L’imam prese le piantine: dopo averle scrutate, annusò le foglie, ne assaggiò i frutti rossi. Il pastore che gli chiedeva aiuto disse: “Mangiando queste cose le capre saltano ovunque, non si tengono, non dormono più.”
Le foglie profumavano amaro, i frutti avevano polpa zuccherina: l’imam non seppe spiegare, gettò i frutti nel fuoco che si stava spegnendo e se ne andò a dormire. Il mattino successivo, dalle braci residue si levava un profumo avvolgente e intenso, alcuni nòccioli anneriti stavano ancora fumando. Qualcuno intuì, prese quei chicchi, li pestò, li mise in acqua calda.
Quel giorno, in una regione remota della Persia, come sempre accade nei racconti delle origini, nei miti, la storia raggiunse improvvisamente il suo climax: il caffè fu pronto, quasi perfetto subito, bisognoso solo di poche cose per essere come lo si beve ancora oggi. Altri raccontano che, dal cuore dell’Africa in cui tutto nacque, zibetti maculati golosi di quei frutti, spargendoli con le feci, portarono i semi del caffè sulle montagne dell’Etiopia.
Le semenze più feconde, ché gli zibetti erranti sceglievano i frutti più grossi e maturi. Capre o zibetti, chissà, di certo, dal momento del suo primo consumo, fu subito chiaro che quella bevanda era benedetta da un dio e che, grazie ad essa, la percezione del tempo si dilatava, lo spirito diventava più forte.
Elena di Troia, figlia di Zeus, versava una pozione proveniente dall’Africa simile al caffè che “l’ira e il dolore calmava, oblio di tutte le pene” (Omero, Odissea, IV, 221). Rimbaud lo bevve insieme ai feroci guerrieri Galla che, mescolandolo a grasso animale, ne ricavavano cibo energetico ed eccitante; Baudelaire lo userà contro i fantasmi e le angosce del sonno, “l’avventura sinistra di tutte le sere”.
Nei “Caffè” storici, sorseggiandolo, si prepararono rivoluzioni politiche e culturali e, anche grazie alla sua capacità di rinnovare forze ed energie mentali, nacquero molte opere d’arte. Piacque agli Enciclopedisti, a Goldoni a Balzac, a Mozart a Verdi, a Edoardo De Filippo e a Totò. Nei suoi fondi si legge il futuro e Georges Gainsbourg canta per noi “Amo il tuo color caffè, i tuoi capelli caffè, la tua gola caffè”.
Universale quasi da subito, diffuso in ogni luogo e continente, il caffè non verrà disciplinato dal glamour educato di George and friends, da quella normalità tiepida, “velluto”, ben pettinata, da capsule satinate per silenziose macchinette lunari, da click automatici, da cremine ruffiane in bicchierini di plastica.
No, non sarà normalizzato perché, sempre diversi, il buon caffè dona sentori di cacao e cioccolato (nel Jamaica Blue Mountain, nell’Hawai Cook, nel Chickmagalùr India), diventa spezie profumate nell’India Mysore, è mandorla nell’Haiti, frutta nel Giava e nel Kenia AA e ancora e ancora…
Preparato da baristi appassionati (ma sono ormai rarissimi) in tazza bianca, accogliente, calda è “l’espresso”, nome internazionale e bandiera italiana nel mondo: con crema color nocciola pallido, lievi zebrature chiare, tessitura fine e corpo rotondo, armonioso, persistente nel ritorno del tostato, a lungo fragrante in bocca, con acidità leggermente amara mitigata dalla cremosità, dalle note aromatiche che invadono il palato.
Niente zucchero che coprirebbe tutto o allora – in fondo, i puristi sono sempre noiosiun’idea di quello di canna. Sono di moda i “marocchino”, “nocciolato”, “brasiliano” ma, ahimè!, sono spesso bevande budinose: per trasgredire si pensi piuttosto al “viennese” (cioccolato, cannella, panna), all’”Irish” (whiskey e panna), alla correzione dei marinai marchigiani col loro meraviglioso Varnelli -e, d’estate, si osi l’ossimoro oltraggioso del caffè bollente shakerato in ghiaccio.
Prepararlo a casa è un rito che ben predispone agli avvenimenti del giorno, ma va anticipato con l’acquisto del caffè in grani da un fornitore di fiducia. Poi, bisogna avere un macinino: a mano per la moka, elettrico per l’espresso e preparare al momento la quantità necessaria.
Con la moka è bene usare acqua minerale naturale, riempire il filtro solo pareggiando il livello, senza pressare; quindi fuoco basso, finché il caffè non avrà smesso di gorgogliare e il profumo si sarà sparso in tutta la casa.
Infine, la caffettiera: “magico oggetto essenziale ai piaceri del nostro corpo” (Alessandro Mendini, “Elogio della caffettiera”) che ha stimolato i progetti di grandi designer e architetti – Hoffmann e Van de Velde, Gropius e Wright, Dresser, Aldo Rossi…; la caffettiera che, in materiali più o meno pregiati, in forme più o meno ricercate, da sempre accompagna discreta e necessaria la nostra vita domestica e familiare; la caffettiera che col caffè, l’infuso più prezioso che ci sia, mette insieme terra, aria, acqua e fuoco e realizza la sintesi felice degli elementi della vita.
Fonte: http://www.gazzettadiparma.it/news/183009/Quanto-e-buono-il-caffe.html