MILANO – Marco Pizzinato, il creatore del progetto Pizzicoffe, ha nel suo curriculum i moduli sensory skill professional e barista skill professional Sca. Un passato da venditore e trainer che lo hanno portato a diventare distributore dedicato esclusivamente al mondo dello specialty coffee. Un’attività ambiziosa, coraggiosa persino, che vuole avvicinare il consumatore a una filiera più sostenibile in particolare dal punto di vista sociale.
Pizzinato, ma come è arrivato a voler diventare un professionista così specializzato? Lo specialty è un prodotto di nicchia: è un po’ una scommessa la sua
“E’ decisamente una bella scommessa. Mi darà del filo da torcere ma è una decisione a cui sono arrivato a piccoli passi. Lavorando nel mondo del caffè più commerciale per 20 anni, mi sono gradualmente incuriosito rispetto alla materia prima. Durante la formazione ai baristi è nato un problema: sentivo che le conoscenze che impartivo non erano abbastanza. Mi bloccava non poter dare delle risposte a delle domande banalissime: origini, tracciabilità erano dettagli sconosciuti e ci si fermava spesso ad una degustazione dei prodotti dell’azienda stessa per cui facevo da trainer. Si è rotto il primo muro quando ho seguito il corso Sensory basic Sca: è stato allora che ho realizzato che quello che avevo imparato sin lì, fosse decisamente un quadro incompleto.
Sui social casualmente mi sono accorto che la scuola di Davide Cobelli a Verona era alla mia portata geograficamente: anno dopo anno ho preso sempre più le distanze da ciò che insegnavo e vendevo. Ho imparato cosa fosse l’acidità e l’amaro, cosa si intendesse per tracciabilità. Qualcosa si è scardinato dentro di me, ridisegnando le mie stesse fondamenta professionali.
Ho pensato di diventare Ast di Sca, ma essendo un amante delle sfide sentivo che non era ancora abbastanza. Ho dovuto recidere totalmente il cordone ombelicale dal mondo commerciale. Pizzicoffee nasce da questa consapevolezza: è un progetto che è nato nel settembre 2021, quando ho iniziato a girare per varie torrefazioni all’estero e a degustare anche 3/4/5 caffè diversi alla settimana, alla ricerca della tostatura che mi interessava anche facendo cupping con differenti tostatori.
Casa mia era diventata simile a un coffee shop. Ho il freezer pieni di caffè sottovuoto. Nel mio percorso ho trovato quasi sempre degli interlocutori interessati. Attualmente collaboro con Tommaso Bongini di Gear Box – l’Italia nella mia offerta è il Paese su cui voglio più spingere – con Nordic Roasting & Co in Danimarca a Copenaghen, dalla Spagna con Three Markrs, Samba Coffee con la Grecia. Ho mediamente 8/9 referenze per torrefazione per un totale di 35 tra blend e monorigini. Le miscele sono state studiate per approcciare
chi è abituato a trattare caffè commerciale, e comunque raggiungono 84 di punteggio.”
Quindi sostanzialmente ci può descrivere il suo lavoro?
Pizzinato: “Viaggio molto in macchina naturalmente. Il mio target è un cliente commerciale con l’attrezzatura di proprietà: a lui propongo un prodotto specialty con prezzi in linea con quello che hanno già in listino. La mia fetta di clientela è un probabile 11% sul totale dei bar. Ho impostato il mio progetto su questi utenti. Non posso andare dal cliente commerciale che si basa sul comodato d’uso. Al massimo posso sperare di incontrare qualcuno che voglia fare lo switch da questo sistema verso lo specialty.”
Pizzinato, come racconta lo specialty a dei clienti che non hanno idea di cosa ci sia dietro la tazzina che servono?
“Parto dalle basi, un caffe specialty ha una differenza che possono avvertire immediatamente in tazza: non ha difetti sensoriali, ha dei flavour netti rispetto al caffè più commerciale, ha a suo favore una completa sostenibilità e tracciabilità. La mia difficoltà più grossa è arrivare al macinino: quando supero i primi ostacoli, a quel punto sono certo di convincere il cliente senza sforzi, perché ho tra le mani una materia prima che è una bomba a mano. Devo riuscire a captare un utente che ha un’apertura mentale o comunque predisposto ad ascoltare. Non è semplice: faccio tantissimi chilometri come investimento.
Capisco ormai subito quando non c’è modo di aprire il dialogo. In ogni caso spesso il primo approccio avviene con il blend, che ha anche un prezzo più accessibile. Lo storytelling e la qualità in tazza sono le chiavi. Il valore aggiunto è che affianco a questa proposta, l’offerta di formazione è inclusa: chi è mio cliente, può usufruire anche delle mie competenze per far fare un salto per l’operatore. Propongo un training direttamente al bar. “
Ma questa rete di clienti come l’ha scelta?
“Nelle zone limitrofe alla mia, Verona, Vincenza, Padova, Venezia e poi la Lombardia, ho già dei contatti storici che mi hanno aiutato indirizzandomi a dei clienti potenzialmente interessati. Così sono riuscito a sviluppare una lista di circa 150 locali da visitare. A questi aggiungo quelli che riesco a scovare su internet nelle mete in cui già devo andare e vado a visitarli.”
Un’altra scelta difficile è stata quella di escludere l’online dalla sua attività: ce la spiega?
Pizzinato racconta: “Ho escluso l’online perché il mio progetto si basa proprio sul principio di stabilire relazioni fisiche. Da questo punto di vista mi avvicino alla microroastery che di solito vende solo tramite ecommerce e che però non può contare spesso su una rete commerciale e su agenti che li aiutano ad uscire dai propri confini.
Allora ho pensato: perché non colmare questo vuoto nel mercato? Serve qualcuno che si metta in moto – anzi in auto – e che vada a proporre i prodotti di queste microroastery ai clienti che normalmente non avrebbero potuto raggiungere. Ho girato tanto e posso dire che tanti si lamentavano del roaster che vendeva materia prima senza mai incontrarsi. Manca un anello che faccia da ponte tra questi due mondi. Mi ha fatto riflettere: mantenere strette le relazioni con i propri clienti è essenziale per i torrefattori che però spesso non hanno tempo e risorse per coltivarle. Per questo ho tralasciato l’online: quello che mancava è proprio il face to face svolto da un distributore diretto. Allora entro io in gioco. La mia idea è quella di trattare il puro specialty. Per sostenere anche le origini della filiera.”
Pizzinato, ha ricevuto particolari lamentele nei suoi viaggi?
“Tantissime, quotidianamente. Ma penso che la responsabilità arrivi anche dai social: durante le mie ricerche, quello che vedo spesso come facciata dei locali su Instagram, poi nella realtà si rivela l’esatto opposto. Vedo anche molte incomprensioni proprio nei posti che appaiono più liberi dalle logiche di marche e di prodotti standardizzati, che poi si rivelano delle vere trappole. Vedo subito, scontrandomi nel concreto, che non sono clienti potenziali. Le difficoltà più grosse derivano da questo misunderstanding.”
Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
Pizzinato ha le idee chiare: “La mia idea di allargare il più possibile la conoscenza della bevanda specialty è il mio obiettivo primario. Lavorare affinché non sia più un prodotto di nicchia, ma che sia inclusivo. Per il futuro, il progetto è anche quello di portare il caffè filtro nei ristoranti di livello medio-alto, non solo i stellati.”
Come vede lo sviluppo dello specialty in Italia, avendo dei contatti diretti con chi deve somministrarlo?
“Sono convinto che il cliente finale stia già cercando qualcosa di una qualità più elevata della solita proposta che trova nei bar, senza però conoscere ancora che questo qualcosa si chiama specialty. Dobbiamo esser noi del settore a raggiungerlo e conquistare questa fetta di mercato. Il caffè delle piccole e medie torrefazioni e di quelle artigianali che producono solo premium, hanno prezzi concorrenziali. Dobbiamo farci conoscere in un confronto positivo.”