MILANO – C’era un volto noto tra i tanti professori-scienziati, illustri ma sconosciuti al convegno La qualità del caffè: una ricerca senza fine organizzato dall’International Hub for coffee research and innovation. Stiamo parlando di Francesco Masciullo, campione italiano baristi caffetteria 2017, fresco reduce dai Mondiali Wbc di Seul.
Ci ha molto incuriosito la presenza di un barista ad un convegno di livello universitario. Ma Masciullo, che molte delle cose dette le sapeva già, per lo meno i temi e i risultati, è stato trasparente nello spiegare il motivo della suo viaggio da Firenze a Camerino (Macerata).
«Per concorrere ad un campionato, ancor più se di livello mondiale, serve la ricerca, serve attorno al barista una squadra dove il livello sia il più alto possibile. Quindi aperto alle aziende più d’avanguardia e alle Università. Per questo era necessario esserci a Camerino. Per raccogliere i temi, fissare le tendenze e le idee, individuare le persone giuste disposte a sostenere una sfida, una competizione anche a livello mondiale».
Aggiunge Masciullo: «Nel mondo della caffetteria, per come io intendo il barista, c’è sempre la voglia di andare a ricercare. La competizione stessa per me è il simbolo della ricerca. Perché tutto quello che si va a dimostrare in gara, a studiare per una competizione è sempre il risultato di una ricerca. Quindi io vado a ricercare, studio, porto la mia tesi dinanzi ad una giuria, ai giudici del campionato».
«Appena ho saputo di questo convegno universitario sul caffè, ho trovato l’argomento della qualità molto interessante e ho deciso di partecipare. Perché per come si muove il barista o meglio per la mia voglia di studiare c’è sempre la ricerca. Anche le parti più ostiche, la chimica e la fisica. Che cosa succede esattamente al caffè in fase di tostatura o durante l’estrazione, è veramente bello saperlo anche da parte del barista. Può servire anche per intrattenere il cliente finale, quelli che sono interessati. Per una conoscenza personale è veramente bello scoprire che cosa avviene al caffè in ogni situazione che si presenta».
Che informazioni ha raccolto a Camerino?
«È stato tutto molto interessante. Purtroppo i miei studi di chimica e fisica sono un po’ lontani ed ho fatto fatica a seguire tutto. Gli interventi erano molto difficili: il tema si capiva ma quando gli scienziati entravano nel dettaglio delle formule e delle reazioni, delle molecole, chi non ha studiato o non ricorda questa cose si perde. Ma tutto è stato molto interessante. In uno di questi interventi era presenta anche una mia ex collega di studi che ha parlato dell’estrazione del caffè utilizzando otto metodi differenti».
«Analizzando che cosa si va ad estrarre che lo stesso caffè, di tostatura medio chiara, solo con differenti metodi di estrazione è andata a vedere che cosa finiva in tazza. Ha parlato di acidi clorogenici, di caffeina, di tutte le sostanze aromatiche che ci regala il caffè. È stato molto interessante vedere in quali percentuali io posso avere tutte queste sostanze presenti in ogni bevanda. Di come le varie sostanze possano contribuire al gusto in tazza. Mi è piaciuto ascoltare il dettaglio con il quale venivano descritte le differenze di estrazione e quindi di gusto quando vado ad assaggiare queste tipologie di caffè».
Al convegno, con tonnellate di documentazioni e formule, si è affermato che la tostatura media è la migliore. Non quella chiara, non quella scura.
«Mi sono trovato sulla stessa lunghezza d’onda dei ricercatori. Perché se io ho un caffè dalle caratteristiche valide, positive, non devo tostare scuro. Che porta caratteristiche negative in tazza. Idem tostare chiaro porta altre caratteristiche in tazza. In Italia si sta iniziando a cambiare il nostro indirizzo di tostatura con una maggiore percentuale di torrefattori che inizia a tostare più chiaro. Ma lo possono fare soltanto se hanno acquistato una materia prima di qualità».
Si è parlato anche di acqua, che può cambiare il gusto finale del caffè.
«L’acqua ha un ruolo fondamentale nell’estrazione del caffè. Nel 2014 ci fu una ricerca di Maxwell Colonna, l’ex campione baristi del Regno Unito. Aiutato da un professore di chimica arrivò già allora alle stesse conclusioni di oggi. Ecco che la parola ricerca viene sempre fuori e abbinata anche ai campionati baristi. Ce ne accorgiamo tutti i giorni con un banalissimo cupping prendendo lo stesso caffè, la stesa macinatura, stesso tutto, solo con acque differenti il gusto cambia. O meglio i sentori possono essere quelli. Ma il gusto, l’acidità, dolcezza e corpo, cambiano. E gli scienziati di Camerino ci hanno spiegato le ragioni intime, molecolari, di questi risultati. È stato molto interessante scoprirlo».
È anche emerso, con grafici e formula oltre che nasi artificiali e strumenti che non sbagliano, che l’estrazione delle macchine professionali tradizionali è diversa e soprattutto migliore di quelle super automatiche. Lo ha detto il professor Chahan Yeretzian, lo hanno confermato altre ricerche. Viva i baristi?
«Grazie a Dio che funziona così. Non sono un fan delle macchine super automatiche. Anche se mi piacerebbe una semi automatica, quindi buona estrazione del caffè, che lasciasse al barista più tempo per parlare con il cliente per spiegargli il caffè, il processo di estrazione. Anche a Host avevo visto un robot che prepara il cappuccino. Ma sono totalmente d’accordo con il professore del Politecnico di Zurigo. Perché alla super automatica manca la professionalità, la mano, la malizia del barista professionista. Piccole cose che fanno la differenza in tazza che anche gli strumenti hanno misurato. Ma io lo sapevo già. Però le conferme e del livello sentito a Camerino fanno sempre del bene».
Un viaggio lungo da Firenze a Camerino. Ne valeva la pena?
«Sì. Come vale sempre la pena prendere un aereo e andare dall’altra parte del mondo. Se si ha la passione, la voglia di andare alla ricerca, per tenersi al passo di quello che si vuole conoscere e trasmettere al cliente finale».
Un bell’investimento però, costi e mancato lavoro.
«Lo so, ma deve essere un lavoro di squadra come succede sempre in tutte le competizioni. Il campione da solo non può più nulla, oggi. Questo lo dobbiamo capire, soprattutto noi come Italia. E vale anche per gli imprenditori che vogliono aprire delle caffetterie, vogliono puntare sulla qualità. Cerco sempre di stimolarli per investire il più possibile sui loro baristi. Le competizioni, la preparazione alle gare non sono una perdita di tempo. Quello che ricerco lo vado a trasmettere il giorno dopo al cliente finale. È quello che è successo a me quest’anno. Ho avuto la possibilità di avere come sponsor diverse aziende che mi hanno permesso di arrivare sino a Seul, al Mondiale»·
Restiamo un attimo al Mondiale per una curiosità, una spiegazione. Molti ci hanno chiesto se e quanto il caffè sia importante per il risultato finale.
«Io spero sempre che il caffè non sia importante per il risultato, che non sia la cosa principale. Che deve essere andare a trovare il nesso giusto, il filo logico tra l’argomento principale e il caffè, le tazze che si vanno a presentare ai giudici. Questo è il tema, lo scopo del Wbc, il campionato mondiale baristi caffetteria».
Però ci sono i giudici sensoriali.
«Sì, se il caffè risponde bene e l’argomento principale, il messaggio all’industria del caffè funziona. Certo, il caffè deve essere buono, il barista deve saper scegliere. Poi deve saper estrarre. Non serve un caffè costosissimo, serve, e insisto se possibile, portare un tema adeguato».
In finale 5 baristi su 6 usavano lo stesso caffè Geisha, stessa specie botanica anche se di provenienza differenti.
«Purtroppo. Non sono positivo su questa situazione. Anche perché in gara l’80% dei concorrenti portava questo caffè. Che non dico non sia buono. Tutti vorrebbero assaggiare un Geisha con le sue note floreali, la sua dolcezza, le sensazioni che lascia. Ma quello che conta è la ricerca. Posso dare per scontato che il mio Geisha possa andare in finale. Anche se sono contento che nella sfida decisiva, nella finale, non abbia vinto un Geisha come negli anni precedenti».
«Andare alla ricerca di un caffè che abbia altre caratteristiche è importante. Si tratta di scegliere di cambiare. Perché ogni giudice che si trova ad assaggiare, concorrente dopo concorrente, il medesimo caffè, la stessa varietà botanica, con le stesse note aromatiche, può dare un giudizio migliore davanti ad un caffè che sorprenda. È oggettivo. Tutti dovremmo andare più alla ricerca di caffè nuovi, diversi, piuttosto che scegliere la stessa varietà botanica che domina da due-tre anni a questa parte».