di Stefano Livadiotti e Giulia Paravicini
MILANO – Ventidue milioni di italiani consumano caffè, bibite e merendine ai distributori automatici: Specie negli uffici. Un business enorme, i cui proventi sfuggono al fisco. Grazie a Tremonti(27 aprile 2013) Il mercato del lavoro. La riforma fiscale. E le macchinette che distribuiscono merendine.
Macchinette evasori fiscali
Cosa hanno in comune? Semplice: sono tra i temi caldi indicati nell'”Agenda possibile“. La relazione dei saggi in materia economico-sociale che è stata consegnata nei giorni scorsi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che costituirà una sorta di traccia per il programma del nuovo governo.
«Bisogna potenziare iniziative finalizzate a insegnare stili di vita salutari nelle scuole e nelle università. Promuovendo, sul modello americano, l‘eliminazione dai distributori automatici collocati nelle scuole di cibo e bevande ad alto contenuto calorico», si legge a pagina 40.
Il problema delle macchinette
Quelle che distribuiscono caffè, bibite e snack per 2,5 miliardi di euro l’anno è dunque considerato una delle priorità nazionali.
Un riflettore, quello acceso dal gruppo di lavoro del Quirinale, che provoca più di qualche fastidio agli operatori del vending; (come lo chiamano gli addetti ai lavori). Da un po’ di tempo allergici a ogni forma di pubblicità.
Qualche anno fa erano finiti su Internet gli atti di un convegno in cui si celebrava la performance economica del settore. Appena negli uffici del fisco cominciarono a chiedersi quanto i distributori automatici fruttassero allo Stato in termini di entrate tributarie qualcuno lesto si premurò di far sparire il tutto.
Il business delle macchinette va a gonfie vele
Non sembra conoscere crisi. Secondo i dati ufficiali, i ricavi sono cresciuti del 12 per cento nel 2010 e di oltre il 7 per cento nel 2011.
Solo nel 2012, il primo anno dal dopoguerra chiuso con un calo nelle vendite nazionali dei beni di largo consumo; anche le macchinette hanno subìto una battuta d’arresto. Limitando comunque al minimo i danni.
Se le consumazioni sono calate del 2,74 per cento, i prezzi sono saliti. E così alla fine il fatturato complessivo è sceso solo dello 0,78 per cento. Un’inezia.
I numeri sono impressionanti
Due milioni e 254 mila distributori installati un po’ ovunque: in uffici, scuole, ospedali; stazioni, aeroporti, impianti sportivi. Dieci milioni di clienti abituali. (che infilano cioè una monetina nella macchinetta ogni giorno, o comunque più volte alla settimana).
Più altri 12 milioni che danno il loro contributo in almeno un caso al mese. Un totale di pezzi venduti pari a 5 miliardi e 905 milioni ogni anno. E un esercito di 33 mila e 500 addetti.
Basta però prendersi la briga di impugnare una calcolatrice per capire che i conti non tornano in nessun modo
A partire dal numero dei clienti. Lucio Pinetti, presidente della Confida, l’associazione di settore della Confcommercio che rappresenta 500 tra produttori e gestori. Assicura che tra il 2009 e il 2012 sono cresciuti di 980 mila unità e quindi, dice lui, del 2,3 per cento.
Delle due l’una
O non sa far di conto o non la dice giusta, perché il 2,3 per cento di 22 milioni fa 506 mila. Ma se anche si trattasse solo di un mero errore, sarebbe difficile far quadrare il volume delle vendite dichiarate. (e la spesa media giornaliera per utente, quantificata dalla Demoskopea in 0,96 centesimi).
Con il fatturato ufficiale della gestione, indicato in 2 miliardi, 137 milioni, 964 mila e 250 euro. (più 393 milioni, 587 mila e 245 euro di produzione di apparecchi).
Vorrebbe infatti dire che il prezzo unitario delle confezioni in vendita supera di poco i 36 centesimi. E uno studio commissionato dagli stessi operatori dice che su 20 prodotti solo cinque vengono offerti a meno di 40 centesimi.
Nella loro rivista, “Vending magazine”
Produttori e gestori piangono miseria. Dicono che nel 2011 ben 17 tra le prime cento società hanno chiuso in perdita. E aggiungono.
«Se calcoliamo la somma degli utili cumulati dalle top 100 negli ultimi cinque anni, al netto delle perdite, otteniamo un valore che, rapportato al fatturato cumulato dello stesso periodo, è 0,75 per cento».
Occuparsi di macchinette, insomma, non conviene davvero, giurano
Resta allora da capire in base a quale imperscrutabile logica imprenditoriale pur di avere il permesso per installarle accettino di pagare all’azienda (o all’ospedale o alla stazione ferroviaria) che le ospita un ristorno. (teoricamente giustificato dal consumo di acqua e di elettricità).
Pari in media al 12,9 per cento per i luoghi pubblici e al 5,9 per cento per quelli privati, che sono il 70 per cento del totale. Vai a sapere
Del resto, basta esaminare un caso concreto per rendersi conto che le cose non stanno come si vorrebbe far credere
Nel maggio del 2012 la Asl di Lecce ha assegnato il servizio di ristoro attraverso distributori automatici alla Somed Spa di Bari; che ha vinto la gara mettendo mano al portafoglio per 2 milioni 230 mila e 388 euro; guadagnandosi così il diritto di piazzare 211 macchinette per tre anni negli ospedali pugliesi.
Per ogni distributore ha quindi accettato di pagare una sorta di ticket di parcheggio pari a 9,6 euro al giorno. Ebbene, se si divide il fatturato del settore per la gestione (2 miliardi, 137 milioni, 964 mila e 250 euro). Per il numero degli apparecchi in funzione (2 milioni, 254 mila e 103) si ricava che l’incasso giornaliero medio è di 2,59 euro.
Dai quali vanno poi sottratte le spese per l’acquisto dei prodotti e quelle per la manutenzione. Se le cifre fossero davvero quelle stampate sulle brochure della Confida, chi ha firmato quel contratto andrebbe dunque interdetto in tutta fretta.
Forse proprio perché non gli tornavano i conti, nella legge finanziaria del 2008 Vincenzo Visco, allora responsabile delle Finanze nel governo guidato da Romano Prodi, aveva previsto l’obbligo di installare nei distributori una sorta di scatola nera. In grado di registrarne fedelmente gli incassi.
La norma sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2009. Ma Prodi fu disarcionato
E al suo posto tornò Silvio Berlusconi, che si portò alle Finanze l’allora fidato Giulio Tremonti. Quello che da giovane studente definiva i condoni come provvedimenti da dittatori sudamericani e poi da ministro ne ha sparati una raffica senza battere ciglio.
Così, con un breve comma inserito in un decreto legge che a parole avrebbe dovuto meritoriamente ridurre i costi amministrativi a carico delle imprese italiane. Le scatole nere sono state cassate.
E dire che Tremonti qualche informazione su come girano davvero le cose nel vending avrebbe potuto rintracciarla senza troppa fatica.
Nella seconda azienda più importante del settore, il Gruppo Argenta (200 milioni di giro d’affari e 1.500 dipendenti), siede, con la qualifica di sindaco effettivo, un tal Antonio Vitali; domiciliato a Milano, in via Palestrina e prima in via Crocefisso 12.
Cioè proprio dove ha sede lo studio legale (e fiscale) Tremonti, Vitali, Romagnoli; Picardi e Associati. Di cui Vitali è un partner.