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venerdì 22 Novembre 2024
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La campionessa mondiale non ha dubbi: “Il segreto della vittoria? Nel lavoro di squadra”

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MILANO – Manuela Fensore ha conquistato il primo posto della classifica del mondiale di Latte Art, distinguendosi tra i gli altri 5 competitor in finale al Wlac (World of Latte Art Championship) di Berlino. Una vittoria nata da un lavoro di squadra e dalla tenacia della campionessa per ben due volte, a livello nazionale. Ecco le sue parole subito dopo aver raggiunto questo traguardo importante sotto molti aspetti.

Manuela Fensore: ci eravamo lasciati ai campionati nazionali del sigep, quando aveva detto che il suo obiettivo era raggiungere il podio

Bene, non solo ci è arrivata. Ma ha addirittura conquistato il primo posto: com’è superare le proprie aspettative?

“Ancora adesso faccio fatica a crederci. Il mio obiettivo era arrivare al podio. Voleva esser un riscatto dal risultato che ho mancato in Brasile. Quando mi ero posizionata al dodicesimo posto e mi era restato un po’ di amaro in bocca. Il mio desiderio più grande era quindi quello di arrivare tra i 6 in finale. Poi, chiaramente, quando si compete lo si fa per vincere. Eppure, non ho mai avuto la presunzione di illudermi che ci sarei riuscita per davvero. Ho messo in conto tutte le difficoltà che sarebbero potute nascere nel corso della competizione. Il livello era molto alto. In più, abbiamo tutti dovuto scontrarci con problemi relativi al latte fornito per la gara. Un fattore però che ci ha fatto partire, noi concorrenti, dalla stessa base.

Per essere chiari: il latte a disposizione, era di qualità. Però, non ideale per la Latte art, per via del fatto che non fosse omogeneizzato. Dunque non è stato possibile raggiungere la resa massima perfetta. Io, così come tutti, sono venuta a conoscenza di questo particolare qualche settimana prima dei mondiali. E fortunatamente siamo riusciti a reperire questo specifico latte, così da studiare in fase di allenamento una tattica per omogeneizzarlo mentre lo montavo.

Questo elemento poi è riemerso nel back stage. Qui, mi sono trovata in mezzo agli altri competitor in difficoltà: non mi sono sentita di tenere per me quello che avevo imparato per gestire meglio il latte non omogeneizzato. Mi faceva male vedere queste persone per cui provo stima, non esser nelle condizioni di scrivere la seconda tazza. Io volevo competere a pari condizioni. Per cui, ho deciso di aiutarli. Tutti abbiamo lavorato insieme e siamo riusciti così a trovare un punto di incontro. Avevano notato che io avevo una buona resa e mi hanno chiesto un consiglio. Io non ho nascosto la tattica e l’ho condivisa con loro.

Perché sono una persona che ama condividere con il forte e con il debole. Anche se non ce n’erano di deboli. Inoltre, con quella problematica determinata dal latte, eravamo tutti allo stesso livello. Nessuno ha reso al meglio. Sono convinta che se ci fosse stato un latte più adatto, avremmo tutti avuto una resa in tazza migliore. Nonostante questo, siamo riusciti a far vedere non tanto la nostra bravura nel disegno, ma la nostra capacità di gestire la montatura come baristi.”

Sul podio è riuscita a controllare emozione e tensione?

“Confermo che le mie mani non tremavano. Una cosa devo dirla: a differenza dell’esperienza sul palco di Belo Horizonte, in pedana stavolta ho portato due cuori, non uno. E’ stata un’esperienza ancora più grande rispetto a quella dell’anno scorso. Avevo più esperienza, ero più consapevole delle mie capacità. Ed ero molto sicura di ciò che facevo.

Tutto questo mi ha dato la forza di sorridere ai giudici e di potermi concentrare per offrire la miglior performance. Nessuno, ripeto, ha potuto garantire una resa perfetta per quanto riguarda l’esecuzione in tazza. Neppure io. Sono umana, mi emoziono e posso sbagliare. Ma la cosa che mi ha fatto piacere, al di là di tutto, è che io sia riuscita a trasmettere la mia passione. L’anno scorso mi era mancata questa capacità. Invece a Berlino, mi sono lasciata andare su quel palco.”

Semifinali, finali e vittoria finale: che cosa ha portato in pedana, quali figure e che tecniche?

“Cominciamo allora dall’Art Bar. Qui ho mostrato una tazza che era di per sè, molto semplice, e pulita. Tuttavia, tecnicamente non era  per niente facile. Ho utilizzato infatti la tecnica dello slow, molto particolare. Attraverso la quale si lavora l’ultima parte della crema montata, dove si deve stendere in tazza per non far aprire le linee sulla crema dell’espresso. E’ una modalità che mi caratterizza di più delle rosette.
Ho composto un daino che proteggeva il cervo più piccolo, ricreando un contesto familiare e romantico. Si guardavano con un tramonto alle spalle, grazie all’uso di uno slow in rosetta dietro e un’altra rosa che faceva da contorno. Dando un tocco più a questa fase romantica della tazza. Il risultato voleva trasmettere tenerezza.”

Nel preliminary

Continua Manuela Fensore. “La gara si basava sulla creazione di due tazze in Free Pour e altre due in Free Pour e in etching (pennino). Nella prima fase ho portato il cavallo, che tecnicamente è molto difficile da realizzare, per via della composizione di rosette. Sono infatti molto fini. Dovendo gestire una linea che poi univa tutte le altre tre rosette e una quarta che componeva la criniera.
Da qui ho delineato il muso e il profilo del cavallo. Un animale che mi caratterizza, in quanto spirito libero. Anche se d’animo forse sono più feroce, come una tigre, così come mi chiamano nella community. Sin da bambina  mi sono immedesimata in quest’altro animale.

La seconda figura è stata il pappagallo

Una tazza che raffigurava 4 rosette di cui 2 formavano due alberelli. Le altre due invece disegnavano un’altalena -perché per me comporla era una maggior sfida rispetto a tracciare delle semplici linee. Ho preferito disegnare delle rosette molto strette, perché richiedevano una difficoltà tecnica maggiore. Ho dato vita a un pappagallo che stava sull’altalena con un temporale alle sue spalle. Le saette, erano degli elementi che mai nessuno aveva portato in gara prima. E io ho scelto di farlo per trasmettere ai giudici qualcosa di innovativo.”

Nella fase della semifinal la gara si basava tutta sul Free Pour

Ancora Manuela Fensore. “Ho portato come prima tazza il cavallo e come seconda tazza, il volto dell’aquila. Poi come terza, il mio espresso portato ai campionati italiani: ovvero il cavalluccio marino.
manuela fensore cavvalluccio
Il cavalluccio marino, novità per una competizione di livello mondiale
L’aquila rappresenta la longevità, l’orgoglio, la grinta che ho tirato fuori sul palco. E’ nata dal fatto che volessi puntare molto sulla tecnica in gara. Con un tratto molto lineare, ma tecnicamente difficile. Infatti, con una sola linea ho rappresentato il becco e da lì sono riuscita a comporre l’occhio. Una figura piuttosto complessa da ricreare quindi. Ma, ancora una volta, mi sono voluta mettere in gioco.
Così come ho pensato l’espresso, il cavalluccio marino: anche questa una figura che non si era mai vista ai campionati del mondo. Una tazza che era già forte per il campionato italiano e, a maggior ragione, unica per entrare in finale. Una scelta magari rischiosa, soprattutto considerando il latte a disposizione, perché non era facile trovare la forma giusta per rappresentare l’animale in modo pulito. Ma ho avuto una concentrazione tale che mi ha permesso di mantenere la tazza pulita e un’espressione adatta a ottenere un punteggio molto alto. Soprattutto, mi piaceva esser ricordata per quel competitor che ha voluto rischiare in una semifinale.
In finale poi sono tornate tutte le figure: il cavallo, l’aquila e il pappagallo. Due free pour, e una con la tecnica dell’etching. Personalmente mi trovo più a mio agio con il free Pour. Ma non ho riscontrato alcuna difficoltà nel misurarmi con l’etching. In ogni caso, a livello espressivo, il disegno libero con la lattiera è il massimo, nonostante sia più problematico da gestire.”

Ci sono state delle imperfezioni che le hanno fatto dubitare di raggiungere il traguardo? Come l’overtime durante la fase finale?

“In realtà non si è verificata una vera e propria problematica. Ero così concentrata nella tazza per rendere al meglio il contrasto e consegnare una tazza pulita, che ho rallentato per governare in maniera efficiente il latte. Non mi ero resa conto però di esser così fuori tempo. Anche perché, sino alla seconda tazza rientravo nei tempi perfettamente. Poi gli 11 secondi di overtime si sono accumulati solo per una mia distrazione.
Ho perso quindi 11 punti. Ma dal mio scoreshift avevo un punteggio così alto che, nonostante questa penalità, ciò non è riuscito a incidere sui miei 35 punti di vantaggio sul secondo in classifica.  Certo, sono cose che ho potuto considerare a posteriori: sul momento, avevo paura di essermi giocata il podio per questa mia distrazione.
Per il resto, penso che sia stata la gara migliore che abbia condotto. Anche con gli imprevisti di mezzo. È stata una delle performance più belle per me, perché mi sento cambiata a livello di performance e di esposizione. L’esperienza del Brasile mi ha abbattuta, e da lì, ho avuto tanta difficoltà a rialzarmi. Per questo ho fatto un percorso e un lavoro su di me non indifferente. Criticandomi e riguardando la gara, per capire dove avessi sbagliato e migliorare.
Ero molto introversa e non riuscivo a comunicare al meglio. Ho visto una Manuela Fensore che non mi valorizzava. Per questo ho lavorato soprattutto su questo aspetto espositivo.”

Un tempo aveva confessato di temere il talento e la preparazione dei competitor orientali ed è proprio contro di loro che non solo si è scontrata, ma ha prevalso: com’è stato possibile?

I finalisti che si sono contesi il titolo di campione del mondo Latte Art, vinto da Manuela Fensore
“Riguardandomi, credo che la differenza l’abbia fatta l’esposizione. La performance in generale e l’over all. Questo perché a livello tecnico, considerato il latte, partivamo tutti dallo stesso livello. Non c’era qualcuno più forte o meno forte. Sapevo quindi che, in cuor mio, potevo farcela. Ho voluto dare ascolto a questa sensazione. Ovviamente con l’aiuto per l’esposizione e il modo di presentarmi, di tutto il mio team. L’insegnamento più grande è stato quella della coach Chiara Bergonzi. Ha la capacità di preparare una gara a livello internazionale, davvero rara.
Chiara Bergonzi e Manuela Fensore si abbracciano subito dopo la proclamazione
È stata la persona giusta, con i requisiti essenziali per affrontare questa competizione. Tutte le sue osservazioni, per aprire il cuore e sorridere, si sono rivelate vincenti. Si è sempre preoccupata di tirar fuori la mia tenerezza. E sconfiggere la timidezza, il mio  vero nemico. Con lei, Mary Mauro, le sorelle Mauro e Carmen, io sono riuscita a farlo. Mi hanno messo nelle condizioni giuste per uscire.”

Perché gli orientali sono sempre così bravi anche se stavolta meno di Manuela Fensore. Che cosa hanno in più?

“Penso che il segreto sia nella condivisione. Un’abitudine che in Italia non esiste. Escluse io e Carmen, che invece amiamo molto farlo. Loro si aiutano nella preparazione, non nascondono i trucchi delle gare. Praticano ogni giorno l’allenamento tutti insieme. Poi hanno anche una capacità innata che noi italiani dobbiamo affinare con lo studio. Hanno una manualità connaturata e un modo spontaneo di gestire la tazza. Per gli italiani invece, è frutto più di una ricerca volta all’avvicinarci al loro stile. Riescono a riportare l’immagine in tazza con una semplicità pazzesca. Mentre noi ci impieghiamo un po’ di più.”

Il team e la preparazione pre e durante Berlino: chi sono e quanto hanno inciso in questa vittoria?

“Hanno inciso tantissimo. Nessuno ha messo più o messo di meno. Eravamo tutti insieme a darci una mano a vicenda. Loro si sentivano come se fossero competitor. Hanno provato le emozioni con la mia stessa intensità. Le ho portate tutte con me in pedana. Trasmettendo loro le emozioni che provavo. Non mi sono mai trovata sola durante la preparazione e la ricerca delle soluzioni.
Il gruppo di sostenitori che esulta per il traguardo
La gara è stata studiata da tutti. Nessuna idea è stata esclusa. Tutti proponevano e abbiamo cercato di conservare le proposte di tutti. Io e Chiara Bergonzi abbiamo ideato insieme le figure. Da parte mia c’è stata la volontà di fare una ricerca dei disegni, con l’aiuto di Carmen. In un secondo momento poi le condividevamo con la nostra coach, per modificarle e rielaborarle.
Mary Mauro mi ha aiutato per la comunicazione. Io ho iniziato a studiare l’inglese solo dopo il mio primo traguardo nazionale. Ma ancora non ero pronta per esprimermi al meglio. Ho studiato le basi fondamentali per fare una bozza preliminare del discorso poi ritoccato con il team.
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Da sinistra a destra: Daniela Mauro, Mary Mauro, Chiara Bergonzi e Anna Mauro
Mary Mauro mi ha aiutato a far emergere il mio pensiero personale. Ho scelto lei perché è la mia mental coach. Quindi la persona giusta per riuscire ad aiutarmi a spiegare la mia gara e le mie emozioni. E’ stata la mia porta voce.”

Irvine Quek è stata l’arma segreta?

Da sinistra la campionessa italiana di Latte art 2019 Manuela Fensore con il campione del mondo in carica Quek Siew Lhek e Carmen Clemente 4ª classificata al campionato italiano
Da sinistra la campionessa italiana del mondo di Latte art 2019 Manuela Fensore con il campione del mondo in carica Quek Siew Lhek e Carmen Clemente 4ª classificata al campionato italiano
“Sì. Per me lui è stato il modello da raggiungere. Mi è sempre piaciuto il suo stile. La cosa che poi mi ha più colpito di lui è l’umiltà con cui ha portato avanti il suo titolo. E il modo in cui ha diffuso la cultura della Latte Art. Oltre a questo, la sua tecnica è stata davvero d’ispirazione. Era la persona ideale per aiutare a crescere dal punto di vista tecnico. Lui è un fenomeno, penso il campione del mondo più completo tra quelli che ci sono stati sino a oggi. Per questo l’ho scelto per averlo nel mio team. La naturalezza con cui realizza le figure in tazza è eccezionale.”

E adesso? Una volta conquistato due volte il titolo nazionale e ora quello mondiale, Manuela Fensore ha ancora delle sfide con cui mettersi in gioco?

“Adesso l’obiettivo primario è un po’ di sano riposo. Penso che per ora mi fermerò per un periodo. Non voglio abbandonare le competizioni, ma solo un prendermi una pausa. Questo è il mio regalo. Vincere un nazionale e subito dopo affrontare il mio primo mondiale, e ancora dopo due mesi esser di nuovo in gioco con il nazionale e, neppure 5 mesi dopo, il secondo mondiale: è stato un anno e mezzo molto denso.
Ora sento l’esigenza di riposare. Continuando ovviamente con la diffusione della mia passione attraverso i corsi individuali con Carmen Clemente. Il mio lavoro di sempre con la stessa umiltà. Mi sento comunque di dire che “non sono arrivata”. C’è ancora molto da imparare e da scoprire. Ci saranno ancora tante tecniche che usciranno in futuro. E poi esiste una persona a cui mi sono affidata sin qui e che ritengo sempre su un gradino più in alto di me, Chiara Bergonzi, la mamma della Latte Art.
Lei riconosce le capacità altrui e il talento negli altri, in maniera obiettiva. Così come ho sempre considerato Luigi Lupi il papà della Latte Art.
Ci tengo quindi a esprimere a Chiara Bergonzi tutta la mia gratitudine perché, in un momento in cui avevo perso la fiducia nelle mie capacità, lei non ha mai smesso di credere in me. Non mi ha abbandonata, neppure dopo la prima frustrazione del mondiale brasiliano.
Poi voglio ringraziare Carmen Clemente, che non mi ha mai lasciata. Lei non ha mai smesso di credere in me, nonostante le mie imperfezioni. Penso che sia necessaria una forza grandissima nel continuare a mantenere alta la fiducia anche dopo le batoste. Lei me ne ha dato la prova. C’è sempre stata fisicamente e psicologicamente, anche mettendosi da parte.
Penso che sarà una sua scelta quella di continuare a gareggiare. Se deciderà di mettersi in gioco, io la prepaperò per farla sentire al meglio in pedana. Lei è già molto brava, la seconda latte artist italiana più forte, a mio parere. Ci sono tante persone forti, ma vedo in lei una marcia in più. Senza essere di parte. “
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