MILANO – Sempre più importante e centrale il ruolo di Cecafé nel mantenere elevati flussi di esportazione del caffè brasiliano, anche in tempi di pandemia e crisi logistica globale. Le iniziative dell’influente e autorevole Consiglio degli esportatori brasiliani di caffè sono state al centro di una tavola rotonda virtuale per operatori, che si è svolta venerdì pomeriggio organizzata dall’Associazione Italia Brasile in collaborazione con l’Ambasciata del Brasile in Italia, il Consolato Generale del Brasile a Milano e la Camera di commercio italiana a San Paolo (Italcam).
A fare gli onori di casa nelle vesti di moderatore Marco Scotti, redattore economico di Economymag.it. Relatori dell’evento il direttore esecutivo di Cecafé Marco Matos e Alessandra Almeida, direttrice esecutiva del Museo del caffè di Santos.
Ed è proprio ad Almeida che è spettato il compito di aprire l’incontro illustrando le attività di questa eminente istituzione museale brasiliana, che conta mediamente 350 mila visitatori all’anno, senza dimenticare gli oltre 100 visitatori virtuali e i circa 150 mila follower nelle reti sociali.
Attraverso ricerche, esposizioni, mostre temporanee, attività culturali e formative, il Museu do Café preserva e divulga la storia e le tradizioni del caffè brasiliano, che si intrecciano spesso con quelle del nostro paese, anche in ragione dell’intensa immigrazione italiana, che ebbe luogo nel periodo a cavallo tra l’ottocento e il novecento.
A Marco Matos è spettato quindi il compito di entrare nello specifico delle questioni tecniche afferenti la filiera e l’export.
Cecafé: carta di identità
Cominciando con una breve carta di identità di Cecafé, organizzazione nata nel 1999, i cui associati rappresentano il 96% dell’export brasiliano, con un flusso commerciale che ha raggiunto, negli ultimi 5 anni, 147 paesi. A monte, un comparto economico, quello del caffè, che occupa 265 mila produttori (Censimento Agrozootecnico 2017).
È interessante osservare che il 72% di questi produttori coltivano un’area inferiore ai 20 ha. E che il 78% di essi accede al Pronaf (Programma nazionale di potenziamento dell’agricoltura familiare).
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