. Oserei dire dell’occidente.”
Dall’audio al video: la storia documentata in due modi. Perché è passato dalla radio al cinema?
“Credo che una storia si possa raccontare attraverso diverse strutture narrative. Non dico nulla di nuovo, certo. L’importante è scegliere il modo più appropriato per raccontarla al meglio. Il documentario radiofonico ‘L’invenzione della Moka’ racconta la vita dell’inventore della moka, Alfonso Bialetti, e di come l’ha inventata, appunto. Si limita a questo.
Il film invece racconta la storia più ampia del Distretto del Casalingo di Omegna. Per narrare questo avevamo bisogno di più tempo e di mostrare gli ambienti industriali, un tempo luogo di aggregazione degli operai e ora abbandonato completamente, dove la natura ha ripreso i suoi spazi. ‘Moka noir’ ingloba diverse storie: quelle delle aziende produttrici di caffettiere, pentole, casalinghi in genere (Alessi, Bialetti, Lagostina, Girmi, Calderoni, Piazza e Irmel n.d.r.), degli operai, dei sindacalisti, le riflessioni di sociologi e di economisti…insomma tutti coloro che hanno, o hanno avuto, a che fare con il Distretto. Dentro al film ci sono tante narrazioni: una matrioska di storie.
Quali sono gli elementi di finzione inseriti nel film?
Severgnini:”L’elemento di finzione si limita alla presenza del regista Bernasconi in scena nel suo ufficio che è stato allestito in un locale di una fabbrica ormai chiusa da tempo. Impersona una sorta di investigatore che deve indagare sul perché del declino del Distretto, una volta molto florido, e ora morto. Il Distretto è fatto da donne e uomini, edifici, idee, progetti, emozioni… di un sacco di cose.
Il territorio pulsava come pulsa un corpo. Ecco, noi abbiamo considerato il territorio come un corpo che non ha più vita. Quindi il regista/investigatore giunge a Omegna e inizia a indagare ponendosi la domanda ‘Chi ha ucciso il Distretto del Casalingo di Omegna’.
La scelta di utilizzare il dialetto di Severgnini, da dove nasce? È presente anche nel film?
“Alcuni personaggi del film parlano in dialetto omegnese, molto vicino a quello ticinese e milanese anziché piemontese. Abbiamo deciso di lasciare ai singoli personaggi la possibilità di scegliere il loro modo di esprimere il loro racconto e le loro emozioni. Il dialetto è la lingua del sentimento.”
In un prodotto audio-video, il rumore è fondamentale: il borbottio della moka è il leit motiv?
“Non proprio. Il vero rumore del film è il silenzio dei luoghi industriali abbandonati. Sembra facile (come diceva la reclame Bialetti in Carosello) definire il silenzio, con l’ossimoro ‘silenzio assordante’ ma è proprio così. È un silenzio che ti riempie le orecchie e ti fa vedere con le orecchie un passato che non c’è più.”
Come ha gestito il processo di reperimento del materiale storico?
“Da una parte abbiamo chiesto a tutte le persone e alle aziende la possibilità di visionare i loro documenti iconografici e non. Tutti si sono dimostrati molto interessati a farci conoscere e utilizzare i contenuti ‘dei loro cassetti privati’. Dall’altra parte abbiamo ricercato filmati storici negli archivi delle cineteche e negli istituti storici e televisivi.
Severgnini ha parlato anche con la figlia di Bialetti: com’è confrontarsi con quella generazione?
“La generazione di Tina, figlia di Alfonso, è quella che precede la mia e quella di Bernasconi. La signora ha dimostrato subito interesse a parlare di suo padre e di suo fratello Renato (l’omino coi baffi n.d.r.). In realtà, io e Bernasconi non abbiamo notato molte differenze perché il nostro compito verteva sull’ascolto delle parole di Tina, come memoria storica e sulla tradizione orale della sua famiglia.”
Qual è stato l’impatto emotivo legato alla creazione di questo documentario?
“L’impatto è stato molto forte. Tutte le persone che abbiamo incontrato ci hanno dato la sensazione di non aspettare altro che raccontare. Hanno condiviso con noi il loro passato, gli aneddoti e le emozioni. Hanno esposto anche i loro motivi per cui non esiste più il Distretto. Non è stato raro che alcuni di loro si siano emozionati nel raccontarsi.
Per il documentario ha dovuto collaborare con un regista: che tipo di lavoro ha richiesto la trasposizione?
“In parte ho già risposto. Aggiungo che alcune storie che abbiamo raccolto e inserito nel film io le conoscevo già e mi sono ‘messo i disparte’ per poter dare anche a Bernasconi la possibilità di conoscerle, senza miei filtri e interferenze. Poi ci siamo confrontati. In alcuni casi, durante le riprese io non ero presente sul set, perché la mia presenza avrebbe forse condizionato il personaggio che conoscevo da prima.
Tengo a sottolineare che Bernasconi è stato molto bravo a conquistare la fiducia delle persone, perché senza fiducia dei personaggi non si può realizzare un film documentario.”
Perché non ha voluto seguire gli sviluppi futuri della moka del distretto del casalingo?
“Semplice. Noi volevamo raccontare quando è accaduto e il presente. Per il futuro? Vediamo cosa accadrà al territorio di Omegna e alla sua gente. Se la storia futura di questo territorio sarà interessante, potremo riflettere su un nuovo film.”