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giovedì 19 Settembre 2024
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Luigi Odello spiega lo stile dell’espresso in Sicilia

Odello: "Il profumo del caffè siciliano è una storia fatta di sensazioni e di seduzioni che nascono da una tostatura e un’estrazione lente e la lunga attenzione nel prendersi cura della bevanda"

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Luigi Odello, professore di analisi sensoriale in università italiane e straniere e presidente del Centro Studi Assaggiatori e dell’Istituto internazionale assaggiatori caffè, spiega nel libro Espresso Italiano Specialist lo stile e la storia dell’espresso in Sicilia (qui è possibile trovare l’analisi di Odello sull’espresso in Lombardia). Leggiamo di seguito l’approfondimento sul tema pubblicato sul sito Coffee Taster.

Lo stile dell’espresso in Sicilia

di Luigi Odello

MILANO – “Emozione, accoglienza, condivisione, una tazzina di caffè in Sicilia non va rifiutata mai. Per capire appieno il caffè della Sicilia bisogna però tornare in dietro nei secoli e immaginare per un attimo questa regione come l’antica provincia dell’Impero Arabo, esteso nell’anno Mille su tutto il Mediterraneo.

Grande, grandissima è stata infatti l’influenza di questa popolazione sulle usanze e i gusti legati a questa bevanda nella regione. Riconosciuti come i primi ad aver usato e diffuso il caffè (chiamato spesso “vino arabo”), gli arabi hanno infatti adottato tale bevanda già nell’800 d.C. come stimolante perfettamente conforme ai principi dell’Islam, senza poi più separarsene anche nel corso delle loro conquiste.

Il caffè della Sicilia, nei caratteri, nella cultura e nei rituali, è quindi ancora oggi il caffè del Mediterraneo, il caffè di questa grande civiltà che abbraccia l’Europa meridionale, il Nord Africa e il Medio Oriente, e in cui la Sicilia occupa una posizione centrale.

Il caffè in Sicilia deve quindi essere denso, scuro e intenso: come il caffè degli arabi, che doveva essere tostato scuro e macinato fine per poi essere bollito tre volte. Il loro obiettivo era: estrarre tutto l’estraibile, soprattutto la caffeina, prezioso alcaloide, ma anche gli acidi fenolici, antiossidanti, ma portatori di astringenza.

Se i primi caffè vennero quindi portati nella regione dagli arabi ed erano composti per lo più da Arabica provenienti dall’Etiopia e dall’Africa orientale, con l’avanzare della storia e l’intensificarsi dei traffici, giunsero nella regione i primi Robusta provenienti da Medio Oriente, India, Indonesia, Africa centrale, e in seguito i caffè coltivati nelle colonie spagnole e francesi (seguendo il susseguirsi delle dominazioni straniere nella regione italiana).

E i torrefattori della regione vedono ancora oggi tali caffè in un modo del tutto particolare, paragonando la Robusta al vino rosso della Sicilia, che pulisce la bocca grazie alla ricchezza in tannini, e l’Arabica al bianco, forte, oltre che di gradazione, di profumo. Sì, perché i siciliani sono cinestesici, e usare il naso fa parte del loro Dna, proprio come per la cultura araba.

Il profumo del caffè siciliano è quindi una storia, fatta di sensazioni e di seduzioni che nascono da una tostatura lenta, un’estrazione lenta e la lunga attenzione nel prendersi cura della bevanda.

Intorno a questa azione, ripetuta miliardi di volte nella storia del Mediterraneo, si avvolge la storia dei rapporti tra le persone. Tradizione questa che si manifesta ancora anche in Etiopia, dove, chi ha la fortuna di visitare la tribù degli Oromo, può osservare il rituale della preparazione del caffè eseguito dalla madre della famiglia.

È proprio la donna infatti, in Etiopia come in Sicilia, ad avere il ruolo di elemento di aggregazione famigliare, raccogliendo all’inizio della giornata le loro confidenze, ascoltando i loro sogni notturni e dispensando bramati consigli.

I “caffè importanti”, cioè quello della colazione e del dopopranzo, sono fatti dalla padrona di casa e sono caratterizzati (anche dopo che il metodo di estrazione alla turca viene abbandonato per la moka) da una preparazione lenta, necessaria per ottenere il caffè ristretto e denso che piace ai siciliani.

La caffettiera sta lungo tempo sul fuoco basso, per dare modo all’acqua di attraversare lentamente la polvere di caffè macinato fine, e quando tre quarti del caffè sono usciti la fiammella viene spenta. Operazione questa che richiede che una persona resti a governare con cura la macchina per tutto il tempo di erogazione.

La cosa diventa impegnativa se si pensa al ruolo del caffè per gli abitanti della regione che amano ripetere tale rituale ogni volta che giunge a casa un ospite: non c’è persona che vada a far visita a una famiglia siciliana che, subito dopo la mano, non si veda porgere la tazzina, accompagnata da quel gesto della mano che comunica accoglienza, apertura e calore.

E poi c’è il caffè dei giorni di festa, e il caffè del dopo cena con gli amici nel fine settimana, che assume addirittura connotazioni goliardiche per cui la tazzina deve essere veramente calda e carica”.

                                                                                                               Luigi Odello

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