Matteo Borea, consulente strategico e innovatore nel settore del caffè,
coproprietario della storica torrefazione La Genovese di Albenga (Savona) e autore del blog matteoborea.it, punto di riferimento per imprenditori del chicco, espone la sua opinione sulla trasformazione della filiera del chicco sotto l’incombente EUDR e la politica dei dazi del presidente Donald Trump, analizzando le azioni da intraprendere per giustificare l’aumento dei prezzi del caffè al consumatore finale. Leggiamo di seguito la sua opinione.
La trasformazione della filiera del caffè
di Matteo Borea
MILANO – Il mondo del caffè è entrato in un circolo vizioso così evidente che ormai solo chi ha fette di prosciutto sugli occhi può fingere di non vederlo. Anche se molti lo ignorano, in Europa incombe sempre l’EUDR, che impone nuovi criteri di sostenibilità e tracciabilità, gettando i produttori di caffè nel panico (o quasi).
Poi ci sono gli Stati Uniti, con la politica dei dazi di Trump che ha letteralmente innescato una guerra commerciale. Hanno iniziato con Messico e Colombia, ma la sensazione è che potremmo vederne di tutti i colori.
Risultato: per vendere in Europa, i produttori devono adeguarsi all’EUDR (cioè maggiori controlli, più burocrazia, costi extra). Per vendere negli Stati Uniti, devono pagare dazi che stanno per diventare un salasso. E stiamo parlando di caffè, una delle materie prime più diffuse al mondo, un prodotto che muove intere economie.
Ma il bello deve ancora arrivare (o meglio, il brutto): gli stessi produttori, sotto pressione per i costi, iniziano giustamente a valutare dirottamenti su mercati emergenti come Asia e Medio Oriente, che crescono a ritmi pazzeschi.
Lì le cose – almeno per ora – sembrano più semplici: meno normative, più richiesta, soprattutto per prodotti di qualità. In altre parole, c’è un rischio concreto che i classici mercati occidentali restino con meno disponibilità di caffè. E quando l’offerta cala e la domanda rimane stabile (o cresce), sai cosa succede? I prezzi vanno alle stelle.
Dunque, è inevitabile che, entro pochi anni, caffè Arabica e Robusta inizino a toccare nuovi picchi. Personalmente non mi stupirei di vedere l’arabica raggiungere gli $11 al kg e poco meno per la robusta.
Per adesso sono solo previsioni, magari esagerate, ma la storia ci insegna che i mercati sanno superare anche le stime più nere. Non parliamo solo di Borsa, speculazione e spauracchi mediatici: parliamo di un contesto reale, fatto di produttori che si spaccano la schiena, di trader che giocano sporco e di un settore che per troppi anni è andato avanti con un modello insostenibile.
E qui arriva la domanda chiave: “Come rendere il consumatore più consapevole nel minor tempo possibile, affinché smetta di considerare il caffè una commodity e inizi a vederlo come un alimento prezioso e pregiato?”
La risposta, per quanto semplice da formulare, è complessa da realizzare. Perché prima di parlare di come “educare” il consumatore, bisogna fare i conti con un settore diviso, dormiente, imbalsamato e ostile al cambiamento.
Facciamo un esame di coscienza: quante volte, nel corso degli anni, abbiamo raccontato un sacco di storielle sul caffè senza mai investire davvero nello sviluppo di competenze e nella divulgazione di conoscenza?
Non vorrei essere troppo duro, ma credo che una secchiata d’acqua gelata ogni tanto faccia bene, perché il nostro settore ha una grande responsabilità di cui farsi carico: aver sempre sfruttato consapevolmente sia i produttori, lasciando loro la fetta più piccola della torta, sia i baristi e i consumatori, mantenendoli nell’ignoranza per potergli vendere robaccia a peso d’oro.
Non giriamoci intorno. Siamo onesti: questa è la dura verità che nessuno vuole ammettere, ma che oggi, con i prezzi alle stelle ormai da un anno, ci viene sbattuta in faccia mostrando tutta la polvere che negli anni è stata nascosta sotto il tappeto.
Speculatori senza scrupoli, crudisti e torrefattori che hanno comprato materie prime scadenti, venditori e manager che hanno venduto tutto fuorché caffè e si sono comprati i clienti con i finanziamenti o regalando persino set di pentole per appendere un’insegna in più.
Nessuno ha mai veramente venduto il VALORE del prodotto. Gli argomenti migliori che sono stati usati per raccontare il prodotto sono stati “Miscela Arabica” e “Ricetta segreta,” e il risultato è una classe di imprenditori improvvisati (chiamarli “imprenditori” a volte è come chiamare un piccione “falco da combattimento”), baristi che sanno a malapena come si pronuncia “specialty coffee,” consumatori che trattano il caffè come un semplice energizzante mattutino.
Cosa abbiamo fatto per invertire la rotta? Nulla. Anzi, abbiamo alimentato l’ignoranza “perché così si vendeva più facilmente.”
Oggi che il prezzo della materia prima costringe tutti a guardare in faccia la realtà e a prendere consapevolezza del valore reale, viene fuori la nostra vera essenza: esperti che litigano per avere ragione se il caffè macinato va conservato in frigo o in freezer, torrefattori che chiedono consulenza per tagliare le miscele con l’orzo e “venditori” che si scannano con i baristi perché fino a ieri dovevano limitarsi a prendere ordini e da un giorno all’altro si ritrovano a dover giustificare un aumento dei listini.
Questa è la verità: siamo impreparati.
Non siamo in grado di giustificare l’aumento dei prezzi a quello stesso consumatore che abbiamo volutamente mantenuto “ignorante” e non siamo soprattutto in grado di comunicare e vendere il vero valore dei nostri prodotti e servizi.
È il settore ad aver bisogno che baristi e consumatori evolvano, non il contrario.
Prendersela con i baristi e i consumatori perché “non capiscono” è troppo facile. La responsabilità è solo e soltanto nostra, che abbiamo pensato molto al profitto e molto poco al valore.
Il settore del caffè non parla con una sola voce. È una miriade di piccoli mondi (produttori, trader, broker, torrefattori, distributori, baristi) che spesso si guardano in cagnesco. Ognuno tende a difendere il proprio orticello. Il sogno di una filiera coesa? Sembra più l’utopia di un romanzo di fantascienza.
Qui entra in gioco la parte più interessante, perché non si tratta solo di un ennesimo lamento. Vogliamo dare una prospettiva concreta, un nuovo inizio per un settore che ha disperatamente bisogno di evolversi. Riprendiamo la domanda:
“Come diamine facciamo a insegnare (velocemente) al consumatore a riconoscere e apprezzare un caffè di qualità, e a pagarlo per il suo valore reale?”
Per me, la risposta si divide in due livelli fondamentali:
1. Elevare il barista a un livello superiore, come professionista dell’accoglienza, andando oltre i cuoricini sui cappuccini. Non fraintendiamoci, la latte art è carina, fa scena e può essere un plus. Ma la professione è molto di più.
Parliamo di competenze di accoglienza, storytelling, marketing, gestione finanziaria, cultura di prodotto. Un barista con queste skill è un imprenditore, non un esecutore. È un professionista che sa come comunicare il valore reale di ciò che vende, dall’espresso al cappuccino, dalle estrazioni alternative al racconto del Paese d’origine. Insomma, uno che si fa carico della vera mission: elevare il consumatore.
2. Rendere il consumatore consapevole ed esigente perché sia disposto a pagare il giusto prezzo. Purtroppo, la consapevolezza non arriva da un giorno all’altro. Né basta un post su Instagram col chicco di caffè biologico e la didascalia #SaveThePlanet.
Servono azioni massicce, un lavoro di squadra. Significa investire risorse (tempo, denaro, creatività) per educare con una comunicazione chiara e onesta. Senza paternalismi e frasi da “esperto supponente,” ma con l’idea di creare curiosità e coinvolgere le persone.
La grande sfida è questa: “Come facciamo a innescare un cambio di paradigma in tutto il settore e, di riflesso, nel consumatore finale?”
La risposta potrebbe sembrare scontata: ci vogliono investimenti, formazione, tempo, coesione. Ma spesso manca il coraggio di farlo sul serio. In troppi preferiscono andare avanti con i metodi di sempre.
“Abbiamo sempre fatto così” è la frase più dannosa mai inventata, perché mette il settore in modalità “pilota automatico” e non lo fa avanzare.
Ora tiriamo le fila. È chiaro che lamentarsi e basta non serve. Dobbiamo muoverci tutti, e in fretta. Se non mettiamo in campo strategie condivise, ci ritroveremo in un pantano peggiore di quello attuale.
Quindi, ecco alcune azioni concrete, secondo Matteo Borea:
1. Formare i baristi come veri “ambasciatori del caffè.”
2. Creare reti di cooperazione tra i vari attori della filiera.
3. Investire in educazione al consumatore.
4. Sviluppare una nuova classe di “imprenditori del caffè.”
5. Adottare un approccio umile e coraggioso.
Uno degli ostacoli principali è l’ego di chi crede di sapere già tutto perché magari tosta o estrae caffè da 30 anni. O di chi dice: “I miei clienti non apprezzano la qualità, quindi non mi interessa formarmi.” Ecco, questa è la mentalità che ci porterà dritti alla rovina.
Serve un bel bagno di umiltà, la voglia di imparare sempre, di confrontarsi, di sbagliare e riprovare. E serve coraggio: uscire dalla zona di comfort, guardare in faccia i nuovi scenari e prendere decisioni scomode ma necessarie.
In definitiva, siamo di fronte a una resa dei conti che non possiamo più rimandare. I prezzi del caffè sono alti e saliranno ancora. Nuovi mercati entrano in gioco e questo finirà col ridurre le disponibilità. E quando l’offerta si riduce e la domanda non cala, i prezzi vanno su.
È la legge di mercato: prima l’abbiamo ignorata, adesso la subiamo. Ciò che ancora possiamo fare è unire le forze e scegliere di essere parte attiva del processo. Basta recriminazioni e colpi di coda dell’ultimo minuto. Serve un cambio di rotta deciso.
Il barista non è l’ultimo ingranaggio ma il ponte cruciale tra chi produce e chi consuma.
“Bisogna prima rinforzare il ponte per poterci far passare tutto l’arsenale.”
Il consumatore non è un automa incapace di capire, ma una persona che, se stimolata nel modo giusto, può diventare un alleato prezioso nel riconoscere e valorizzare il caffè di qualità.
Il torrefattore non è il “padrone di casa” che fa e disfa ricette nel segreto del suo retrobottega, ma un professionista che ha il dovere di comunicare, formare e servire il mercato in modo trasparente.
Chi ignora tutto questo o pensa di sopravvivere con i metodi di sempre, è condannato a svegliarsi un giorno e trovare il proprio modello di business distrutto dai costi, dalle normative o dalla concorrenza che ha saputo aggiornarsi.
Matteo Borea aggiunge: “Dobbiamo smettere di pensare solo a come aumentare il margine vendendo il solito caffè mediocre, e cominciare a offrire valore vero. E per farlo, dobbiamo rivedere tutto, dalla comunicazione alla formazione, dal rapporto con i fornitori al modo in cui gestiamo il locale o la torrefazione.
È una rivoluzione nel senso letterale del termine. Ma se non ci muoviamo, faremo la fine di quelle industrie che hanno resistito al cambiamento finché non è stato troppo tardi.
È ora di costruire (e vendere) valore e non più solo chiacchiere. È ora di educare il consumatore e di responsabilizzare l’intera filiera. È ora di trattare il caffè come ciò che è: un alimento prezioso, frutto di un processo lungo e delicato, e non un semplice “stimolante” da servire a caso.
Siamo pronti a raccogliere la sfida? Se la risposta è sì, allora rimbocchiamoci le maniche. Se è no, prendiamoci almeno la colpa di aver perso un’occasione unica, lasciando che il settore si sbricioli sotto il peso della sua stessa inerzia. Questo è l’avviso finale per tutti i professionisti del caffè: le regole del gioco sono cambiate”.
Matteo Borea conclude: “Mettiamoci insieme, diamo un valore reale a ciò che vendiamo, formiamo i baristi, educhiamo i consumatori e prepariamoci a un futuro in cui il caffè sarà sempre più un lusso, ma un lusso che – se ben comunicato e valorizzato – il pubblico sarà disposto a pagare. Sta a noi spingere, uniti, verso un cambiamento vero e profondo. Auguri!”
Matteo Borea