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Mangiare bere uomo donna, a Suzzara l’incontro fra due tradizioni gastronomiche

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MILANO – È sempre più vivo l’interesse della cultura orientale nei confronti non soltanto del caffè, ma anche di tutte le tradizioni del mangiare e del bere bene italiano. Dall’incontro fra le tradizioni orientali e la cultura gastronomica di casa nostra possono nascere formule gastronomiche molto interessanti. Ne è la prova “Mangiare bere uomo donna”, un ristorante di Suzzara (Mantova), che prende a prestito il suo nome dall’omonimo film del regista taiwanese Ang Lee. Scopriamo questo locale riprendendo quanto scritto a quattro mani su Repubblica da Gianni e Paola Mura.

“Mangiare bere uomo donna”: insegna che ricorda qualcosa, o no? Certo: il film di Ang Lee, del 1994. E una frase di Confucio. Insegna che va a pennello, e che esiste dal 2010, sul viale della stazione a Suzzara.

L’uomo è Corrado Leali, suzzarese, fisicamente molto somigliante a Fulvio Pierangelini. La donna è sua moglie Amy, nata a Hong Kong, nome cinese Man Wai Lim. Lei era giornalista in una tv di Hong Kong, poi ha voluto conoscere da vicino la cucina italiana.

Quindi, università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, dove Corrado era tutor. Lei s’è laureata e tutt’e due si sono innamorati. Questo piccolo ristorante, che si definisce “enoteca con cucina” e aperto solo a cena (salvo prenotazione di gruppi) nasce dalla scomparsa dello zio Gilberto, uomo di lettere e studioso.

Anche il fratello Paolo, padre di Corrado, scrive libri. Gilberto lascia in eredità la villa e una biblioteca di circa 3.000 volumi.

Ne vedrete qualche centinaio al pianterreno, siete liberi di consultarli, volendo. L’ambiente, una trentina di coperti, è di un’eleganza sobria, i tavoli ben distanziati, insomma si sta bene.

Per chi temesse la nebbia e l’etilometro, anche quattro camere a disposizione. «All’inizio ci hanno detto che eravamo completamente pazzi, ma non ci siamo spaventati».

La pazzia era aprire un ristorante mantovano (in larga parte) e orientale (cinese, in larga parte) tenuto insieme, anzi spinto da un solo aggettivo: tradizionale.

Niente fusion, o peggio confusion

I cappelletti in brodo di cappone di Amy, che ha imparato da nonna Bice, sono nostranissimi, ancor più con l’aggiunta di Lambrusco mantovano. E gli involtini primavera coi gamberoni tigre una bontà: la sfoglia è tirata a mano. La donna si occupa della cucina. L’uomo della cantina (circa 300 etichette con ricarichi miti) e della sala.

Oltre alla carta, due menù-degustazione di tre portate: tradizionale a 29 euro, orientale a 27. Possibile l’incrocio: ramen e trippa fresca in umido, ribollita e pancetta al forno con cotenna croccante, pollo al curry stile thai e torta sbrisolona.

Affettati di tutto riguardo, dal culatello al salame mantovano. Formaggi idem: a chi ama i sapori forti segnaliamo l’erborinato di capra della Val di Gresta, Trentino, e quello vaccino di Altamura, a bagno due mesi nel Primitivo. Dolci, al cioccolato soprattutto, all’altezza di una sosta piacevolissima. Non sono pazzi, questi due. Sono proprio bravi. Con una cultura dell’ospitalità che ci piacerebbe trovare più spesso.

Gianni e Paola Mura

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