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venerdì 22 Novembre 2024
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Marzia Viotti, in Uk: “Prima il 15% dei baristi era italiano, ora sono scesi al 10% per effetto di Brexit e del Covid”

La trainer racconta: "Sono stata fortunata a trovarmi già qui prima della Brexit. Nelle condizioni in cui mi trovo ora, nonostante abbia avuto modo di costruire la mia presenza e professionalità nella coffee industry e sia ancora in costante crescita e aggiornamento, oggi non avrei i requisiti per entrare in Uk"

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LONDRA – È stata una delle donne che ha contribuito a raccontare il settore dal punto di vista femminile, quando nel 2019, ancora lontani dall’incubo pandemico, aveva condiviso su queste pagine la sua esperienza di professionista del caffè messa a servizio del punto Sevengrams di Londra e ora in qualità di product advisor per Ikawa: Marzia Viotti continua la sua crescita all’estero e ci aiuta a interpretare quello che sta succedendo oltre i confini italiani nel mondo dell’horeca e dell’industria caffeicola. Se il personale rappresenta un punto critico nello Stivale, in Uk è un problema altrettanto complesso e interessa ancora una volta gli italiani. Ne abbiamo parlato con lei.

Marzia Viotti, molti italiani stanno lasciando la Gran Bretagna, soprattutto baristi e ristoratori. Quali sono le condizioni che portano a questa scelta? Se n’è accorta anche lei dal suo punto di vista?

“In effetti è vero. Soprattutto i baristi e i ristoratori hanno iniziato ad andarsene già da qualche tempo. Mi sono accorta che tanti italiani sono tornati in patria per due motivi: innanzitutto per la Brexit e poi naturalmente per il Covid. Nella prima ondata in particolare, tanti si sono spaventati e sono tornati a casa. Il lockdown è stata una dura prova per i locali, che hanno chiuso senza possibilità di supplire con l’asporto.

Quando poi è arrivata anche la seconda ondata c’è stata un’accelerazione del fenomeno: in Uk tante aziende hanno ricevuto soldi dal governo anche per aiutare gli imprenditori, e gli stipendi dei lavoratori rimasti a casa per colpa del lockdown sono arrivati dallo Stato. Quindi i dipendenti dei locali sono rimasti fermi ma hanno comunque ottenuto l’80% del salario erogato dal governo, con la semplice attivazione di una procedura semplice che agiva nel giro di pochi giorni.

Allo stesso tempo anche molti locali hanno ricevuto sostegni per pagare affitti e bollette. Tanti e non solo gli italiani, ma anche i polacchi e i rumeni (le più grandi categorie di lavoratori in Inghilterra per quanto riguarda la ristorazione) hanno usufruito di questa possibilità senza dover restare però in Gran Bretagna. Hanno continuato perciò a percepire lo stipendio potendo star lontano dal posto di lavoro.

Quindi che cosa è successo? Due cose: quelli che hanno riavuto indietro i posti di lavoro sono tornati in Uk, molti altri sono rimasti nel loro paese d’origine perché a causa della Brexit non avrebbero potuto restare in regola. Con le ondate successive questo fenomeno si è ripetuto e rafforzato, soprattutto per le fasce di lavoratori dallo stipendio medio basso, proprio come quelle del cameriere e del barista.

Dopo queste fasi si è arrivati al contesto attuale con l’entrata in campo effettivo della Brexit: ora per poter tornare in Uk, non è sufficiente più prendere l’aereo, ma è necessario per forza aver già un impiego e un determinato stipendio. E non solo, perché il datore di lavoro che vuole assumere nuovo personale, deve accedere a una banca dati pagando una grossa cifra, per richiedere il dipendente che non deve poi esser una figura professionale che già si può rintracciare in Uk.

I baristi quindi sono spariti: chi c’era è tornato in Europa. E chi vuole far esperienze all’estero non può più venire qui. Ora c’è un grande problema di personale: non si trova più nella ristorazione a tutti i livelli, dai baristi ai lavapiatti, sino ai responsabili e agli chef. Questo ha portato le aziende ad innalzare gli stipendi per attrarre personale, sino al 10% e al 15%, e a fornire dei benefit come ad esempio la formazione. Ci sono ristoranti che chiudono due o tre sere, oppure a pranzo, perché non c’è chi copre i turni.”

È qualcosa che sta valutando anche lei, oppure resta vantaggioso rimanere in Uk?

Marzia Viotti è sincera su questo punto: “È certamente diventata una sfida quotidiana restare, ma quello che ho qui, in Italia non lo trovo. Lavoro per un’azienda inglese dove sono l’unica italiana su 50 persone. Ho visto una differenza proprio nel reparto di risorse umane, nel modo in cui si viene coinvolti nella vision dell’azienda, negli obiettivi personali e di team, in maniera molto onesta. Si è ascoltati, rispettati: in Italia si
butta tutto sul ridere. Dal punto di vista professionale ci sono tantissime possibilità di crescere, se lo si desidera.

Lavoro con Ikawa da pochi mesi e già mi sono ambientata: mi chiedono e coinvolgono nei processi, valorizzandomi attraverso tanti stimoli con programmi di formazione ben definiti, con uno stipendio ben commisurato e tanti benefit. In Inghilterra mi trovo molto bene e Londra mi dà tanto come città. Purtroppo ora si è un po’ limitati a causa del Covid e la tranquillità di andare per musei non c’è, ma è una situazione temporanea.

Sono stata fortunata a trovarmi già qui prima della Brexit. Nelle condizioni in cui mi trovo ora, nonostante abbia avuto modo di costruire la mia presenza e professionalità nella coffee industry e sia ancora in costante crescita e aggiornamento, oggi non avrei i requisiti per entrare in Uk. È un sistema a punteggio: bisogna esser laureati, aver un certificato linguistico di almeno un B1, avere già un lavoro con circa 26.500 pounds all’anno. Si spera che aggiustino il tiro e allentino le maglie su alcune categorie. I locali cercano ma non trovano.”

Esiste un dato numerico sulla presenza dei baristi italiani in Uk?

“Il dato preciso non lo conosco. Ma c’è sempre un italiano in qualsiasi locale, di solito. Di baristi ora ce ne sono pochi, perché chi è rimasto svolge ruoli di management e di responsabilità. Il “push the button” non c’è, il barista con poca formazione è tornato a casa. Ci sono molti che fanno impresa e aprono un loro piccolo locale, un ristorante o una torrefazione. Su 100 baristi, 10 dovrebbero esser italiani, saremo al 10% attualmente, considerando che prima erano sul 15/20% del totale (35% Polonia, 30% Romania e il 15%
Italia.) “

Ci sono sempre caffetterie di proprietà di aziende italiane? Sono diffuse? Sono specialty o più tradizionali?

“Ci sono quelli piccoli che aprono e si occupano di specialty. Mentre per quanto riguarda le caffetterie più commerciali, c’è stato di notevole l’apertura di Lavazza a Londra che ora si sta spostando sullo specialty e sta rivoluzionando l’offerta di questa bevanda. Ora chiaramente è tutto più fermo per l’incognita del Covid e i consumi si sono spostati online. Si lavora da casa, come me sono in tantissimi, e la città si svuota. I locali che chiudono sono davvero tanti.”

E con il Covid, le cose sono cambiate per l’horeca? In che modo?

“Come ho detto prima, molte attività sono state sostenute dal governo con diversi fondi. Chi stava molto bene prima, ora ha retto e ha coperto le spese grazie al sostegno statale. Tantissime catene hanno ridotto il numero degli shop, come Costa, Pret à Manger, Starbucks e Caffè Nero, mantenendo aperti solo quelli più produttivi a orari ridotti. Ci sono grandi piani di investimenti per il 2022-2023: hanno chiuso normalmente l’anno scorso, Gail’s s e Pret à Manger che stanno pensando all’apertura di piccoli punti vendita in diverse
zone dell’Inghilterra. Quindi dal grande locale si passa al piccolo spazio.

Le aziende si stanno muovendo quindi verso dimensioni più modeste, mentre i piccoli hanno chiuso, e gli altri galleggiano intanto che si raggiunge la primavera e l’estate con il turismo che torna dall’est Europa, dalla Cina e dagli Stati Uniti.”

E come si sta reagendo ai rincari di tutte le materie prime, gas ed energia?

“Per ora non ci sono stati rincari sulle materie prime, se non minimi. Ma qua i prezzi erano già alti da prima: non si è passati da un euro a un euro e cinquanta nel giro di poco, qui il caffè costa due pound normalmente. I consumatori che sono più sensibili al prezzo, sono coloro che frequentano le catene. Qua è diverso dall’Italia: Starbucks con la Roastery di Piazza Cordusio ha fatto il contrario di quello che è successo in Uk. Qua i punti della catena sono posti un po’ più da fast food e quindi chi li utilizza fa attenzione ai prezzi e guarda con più sospetto le caffetterie specialty dove si paga di più perché si beve meglio: in questi posti, chi va è consapevole della qualità di ciò che paga. I rincari sull’energia e sul gas sono stati alti e riguardano tutti, come cittadini, non solo nel bar e ristoranti quindi, che non hanno però caricato sui prezzi del menù. Ci sono proteste rivolte al governo per abbassare queste utenze.”

Marzia Viotti, ci sono anche problemi con i rifornimenti dall’Italia?

“A causa degli autisti che mancano – per la Brexit – ci sono stati problemi di rifornimenti. Ancora per la Brexit, con le richieste di documenti aggiuntivi soprattutto per i prodotti di origine alimentare, è tutto diventato particolarmente difficoltoso per i piccoli importatori. C’è questa problematica. Vedo ogni tanto scaffali vuoti, ma non c’è carestia. Le partnership con il governo non mancano: oggi ho acquistato del basilico che arrivava dall’Etiopia. Mi chiedo perché non lo importino dall’Italia, ma probabilmente è proprio per via degli accordi con questi altri Paesi. Dall’Italia arriva solo qualcosa di alta qualità e questa è la percezione che ne ha il pubblico qua.”

Come ha affrontato e come sta affrontando Marzia Viotti la pandemia

“Da professionista del caffè, il 2020 è stato tremendo. Sicuramente è stata l’esperienza più brutta che abbia mai passato, perché ho avuto la sensazione di aver perso un’occasione per poter sviluppare di più le mie competenze. Questo a causa dell’arresto su tutte le attività prolungato. Però questo non mi ha impedito nel 2021 di cambiare lavoro e di fare nuove esperienze, sempre trovando un’azienda dove continuare a crescere e a fare carriera nel mondo del caffè. Che propone sempre qualcosa di nuovo ogni giorno. È in continua evoluzione. Ha bisogno di esser coltivato nelle relazioni e nella formazione. “

Quindi non lavora più per Sevengrams?
“No, ormai da diverso tempo, ma ho comunque ottimi rapporti con loro. Lavoro per un’azienda che si chiama Ikawa, leader nella produzione di sample roasters, macchine che servono principalmente per la valutazione del verde. Mi occupo sia di formazione per il personale interno, che del supporto come product advisor per il cliente. Ho cambiato perché da 4 anni ho deciso di non lavorare più sul campo dietro a un banco, ma di occuparmi di formazione e supporto ai baristi.

A un certo punto è diventato molto faticoso fare la barista. Ho deciso di puntare più sul training. L’alternativa sarebbe stata quella di aprire un mio locale, ma bisogna esser molto coraggiosi: è certo che a Londra è più facile fare impresa perché ci sono meno ostacoli burocratici, (per esempio in UK le regole per l’Haccp sono più semplici e non c’è l’ASL) e la procedura è molto semplificata. Qua ci sono locali che in Italia non aprirebbero neppure la porta. Ora però non ho sufficienti energie, non sono più giovane e non posso più fare quel tipo di sacrificio.”

Che cosa si aspetta per questo 2022 Marzia Viotti?

“Mi aspetto che si riapra, che riparta soprattutto il mondo delle fiere e delle manifestazioni per poter finalmente vedere le persone e riprendere il contatto umano, che è fondamentale. Voglio connettermi nella realtà, viaggiare, fare meeting, incontrarmi ed espanderci di più stringendo relazioni positive con il prossimo.

Per il settore delle attrezzature il presente e il prossimo futuro vede l’espansione particolarmente negli Stati Uniti e nell’Est asiatico, mentre in Europa la situazione è stagnante e in Italia è in recessione. Mi auguro che nel nostro Paese si possa ricominciare a reinvestire e diventare più flessibili, soprattutto nel training del barista. Si deve avere più formazione per creare professionisti e così nutrire tutta la filiera sino al consumatore.
Servono personaggi come Francesco Sanapo, Chiara Bergonzi, che hanno una voglia incredibile di condividere e diffondere la cultura della bevanda.”

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