MILANO – La tracciabilità è un termine che fa rima con sostenibilità e non solo foneticamente: queste due caratteristiche sono sempre più richieste da aziende e consumatori, per esser finalmente sicuri di sapere che cosa mangiamo e beviamo. Da dove arriva il caffè per esempio? E siamo sicuri che sia frutto di un lavoro che rispetta l’ambiente e i coltivatori? Tutte domande che trovano risposta nel futuro del chicco brasiliano. Leggiamo l’intervista al direttore generale del Conselho dos esportadores de Cafe brasileiro (Cecafé), Marcos Mattos, ed alla direttrice esecutiva della Associacao Brasileira de Cafe’s Especiais (Bsca), Vanusia Nogueira da ragionierieprevidenza.it.
Mattos e Nogueira raccontano il futuro sostenibile e tracciabile
Una produzione pionieristica per quanto riguarda gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, caratterizzata da “sostenibilità” e “tracciabilità”: è quella del caffè brasiliano, una delle principali voci delle esportazioni dal Paese sudamericano secondo la direttrice esecutiva della Associacao Brasileira de Cafe’s Especiais (Bsca), Vanusia Nogueira, e il direttore generale del Conselho dos esportadores de Cafe brasileiro (Cecafé), Marcos Mattos.
L’agenzia Dire li ha intervistati dopo una tre giorni di fiera online sul foodservice dolce, Sigep Exp, che ha visto la presenza anche di realtà del caffè brasiliano. Mattos ha fornito alcune coordinate della sostenibilità del prodotto, sia dal punto di vista ambientale che economico.
Stando alle regole stabilite dal Codice forestale nazionale una porzione molto significativa di territorio, che tocca l’80 per cento nella regione amazzonica, deve essere preservata e non può essere impiegata per la produzione” ha sottolineato il dirigente, evidenziando anche un altro aspetto, relativo alla suddivisione dei proventi della vendita del caffè. “Tra l’80 e il 93 per cento del prezzo del prodotto finale che esportiamo torna nelle tasche dei produttori” afferma Mattos: “Un dato molto significativo se pensiamo che nel resto del mondo si aggira in media tra il 40 e il 65 per cento”.
Numeri che indicano chiaramente, ha evidenziato Nogueira, “che la stragrande maggioranza del caffè che esportiamo è tracciabile”. Secondo la direttrice della Bsca, infatti, “fin dagli anni ’90 in Brasile si è lavorato sulle certificazioni della filiera e ora possiamo dire di essere il maggior produttore al mondo di caffè che presenta queste garanzie”. Tra i “bolli” che attestano la tracciabilità del prodotto ce ne sono di internazionali, ha ricordato Nogueira, come “Rainforest Alliance o Starbucks C.a.f.e. Practices”, ma anche di locali, come “Cerifica Minas, elaborato in uno degli Stati dove si produce il nostro caffè, il Minas Gerais”.
Se il Brasile è uno dei principali produttori, l’Italia è uno dei più importanti consumatori del prodotto finito
Soprattutto nella sua versione “espresso”, nota in tutto il mondo. Un legame forte tra i due Paesi, quindi, che vuole essere ulteriormente valorizzato. “Sono sempre di più i giovani italiani interessati al nostro enorme patrimonio di qualità speciali di caffè” ha detto Nogueira. Un mondo, quello del caffè prodotto dal gigante sudamericano, poco conosciuto, ha confermato Felipe Ribeiro, responsabile dell’ufficio agribusiness dell’ambasciata brasiliana in Italia, ascoltato dalla Dire in videoconferenza.
“Il nostro obiettivo è far conoscere di più questo prodotto; nei giorni scorsi ne abbiamo mandato campioni a un’accademia dell’espresso di Firenze e a un bar, in Nord Italia: sono rimasti sorpresi dalla sua qualità”.