MILANO – L’architetto Marco Bonetto, milanese, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, è uno tra i più noti designer internazionali. Si occupa di design da più di 30 anni con la funzione specifica di Design manager. È a capo della Bonetto Design, fondata dal padre Rodolfo, uno dei padri del settore in Italia. Lo abbiamo incontrato durante la trascorsa edizione di HostMilano.
Architetto Bonetto: quale è il percorso che ha portato un designer come lei a HostMilano allo stand de La San Marco?
“E’ una lunga storia. Mio zio Felice Bonetto era un famoso pilota di auto negli anni ‘50. Ha corso per Alfa Romeo, Ferrari, Lancia, vincendo parecchie gare. Poi, purtroppo, nel ‘57, durante la mitica Carrera Panamericana Mexico, è scomparso in un incidente.
Dall’altra, mio padre era un grande jazzista negli anni ‘50, suonava nel sestetto italiano con i famosi Oscar Valdambrini, Gianni Basso, Donadio. Poi ha abbandonato questa fortunata carriera per intraprendere la professione di designer. Che all’epoca erano prevalentemente architetti e poi disegnavano anche qualche oggetto. Mio padre è stato il primo ad esser un designer puro.”
Voi avete fondato quasi subito uno studio
“Nel 1957 mio padre ha fondato la Bonetto Design, che oggi ha 61 anni di storia. Io sono entrato al suo interno nel 1984 e poi dal ‘91, dopo la scomparsa di mio padre, ho continuato da solo. Ampliando l’attività, aprendo anche un ufficio in Cina. Occupandomi pure di altri settori che prima avevamo tralasciato.”
Le macchine del caffè: siamo nello stand de La San Marco, ma lei collabora anche con altri marchi
“C’è una ricorrenza storica dietro: mio padre disegnò negli anni ‘70 le famose M15 prima e la M20 dopo per La Cimbali. Quando ancora non c’era tutta l’attenzione che c’è oggi per il design delle macchine professionali per l’espresso. All’epoca la M15 fu definita la macchina più bella del mondo. La cosa interessante è che ancora oggi, a rivederla, magari cambiando il colore, resta una creazione straordinariamente moderna.”
Da qui, il suo feeling per le macchine professionali
“Sfortunatamente mio padre non continuò quella collaborazione. Lui era un personaggio che non badava molto al business. Piuttosto al sentimento che lo legava ai progetti e alle aziende. Non disegnammo quindi più macchine professionali per il caffè sino ai primi anni ’90, quando l’amministratore delegato di Rancilio, mi chiese di tracciare le linee dei fianchetti di una superautomatica. Da quella volta rientrammo nel mercato delle macchine del caffè e oggi disegniamo per molti brand.”
Che importanza ha il design per una macchina del caffè? Come nobilita queste attrezzature?
“Non è facile. Perché tutti pensano che un designer intervenga in maniera semplice in termini estetici. In realtà, il vero industrial designer deve adattarsi e rispettare una serie di parametri imposti dal produttore. Come un layout tecnico, un telaio o dei limiti tecnico-tecnologici. E, poi, il grande vincolo del costo produttivo. Ma la macchina del caffè professionale è diventata ormai interessante perché gli stessi bar hanno iniziato a diventare spazi raffinati. Gli architetti li fanno diventare dei luoghi molto ben disegnati, come lounge bar. Per cui anche la macchina diventa uno degli elementi principali di arredo. Perché l’occhio dell’utente cade quasi subito su di lei.”
Quale è la macchina non disegnata da lei che le piace di più? E quella sua su cui si è potuto più esprimere?
“Io non critico mai per etica i competitor. Tuttavia non mi piacciono quelle macchine che io definisco over designed. Piene di linee che hanno come unico scopo l’apparire a tutti i costi. Quella che invece prediligo è la V6 disegnata per La San Marco. Mi ha dato tante soddisfazioni ed è stata selezionata per il premio Compasso d’Oro dell’Adi. Mi piace molto perché concettualmente è innovativa ed è stata molto difficile da disegnare, per un risultato finale che mi ha fatto innamorare profondamente.”
Assomiglia al motore 6 cilindri a «V» dell’Alfa Romeo
“L’abbiamo subito definito come un motore, non appena vista per la prima volta. Per cui, quando abbiamo fatto il briefing, abbiamo stabilito di trattarla come un oggetto automotive. Anche per alleggerire il volume imponente della macchina per la prima volta abbiamo apportato una finestra da cui si può vedere il cuore della meccanica interna.”
Non sempre però ha la libertà di potersi esprimere come è accaduto per La San Marco V6
“La V6 è stato un progetto in cui ci siamo confrontati con un committente che ci ha molto supportato sia dal punto di vista economico sia produttivo. È stato un vero lavoro di team, con i tecnici e la stessa azienda.”
Altri progetti, nuove macchine?
“Oggi vedo quello che è il frutto dell’ultimo anno e mezzo. Non escludiamo di continuare a lavorare con La San Marco, presentando un’altra macchina più avanti. La nostra esperienza quindi procede, fidelizzando i nostri clienti. Con La San Marco abbiamo stretto un rapporto straordinario sia dal punto di vista umano sia da quello tecnico, che ci supporta nella nostra innovazione di design. Perché loro ne comprendono l’importanza.”