MILANO – Questa è la storia di Cocoah! e di Marco Bertani che da ingegnere elettronico è diventato maestro cioccolatiere: il mondo della pasticceria e la sua tecnica lo hanno sempre affascinato, così come quella presente nella lavorazione del cacao. Da hobby a professione, il salto è stato lungo: la scintilla scatta con la scoperta del bean to bar dagli USA che gli ha acceso il desiderio di capire meglio il processo produttivo.
Nel 2015 i primi esperimenti con una piccola raffinatrice, poi l’incontro casuale di un contadino dell’Ecuador. Cocoah! parte nel 2022 con il laboratorio. Due vite parallele che ancora oggi procedono insieme.
Il cacao artigianale dalla sua esperienza, in Italia dove trova più spazio? Nei negozi specializzati, nelle pasticcerie, nelle gelaterie?
“Le pasticcerie e le gelaterie sono quasi impossibili da penetrare, perché sono molto legate ai semilavorati o all’uso di prodotti più industriali per realizzare i gusti. Parliamo per esempio di proporre i miei prodotti alle gelaterie: in alcune non viene usato neppure il cioccolato, ma solo il cacao in polvere. Quei casi in cui invece hanno scelto la massa di cacao, giocano tutto sul prezzo.
Non si riesce a far passare il messaggio che da artigiano acquisto una materia prima ricercata e costosa. In questo periodo poi, il cacao quotato in Borsa costa sino ai 10-11 dollari al chilo: cifre che per noi craft maker sono già la normalità. Infatti il nostro che ricade nella fascia più premium costava già di più di quello standard e ora è aumentato su tante origini (alcune non si trovano neppure, come ad esempio il San Martin peruviano che è stato razziato) in media almeno del 40%.
La stessa materia prima viene acquistata solamente da coltivatori diretti o cooperative territoriali che possano garantire delle buone condizioni di lavoro per tutti, un trattamento e un compenso equo anche nel rispetto di chi, nelle diverse parti del mondo, coltiva e produce cacao.
Stesso discorso vale per le pasticcerie, soprattutto quelle che vendono tanto cioccolato, che stabiliscono dei prezzi completamente diversi e con cui per questo non si può aprire un dialogo.
Allora come mercato di riferimento rimangono le enoteche, i locali che servono tè e gli specialty: questi sono i luoghi dove riusciamo a trovare la giusta sinergia per collaborare. Certo non sono tantissimi e quindi bisogna diversificare, puntando sulla rivendita e dando il mio cioccolato anche a dei ristoranti che lo usano nel menù in cucina e fanno ricerca sulla materia prima.
Questo mi permette di sopravvivere anche alle stagioni più calde che prevedono sempre un calo di vendite. Al momento mi rivolgo soltanto all’Italia, ma guarderò presto anche all’estero con dei distributori che faranno da referente commerciale per trovare nuovi clienti in Europa.”
Si parla spesso della differenza tra il cioccolato artigianale e quello più industriale: ma la vera domanda è, tra i craft chocolate makers, come ci si distingue al netto della qualità e delle modalità di produzione?
“Tutti cerchiamo di raggiungere lo stesso obiettivo e quindi poi sta alla singola persona, allo stesso chocolate maker a fare la differenza. Quello che inserisce nel suo cioccolato è il quid in più: fave di cacao e zucchero sono ingredienti comuni a tutti i nostri prodotti, però poi ci sono edizioni speciali in cui riusciamo ad esprimerci individualmente.
Ad esempio qualcuno si lega di più al concetto del territorio, oppure io vorrei iniziare un progetto di aromatizzazione del cioccolato senza aggiungere ingredienti in raffinazione, ma facendo maturare il cioccolato con altri elementi come spezie o erbe aromatiche.
Mi è venuto in mente partendo dal fatto che il cioccolato assorbe tantissimo gli odori e in questa caratteristica ho intravisto la possibilità di giocare: il risultato finale alla vista appare come una tavoletta classica, ma al palato si sente un sapore particolare che stupisce.
Per quel che mi riguarda non saprei qual è la cifra stilistica di Cocoah!, ma faccio l’impossibile per migliorare sempre il mio prodotto rispetto a quello precedente. Rimetto tutto in discussione ogni tot mesi e questo può essere un’arma a doppio taglio perché il consumatore di solito si abitua a determinati sapori.
Certo quelli che acquistano al supermercato esisteranno sempre, ma i consumatori più attenti alla qualità sono più che disposti ad ascoltare il racconto dietro il prodotto artigianale: me ne accorgo durante gli eventi, dalle reazioni di chi arriva da noi ad assaggiare. Un 90% dei passanti si convertono e comprano la tavoletta.”
Adesso quali sono le nuove tendenze per il cioccolato artigianale?
“Seppure sia un mondo che si conosce poco, è comunque un settore che negli Stati Uniti è partito già da 15 anni fa e in cui la tavoletta monorigine premium resta valida, ma ormai inizia a perdere terreno.
La tendenza è quella che studia le inclusioni, dalle più classiche con la frutta e il sale, alle più ricercate come il rosmarino, ingredienti salati, spezie Potenzialmente è un mercato sterminato, anche se il rischio dall’altra è quello di togliere valore alla materia prima.
Ma se si fa un buon lavoro di abbinamento con degli ingredienti di stesso livello, la combinazione esalta entrambe le cose utilizzate.”
Ma il cioccolato continua ad andare forte soprattutto nelle festività?
“Sì, perché c’è ancora l’idea forte che il cioccolato sia un regalo da fare durante le feste. Per questo presentare bene la qualità fa scattare automaticamente il pensiero di acquisto e quindi il packaging è importante: con questa consapevolezza abbiamo sviluppato il nostro che è molto di impatto. Volevo arrivare a chiunque e mi serviva una grafica che rapisse l’occhio anche di chi comprava il cioccolato al supermercato.”