MILANO – I temi che interessano un comparto attivo come quello della torrefazione italiana sono tanti e di particolare complessità: per affrontarli, ci siamo rivolti al presidente del Comitato italiano del caffè Mario Cerutti, che ha condiviso il suo punto di vista sul contesto attuale piuttosto critico, tra rincari e difficoltà logistiche, cambiamento climatico e impatto ambientale. Tutti aspetti da affrontare insieme nella prospettiva di crescita per gli attori di una filiera lunga e articolata.
Si è tenuta l’assemblea annuale del Comitato italiano del caffè di cui lei è il presidente da anni: quali sono gli argomenti principali d’interesse per tutte le torrefazioni italiane emersi nel corso dell’incontro che ha avuto una folta partecipazione?
“Nel corso dell’Assemblea del Comitato italiano del caffè, che ha visto la partecipazione di 42 rappresentanti d’azienda, sono stati affrontati alcuni tra i temi più sensibili e attuali per il comparto. Dalla delicata situazione economica nazionale, a causa degli incrementi delle materie prime – il caffè è raddoppiato in pochi mesi -, dell’energia e della guerra tra Ucraina e Russia; agli esiti e possibili strategie per la candidatura Unesco del caffè espresso italiano; alle tematiche di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, con un aggiornamento sulle più recenti proposte normative a livello europeo; al piano comunicazione, per l’anno 2022, del Consorzio promozione caffè. Devo dire che anche come cittadino e consumatore, questa inflazione è ormai un dato di fatto preoccupante.”
Cerutti, come va il mercato italiano e in particolare l’andamento dei consumi interni? Mentre la situazione dell’import e dell’export?
“Il Covid ha portato a degli importanti cambiamenti nei consumi, con una diminuzione del fuori casa, chiaramente dovuta alla chiusura per molti locali che ha determinato al calo della domanda. Al contrario è aumentato il consumo indoor. Anche l’esportazione sta procedendo bene: l’Italia da molto tempo è un Paese che trasforma la materia prima e le conferisce un valore aggiunto. Quasi la metà del caffè importato viene torrefatto ed esportato, con il savoir faire del made in Italy e la capacità di miscelazione e selezione.
Gli ultimi dati ISTAT, elaborati dal Comitato italiano del caffè, per il periodo gennaio/dicembre 2021, evidenziano un aumento del 9,23% del caffè trasformato in Italia (10,1 milioni di sacchi) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le importazioni di caffè verde sono in crescita dell’8,8% (10,3 milioni di sacchi), le esportazioni di caffè torrefatto sono in aumento del 13,2% (5,3 milioni di sacchi), i consumi apparenti sono in aumento del 4,2%.”
Una volta aveva affermato lei stesso che con l’export l’Italia riusciva a pagarsi tutto l’import del caffè: siamo ancora a questo punto?
“Ora è ancora così ma un po’ meno soprattutto a causa del rincaro delle materie prime, ma ci manteniamo molto vicini. Da una parte è evidente un peggioramento dovuto all’aumento del prezzo della ragione di scambio, ma dall’altro lato il volume sta aumentando. “
Siamo formalmente autonomi sul caffè: generiamo utili con le esportazioni e ora anche qualcuno coltiva il chicco in Sicilia
“Dal punto di vista puramente economico finanziario, sì. Certo ora in Sicilia stanno comparendo coltivazioni di caffè: è curioso, ma da un altro punto di vista, è un sintomo allarmante del cambiamento climatico.”
Cerutti, quali sono in questo momento i principali problemi per i torrefattori italiani, che sono sostanzialmente gli stessi dei torrefattori europei?
“La delicata situazione economica nazionale, a causa degli incrementi delle materie prime,
dell’energia e della guerra tra Ucraina e Russia ed il tema della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Molto si riflette sulle catene logistiche e di trasporti: i problemi che oggi esistono sugli shipping e la monetizzazione delle merci hanno portato alla scelta dei container obbligata e questo crea gravi difficoltà perché il loro traffico è totalmente sbilanciato.
Si parla di un blocco quasi totale del porto di Shanghai in questi giorni ad esempio. Chiaramente il caffè non viene esportato dalla Cina, ma in realtà il problema è molto più grave di quello che può sembrare: non ci sono contenitori che escono da Shanghai con le merci dell’esportazione e anche chi deve entrare per portare i prodotti ed esser riportati anche vuoi altrove, trova il meccanismo tutto rallentato.
In alcuni mercati quindi, per esempio il Brasile, la mancanza fisica della disponibilità di container provoca una serie di difficoltà su vari fronti.”
Come gestiscono i torrefattori il problema dei trasporti?
“Bisogna resistere: ci sono stati dei tentativi di trasporto dei big bags in stiva, come si faceva a fine ‘800. Alcune cose che servono per raggirare l’ostacolo si stanno portando avanti, ma sono degli esperimenti che non possono esser una soluzione a lungo termine.
Il tema della sostenibilità economica è considerato dalle aziende di particolare importanza e, negli ultimi due decenni, le nostre aziende hanno lavorato e promosso un’ampia gamma di iniziative per il miglioramento delle condizioni di vita di milioni di piccoli agricoltori dedicando al contempo risorse per ridurre al minimo l’impatto della produzione di materie prime, la loro trasformazione e i processi logistici.”
È stato un po’ il refrain della recente conferenza Re:co di Boston: sarà necessario individuare nuove varietà oltre Arabica e Robusta perché non funzionano più, pur coltivando più in alto. Quali nuove soluzioni si affacciano?
Cerutti: “In effetti l’aumento dell’altitudine media delle coltivazioni di caffè, che non è un’operazione da poco – si stimano circa 150 metri di altitudine ogni grado di aumento di temperatura media – non può essere la soluzione. Pensiamo a un dato: il caffè pur essendo una materia prima tra quelle di maggior valore sia economico che politico considerando la grande manodopera che coinvolge la sua produzione e quindi il business che rappresenta per molti Paesi e il loro reddito di esportazione, esiste in 111 varietà conosciute e selezionate al mondo.
Delle fragole, che generano un valore minore, sono presenti al mondo 6.430 varietà. Questo sarebbe simile per altri prodotti come mais e pomodori e dimostra quanto nel caffè, per vari motivi, c’è stato un sotto investimento nell’individuare nuove specie e nello svilupparle. Nell’incrociare diverse varietà per generarne nuove, per risolvere così alcuni problemi contingenti.
Certamente c’è bisogno di fare ricerca. Il World coffee research è un gruppo no profit che conduce degli studi e sono in pochi altri a farlo, per trovare delle varietà più adatte a sopravvivere al cambiamento climatico, senza coltivare ad altitudini più alte e che rispondono meglio a fenomeni di piogge differenti. Ovviamente un altro tema importante è la riduzione dei pesticidi e altri fattori che devono esser cambiate.
Molto importante, anzi indispensabile, questo aspetto della ricerca per fronteggiare un problema che diventerà sempre più serio e che non può esser risolto con il semplice spostamento delle coltivazioni più alto. Cosa significherebbe per chi ha le piantagioni trecento metri più in basso? Non è detto che tutti abbiano i mezzi e l’occasione per farlo. Oltre al fatto che diventa più difficile anche coltivare in condizioni diverse.”
Cerutti e sul fronte dell’energia come è la situazione?
“La situazione attuale di crisi crea incertezza sul futuro e sulla possibilità di sostenere gli impatti economici conseguenti. La nostra Organizzazione, al fine di valutare l’impatto dei rincari dei costi dell’energia elettrica e del gas sul sistema produttivo italiano, ha avviato un’indagine tra i soci e, sulla base dei dati raccolti, ha elaborato due comunicati stampa e partecipato attivamente al tavolo di lavoro organizzato dal Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. La tematica è oggetto di continuo monitoraggio ed i soci sono aggiornati sui provvedimenti adottati dalle Istituzioni.”
Di recente abbiamo intervistato Marco Matos direttore generale Cecafé ed è emerso, tra gli altri, il tema del rapporto tra caffè e deforestazione. Che cosa ci può dire in proposito?
“Sebbene sia stato riconosciuto che il caffè ha un ruolo modesto rispetto alla deforestazione globale, il nostro settore mantiene alta l’attenzione sul tema e si impegna ad anticipare e a gestire i rischi dell’impatto negativo che tali cambiamenti avrebbero sull’ambiente per evitare la perdita di biodiversità e di risorse naturali.
La nostra Organizzazione, il Comitato italiano del caffè, in coordinamento con le Associazioni europee di riferimento. L’Ecf European coffee federation, condivide gli obiettivi perseguiti dalla recente proposta legislativa della Commissione europea per l’approvvigionamento di prodotti non associati alla deforestazione, anche se vi sono delle problematiche tecniche da superare. È nostro desiderio aumentare la trasparenza e la tracciabilità lungo tutta la catena di approvvigionamento.
Il problema è di ordine pratico: come realizzare ragionevolmente questo obiettivo. Il caffè proviene da un numero pari tra 12 e 25 milioni di piccoli produttori nel mondo, per circa 75/80% del chicco prodotto. In un container ci stanno 300 sacchi di caffè e potrebbero quindi esserci 150-200 produttori che hanno contribuire a creare quel lotto: avere una tracciabilità significa avere informazioni su tutti questi coltivatori. Il caffè poi viene mischiato e quindi di fatto non potrà essere una rintracciabilità. Gestire questi dati, volumi, traffici, considerati i tanti passaggi che il verde conosce tra paesi e zone critiche, è piuttosto complesso.
Infatti, gli operatori del settore sono preoccupati per quanto riguarda i requisiti di tracciabilità lungo la filiera, in particolare con riferimento all’utilizzo della geolocalizzazione per collegare i dati relativi al livello dell’appezzamento agricolo con quello del prodotto immesso sul mercato europeo.
L’approccio unico dell’attuale proposta per conformarsi agli obblighi della regolamentazione non tiene conto delle realtà pratiche, sia logistiche che normative, che differiscono notevolmente per tipologia di materia prima ed aree di approvvigionamento. Stiamo quindi cercando soluzioni tecniche adattate per il caffè, che confidiamo non solo contribuiranno alla discussione, ma supporteranno anche gli importanti obiettivi della proposta stessa.
Infine, sarà importante poter contare su un supporto economico per i paesi di produzione per incoraggiare la transizione verso una gestione sostenibile delle foreste e delle pratiche di utilizzo del suolo. Misure come le certificazioni di terze parti, i sistemi standard volontari e i programmi privati di sostenibilità, giocano un ruolo fondamentale nel compiere progressi nelle sfide sociali, ambientali ed economiche nelle filiere dei prodotti agricoli.
Personalmente ho richiesto ad alcuni colleghi dell’Ico, in quanto ente legato al caffè, di fare uno studio statistico che dimostra come, prendendo in riferimento la produttività media nel mondo – più o meno intorno a 13-15 sacchi di caffè per ettaro – si potrebbe immaginare che i Paesi che attualmente producono al di sotto di questo dato – e sono la metà del contesto globale – potrebbero arrivare a produrre almeno quanto la media odierna, trasferendo messaggi semplici di pratiche agricoli: in questo modo la quantità di caffè coltivata sarebbe tale da permettere per alcuni anni il rifornimento dei mercati senza problemi e deforestazione. Si spera che ci siano affiancate delle attività di ricerche: uno dei vari tratti da ricercare sono quelli che permettono di coltivare più caffè con meno impatto ambientale.”
Un’anticipazione: si terrà a Milano in parallelo al WOC, a fine giugno, l’assemblea del’ Ecf, European coffee federation, la prima in presenza dopo tre anni. Si terrà nella stessa città dove, durante l’Expo di Milano nel 2015, fu proclamata la giornata internazionale del caffè per il primo ottobre di ogni anno. Chissà che da quest’altro appuntamento non derivino novità
“Sicuramente sì. Siamo molto contenti che sia stato scelto di riunirsi a Milano proprio in occasione del World of Coffee che è previsto dal 23 al 25 giugno. I delegati, i partecipanti, in qualche modo potranno trarre beneficio dalla location anche dal valore storico. Ci sono diversi temi da discutere e quindi sarà una riunione decisiva, innanzitutto perché erano tre anni che non ci si incontrava di persona.
A livello europeo, la deforestazione, governance, sostenibilità, sono tutti argomenti da affrontare. Speriamo di trovare un clima favorevole di scambio e se così sarà potrà esser un momento per tutti i nostri torrefattori italiani per partecipare al council e assistere a una giornata di lavoro e dialogare con colleghi europei.”
Cerutti, altro tema caldo è la compostabilità delle capsule: come è lo stato dell’arte?
“Le capsule sono una soluzione alle nuove modalità di consumo richieste e offerte, però allo
stesso tempo rappresentano un punto critico per quanto riguarda l’impatto ambientale. Ci sono diversi materiali utilizzati per produrle: questo è normale e avviene per qualsiasi articolo da sviluppare con determinate caratteristiche. Una delle possibili strade è quella di immaginare che il mondo delle capsule venga riunito in un materiale unico, ma equivarrebbe a bloccare tutte le possibilità di evoluzione di questo prodotto.
L’altra difficoltà, che è la principale, è che ogni paese europeo ha le proprie regole. C’è anche un ulteriore livello e lo vediamo bene in Italia: nell’ordine dei raggruppamenti e delle città, le norme sono ancora diverse. Per cui differenziare è un po’ complicato. Nel tempo le tecnologie di trattamento di raccolta si sono evoluta e quindi oggi le cose sono cambiate. Tutto quindi è spiegabile ma resta il fatto che a livello europeo crea una quantità di casistiche impressionante.
Da qui derivano una serie di politiche differenti: in Italia il materiale compostabile ha un proprio sviluppo legato alle possibilità e prettamente industriale, in Francia invece si pensa al compostabile come quello domestico; in Germania il compostabile è molto scoraggiato perché, secondo le normative tedesche, il residuo che può esserci nel processo non è ritenuto coerente.
Non è così facile cambiare le norme, perché significa anche mettere a posto tutti gli impianti di riciclo e compostaggio attualmente operativi. La regolamentazione europea sugli imballaggi e sui rifiuti d’imballaggio e la direttiva quadro sui rifiuti sono in corso di revisione da parte della Commissione Europea, la quale, inoltre, sta lavorando su una proposta di regolamento quadro sulle bioplastiche, le plastiche biodegradabili e compostabili. Il tema delle plastiche compostabili è pertanto all’attenzione del legislatore.
La Federazione europea del caffè, in coordinamento con le Associazioni nazionali, ha chiesto alle Istituzioni di mantenere, per gli operatori, la libertà di scelta dei materiali.”
Molti torrefattori stanno facendo grandi sforzi anche sul tema della riciclabilità, per esempio con packaging completamente in plastica, quindi non poliaccoppiato, riciclabile 100%. Che cosa si può dire sul futuro di questo aspetto?
Cerutti: “Il packaging del caffè è ciò che garantisce la conservazione del caffè al suo interno: se si perde questa funzione, è inutile. Il caffè assorbe l’umidità, l’ossigeno favorisce l’ossidazione e quindi è un prodotto che va protetto da più elementi: il suo packaging per questo dev’esser complesso. Ci sono dei meteriali che sono dei pluriaccoppiati, con uno strato di plastica e uno di alluminio per esempio: un risultato molto sofisticato che tuttavia presenta problemi di smaltimento finale.
Nel tempo sono stati sviluppate delle plastiche 100% di un polimero unico e questo determina dei buoni risultati in termini di conservazione, e poi è facilmente riciclabile. Come Associazione stiamo lavorando con l’obiettivo di individuare una soluzione sostenibile, da un
punto di vista sia ambientale che economico, per il recupero e la valorizzazione dei materiali oltre che della parte organica.
A breve si concluderà il progetto ReCap nella Regione Friuli-Venezia-Giulia, gli esiti dello stesso saranno valutati in sede associativa per verificare se ci sono i presupposti per esportare il modello su tutto il territorio nazionale. Attraverso costanti investimenti in ricerca e sviluppo, il comparto caffè lavora per migliorare l’efficienza delle risorse, ridurre gli sprechi a ogni livello della filiera e limitare l’impatto ambientale.
Insieme ai nostri associati lavoriamo con una rete di stakeholder, dai fornitori di materie prime ad aziende specializzate nello smaltimento dei rifiuti post-consumo, con l’obiettivo di raccogliere informazioni, perfezionare i processi e procedere ad investimenti volti a minimizzarne l’impronta ambientale dei prodotti. Il Comitato italiano del caffè si confronta regolarmente con le istituzioni nazionali ed europee per promuovere e facilitare politiche volte a favorire produzioni sostenibili, anche per i materiali di imballaggio, a beneficio e nell’interesse dei consumatori.”